Pubblicato la prima volta il 17 Aprile 2019 @ 09:39
(tratto dalle memorie di Luigi Tonini)
Fra quanti riminesi ben meritarono della patria loro, niuno credo essere nelle bocche del popolo più di Alessandro Gambalunga. Della qual cosa se un dì potè aversi ragione nel pingue patrimonio rimasto di lui, oggi la si ha di special guisa nella rinomata Biblioteca fondata per esso, e nell’esser venuto al Comune in forza di sua ultima volontà il magnifico palazzo, ove si accolgono tutte quante le scuole pubbliche. Ma chi domandasse poi qualche memoria più precisa intorno alla persona sua e alla sua famiglia, pochi troverebbe che gliene dicesser nulla in confuso; da pochissimi, e forse da niuno, sarebbe per trarne un ricordo positivo e distinto. Non saranno adunque inutili alquante parole intorno a questo cittadino illustre, e intorno all’origine della nobile e ricca sua casa.
Come ragion vuole comincio da questa; la quale secondo qualcuno sarebbesi trapiantata in Rimini da Bologna; quando invece il medico Antonio Rigazzi nelle Memorie delle Famiglie riminesi de’ suoi dì, scritte verso il 1567, dicendo che primo stipite de’ Gambalunghi fu un Francesco, disselo venuto ex Mediolano: mentre poi copiosi documenti e sicuri concorrono uniformi a farci sapere che quel Francesco ci venne da Carpi; senza chiarire, se quella del Modenese o se l’altra del Lombardo in sull’Adige non lontan di Legnano.
Non ho trovato la cagione per la quale sul cominciare del secolo XVI più famiglie passarono a Rimini appunto da Carpi, colle quali fu quel Francesco per primo frà suoi soprannominato Gambalonga; questo solo venendoci offerto dai documenti contemporanei che egli esercitò l’arte di muratore, e si disse figliuolo di Cesare, maestro nell’arte medesima. Con che resta smentita l’antichità di questa famiglia Gambalunga fra le nobili di Bologna, accolta dal Del Frate nella Vita del ven. Cesare Bianchetti, pag. 32, che la farebbe ascendere nientemeno che al secolo X; innestandovi inoltre un Giovanni Gambalunga, morto in Bologna l’anno 999 e sepolto nella chiesa di San Giuseppe fuori Porta Saragozza, dagli scrittori bolognesi ricordato col titolo di letteratissimo (Masini Ant. – Bologna perlustrata, 19 marzo). Da quanto siam per recare però apparisce che Francesco, anziché un meschino artigiano, dovette essere un facoltoso ed esperto conduttore e direttore di opere. Ma non andò molto che passasse all’esercizio della mercatura, la quale gli tornò favorevole a segno da cambiar presto condizione e stato. Nel suo testamento infatti, scritto à 2 aprile 1551, egli s’intitola Messer Franciscus, alias nuncupatus Gambalonga, qm Ma.gri Cesaris de Carpo, civis, merchator, et habitator Arimini in cont. S. Inniocentiae (Zanotti, Collezione di Atti ecc. T. IV, P. II, pag. 220: T. X. Pag. 470). Che precedentemente avesse esercitato l’arte del muratore ce ne fa sicuri il contratto stipulato li 8 agosto 1531 fra il Comune di Rimini e maestro Francesco q. muri Cesaris de Carpo murator et habitator Arim. Per la rinovazione di un tratto di muro urbano fra Porta S. Andrea e la Rocca (Zanotti. Collez. T. X. Pag. 323). E crederò lui essere quel medesimo maestro Francesco muratore da Carpi, che nel 24 dicembre 1513 stipulò in favore di Carlo Maschi, nobile riminese e cavaliere, di condurgli a compimento la fabbrica del suo palazzo già cominciato in contrada Santa Croce; che è quello posseduto oggi dal signor conte Andrea Lettimi in via al Tempio Malatestiano. Del quale palazzo vogliono che il Maschi avesse ottenuto il disegno in Roma dallo stesso Bramante. Vero è che quell’atto, secondo l’estratto fattone dal Zanotti (Zanotti, Giornale Vol. II pag. 128: Collez. T. IV pag. 187), lo dice figlio qm Joannis de Carpo; quando tutti gli altri documenti che ricordano il Gambalunga lo dicono figlio di Cesare muratore da Carpi. Ma io non avrei difficoltà di credere corso errore in quell’estratto. Intanto vedi che il Rigazzi, ove scrisse che il primo de’ Gambalunghi fu Francesco domificator ex Mediolano, non fu inteso da Stefano Simbeni, il quale due secoli dopo trascrivendo quelle Memorie scrisse donificator. Che poi nell’arte sua il Gambalunga fosse di qualche riputazione, oltre le opere dette, ce ne fa persuasi il trovarlo arbitro in certa controversia, eletto assieme con un maestro Angelo di Filippo esso pure muratore da Carpi e cittadino di Rimini; il cui arbitramento fu pronunciato il dì 14 febbraio 1549 (Zanotti, Collez. T. III, P. II pag. 213).
Di che genere marcatura si occupasse Francesco Gambalunga ce lo dirà un atto dei 12 gennaio 1538, pel quale tra Francesco del q. maestro Cesare da Carpo, muratore ed abitante in Rimini, alias dictus Gambalonga, e Pier Francesco del q. Marcantonio Merciari cittadino e mercatante di Rimini fu contratta società in traficu artis et trafici ferri, cordami, lini, canipe, et aliarum rerum mercantilium (Zanotti, Ivi T. IV P II, pag. 194). Del pari chi fosse la moglie di lui ci verrà detto dall’altro degli 8 luglio 1532, pel quale Francesco muratore qm mri Cesaris de Carpo muratoris habit. Arim. assieme colla moglie sua domina Magdalena filia qm Radi de Cattaro stipulò vendita di una casa posta in Rimini. Lo che fa argomentare che non fosse qua venuto di fresco (Zanotti Ivi T. XIV c. 77, verso).
Per ultimo dal suo testamento, citato qui sopra, sappiamo che lasciò unico figlio maschio per nome Giulio, ed unica femmina di nome Prudenza, maritata in un Gian Domenico di professione barbiere.
Gilio cogli averi del padre ne ereditò l’accortezza e la fortuna; onde continuando nella mercatura medesima ingrandì la casa, e trassela a gareggiare colle prime della città. A che dovette contribuire il numero delle mogli che s’ebbe, quasi tutte di famiglie distinte ed agiate. Se ne conoscono quattro, che furono:
Samaritana di Gianfrancesco Montagna da Meleto aliter del Chiergo, abitatore di Rimini, la quale con atto di ultima volontà a’ 12 dicembre 1549 donava a Giulio suo marito, figlio di maestro Francesco Gambalunga qm Ma.gri Cesaris de Carpo, mille e cento lire della propria dote; più, sette ottave degli stradotali (Zanotti Ivi T. X. Pag. 463).
La seconda fu Ginevra figliuola di Pietro Bartolini alias Florentini de Mazolenis de Bergamo, anche questi abitatore e cittadino di Rimini e negoziante, la quale a’ 2 marzo 1553 dichiarandosi moglie di Giulio qm Francisci Gambalonghae qm m.gri Cesaris de Carpo, fe’ quietanza al padre suo per ogni suo avere (Zanotti, Ivi T. IV, pag. 221). Da costei Giulio ebbe il figlio Francesco, siccome apparisce dal testamento che egli fece a’ 12 di aprile 1554, in cui, fatti più legati alla moglie Ginevra, e ricordatosi della sorella Prudenza, alla quale lasciava da potersi vestire a lutto, istituì erede il figlio Francesco natogli da questa donna (Zanotti Collez. T. X. Pag. 470).
Armellina Pancrazi fu terza moglie di Giulio, la quale ha ricordo in documento del 27 maggio 1564, onde lo stesso Giulio di Francesco Gambalunga procedette alla vendita di certo terreno, quale procuratore di donna Cassandra sua suocera e di Armellina sua moglie, figlia di essa Cassandra e figlia quondam Ser Angeli Pancratii de Macerata Montis Feretri (Zanotti Ivi T. IV pag. 254: T. X. Pag. 479). La famiglia Pancrazi fu tra le aggregate al Consiglio di Rimini. Giulio si ricordò di Armellina in altro testamento rinovato li 27 del 1570 lasciandole la dote sua in lire 1500, e istituendo i figli, che allora erano Francesco, Alessandro ed Angelo (Zanotti Ivi T. IV, pag. 223: Brancaleoni, Selva pag. 7). Quest’ultimo sarà premorto al genitore, perché niun altra menzione resta di lui.
Ma una quarta donna ancora ebbe Giulio, la quale apparisce in un terzo testamento che ei fece li 17 agosto 1590; conciossiachè vi si legga un legato in favore di Claudia Mazzetti sua moglie; un altro in favore della figlia Maddalena moglie di Annibale Tingoli; istituiti eredi i figli Francesco e Alessandro (Zanotti Ivi T. X. Pag. 506: Brancaleoni pag. 7). Il Rigazzi pone i Mazzetti tra le famiglie allora nuove, de’ quali il primo venuto a Rimini fu Barnaba causidicus ex Mondaino: e questi ancora entrarono indi a poco in Consiglio.
Giulio morì a 7 aprile 1598, dopo aver rinovato ancora una volta il testamento suo fin dal 5 aprile 1597, nel quale pure ebbe istituiti eredi i figli Francesco ed Alessandro (Zanotti Ivi T. VI pag. 79: T. XII pag. 160). Il Pedroni nel libro I de’ Diarii de’ morti notò a quel mese: M. Julio Gambalonga, mercante ricchissimo da ferro, morì adì 7.
Poco vorremo intrattenerci intorno a Francesco, nato di Giulio Gambalunga e di Ginevra de’ Mazoleni, potendo bastarci il sapere che ebbe in moglie Lucrezia del cav. Pier Maria Serafini, famiglia fra le nobili della città ed aggregata al Consiglio; dalla quale ebbe unica figliuola, la Armellina maritata nel 1603 a Cesare di Marcantonio Bianchetti patrizio e senator di Bologna, alla quale assegnò in dote venticinque mila scudi (Zanotti Ivi T. VII pag. 132).
Continuò egli pure assieme col fratello nella mercatura del ferro; avendo io visto nel Consiglio municipale del 19 giugno 1604 come fu letta una supplica de’ PP. Zoccolanti, colla quale questi chiedevano un’elemosina per pagar ferro… alla bottega dei signori Gambalonghi (Archivio Comunale in Gambalunga AP, n. 865). Rinovò egli pure più volte il testamento; e nell’ultimo ricordò la moglie Lucrezia, il fratello Alessandro e la detta figliuola, istituendo erede il primo maschio nato dalla medesima con primogenitura da perpetuarsi nei primogeniti dei primogeniti (Zanotti, Collez. T. XII pag. 213, 147, 369). Morì nel gennaio 1618.
Ed eccoci ad Alessandro, dal quale ha preso argomento questa Memoria.
Da quale delle ultime tre donne di Giulio Gambalunga sia nato Alessandro niun documento si offre a indicarcelo; questo solo potendosi cavare da quel testamento paterno del 1554, che a quell’anno egli non era nato. Speciali relazioni però tra Alessandro e i Pancrazii darebbero indizio fosse dell’Armellina: ma non oserei affermarlo. Educato nobilmente dal ricco genitore, come è a ritenere, Alessandro studiò in Bologna e vi conseguì il massimo grado accademico nell’uno e nell’altro diritto a’ 23 settembre 1583, siccome ne assicura il diploma in pergamena che è in Biblioteca (Armad D. II n. 17), ove è annunziato dominus Alexander Gambalunga Nobilis Ariminensis.
Non mi è venuto di trovare in quale anno Giulio Gambalunga avesse ottenuto alla famiglia il patriziato: ma esso è espresso nel diploma anzidetto di Alessandro; come di simile titolo trovasi decorato il fratello; non mai però il padre. Ma niuno di essi fu aggregato mai all’ordine senatorio della città, sebbene il Rigazzi, dove nota le famiglie sorte allora di fresco le quali per ricchezze e per altre ragioni erano per meritare di prendervi il posto delle estinte, annoveri pure la Gambalunga. Della quale esclusione non ci sarà molto a maravigliare, conosciuto come i cento luoghi nobili in Consiglio fossero ereditari nei figli nei fratelli e nei nipoti degli aggregati da non esserne facile l’ingresso per chi non fosse di famiglia già postavi fino dalla istituzione, che fu nel 1509. Oltre che ognuno sa come l’aristocrazia, specialmente d’allora, procedesse ritenuta e gelosa. Onde fu che nell’agosto 1593 e nel marzo 1594, venuto il caso di tre luoghi vacanti, anche Giulio Gambalunga si presentasse con altri nobili per esservi ammesso; e fu ballottato. Ma, oltre che ciascuna volta fu superato da altri, nemmeno ottenne mai la inclusiva per l’accettazione, alla quale erano chiesti due terzi dei voti (la prima volta ebbe voti favorevoli 56 contro 47: la seconda volta 61 favorevoli contro 43: la terza 59 contro 35). E’ a credere che egli indignato di ciò non si ponesse più a sì fatto pericolo, avendo io notato negli Atti consigliari successivi, che, rinnovatosi il caso medesimo di posti vacanti, né Giulio né alcuno de’ figli si fece innanzi. E sì che avrebber potuto procurarsi, come altri fecero, o privilegio sovrano o appoggio di persona eminente. Da ciò deve essere proceduto che i Gambalunga non fossero poi adoperati in cosa alcuna del pubblico; privilegio speciale de’ Consiglieri.
Alessandro però, siccome giureconsulto, fu del collegio dei dottori: e per ciò solo avendo avuto posto nel bossolo per gli uffizi civili, si trova che più volte gli sortì quello di Podestà, precisamente nel giugno 1591; e di nuovo nel 1595, che non accettò (eran troppo fresche le ripulse avute nel 1593 e 1594). Poi nuovamente nel 1596 e 1597, nel quale ultimo anno gli fu proposta una gratificazione; e, perché assente, fu autorizzato il dottor Alessandro Orio, amicissimo del Gambalunga, a farne le veci. E così fu estratto Podestà nel 1603 e nel 1614. Uscì pure Giudice delle appellazioni nel giugno 1601; poi nel 1605 e nel 1610; notandosi queste ultime due volte che non volle servire. E nuovamente nel 1614, notato che era a Mantova; e nel 1615, che non volle servire. Per ultimo alli 11 giugno 1607 fu sortito Giudice delle fiere; ed anche allora non volle servire.
Ma se nel patrio senato, al quale conduceva più la nascita che personale virtù, non si accolse il negoziante, nipote del muratore; questi per altro diede chiarissima prova dell’alto animo suo coll’aver saputo prendersi degna riscossa su quegli inconsiderati e sconoscenti patrizi, operando che, mentre il nome de’ più di coloro sarebbe cessato con essi, il proprio invece passasse, come passerà, ogni dì più splendido agli avvenire.
Fra le opere egregie, pertanto, cui volse l’animo, si vuole annoverare per prima la erezione del magnifico e signorile palazzo suo; con che intese a decorare la patria insieme e la famiglia. Per ciò, fatto acquisto li 2 marzo 1610 di una casa in via S. Tommaso, la quale ebbe da Cammillo e Pompeo Diotallevi, cedendone loro in permuta altra posta in parrocchia S. Vitale, comprata a’ 15 ottobre 1609 dal cap. Francesco Monticoli per scudi 1440 (Brancaleoni, Selva, pag. 7 In Gambal. D. III n. 29), pose mano all’opera, erigendo il quasi baronale palazzo che ancora ci resta. Intorno al quale è memoria spendesse la somma di ben 70 mila scudi d’allora, pari a circa 300 mila delle nostre lire. Niuno ci ha notato il nome dell’architetto, che ben meriterebbe sapersi, essendo opera lodata dagli intelligenti tutti. Ed unicamente per questa egli trovò menzione nelle patrie memorie presso il cav. Clementini, contemporaneo suo; sebbene poi questi si limitasse a ricordare come fondandosi il palazzo di Alessandro Gambalonghi dottor di legge, alle due passa fu trovata una selciata, e alle tre un acquedotto di piombo (Clementini, Raccolto storico ecc. Vol. I, pag. 116). Men ritenuto e più giusto fu l’altro contemporaneo., l’Adimari, il quale nel tempo medesimo scriveva non posso mancare di non lodare sommamente la magnanimità dell’illustre ed eccellente signor Alessandro Gambalonga, il quale ha cominciato ad erigere un nobilissimo palazzo dalli fondamenti, che, per quel che si vede in questo primo, non sarà inferiore ad alcun altro di Romagna (Adimari, Sito riminese P: II pag. 33). E ben se ne dovette compiacere egli stesso, avendo fatto coniare una medaglia d’argento del diametro di millimetri 31, la quale nel diritto porta il ritratto suo colla leggenda ALEX. GAMBALONGA. A.I.V.D. (Ariminensis Iuris Vtriusque Doctor); nel rovescio la fronte della fabbrica con sopra A.D.M.D.C.X. cioè Anno Domini MDCX; e sotto questa il motto FUNDAVIT. EAM. ALTISSIMVS. Anzi è bello a sapere che di questa medaglia furono tratti più esemplari anche in oro, se Raffaele Adimari scrisse il vero, notando in fine al manoscritto di Adimario suo zio, posseduto ora dal r.mo signor can. Gambetti, che a’ 25 ottobre 1610 l’ill.mo ecc.mo sig. Alessandro Gambalonga, fondando il suo palazzo, mise nella cantonata sul crosaro della strada 18 monete d’oro portanti nella impronta il disegno del palazzo e l’effigie. Il Pedroni poi nel libro VI de’ suoi Diarii ci fa sapere che nel settembre 1613 tutta la fabbrica fu coperta; e dentro il 1614 furono levate per intero le armature, ossia i ponti.
Ma principale pensiero di Alessandro fu di tramandare alla posterità la sua famiglia e il suo nome. Non ho trovato in quale anno conducesse in moglie Raffaella Diotallevi; intorno alla quale primo ricordo che mi sia venuto alla mano è del settembre 1609, quando Cesare Ranucci, pubblicando pel Simbeni le Vite del b. Giovanni canonico di Rimini e del b. Roberto Malatesti, dedicavale alla Molto Illustre e religiosissima Signora e Padrona osservandissima la signora Raffaella Diotallevi ne’ Gambalonghi; ove fe’ pure elogio speciale del suo dilettissimo signor Consorte, a cui tengo tanti obblighi per essermi vero Padrone et il mio Mecenate. Il Brancaleoni poi registrò nella sua Selva la dichiarazione, che Alessandro fece a’ 18 aprile 1615, di aver ricevuto dai fratelli di lei Antonio, Girolamo ed Alessandro Diotallevi, a titolo di dote, la somma di scudi 4000. Ma egli è a notare moltissimo che in altri atti, e specialmente nel suo testamento, ove ricordò il padre, l’avo, il fratello, la nipote e i suoi pronipoti, niuna parola abbia fatto della moglie, la quale gli sopravvisse pur lungamente sapendosi che morì sopra gli 80 anni a’ 27 maggio 1651. Che che sia di ciò, Alessandro, il quale non pare ne avesse consolazione di figli né il fratello ebbe più che una figliuola, l’Armellina maritata in Bianchetti, pensò di istituire una secondogenitura nei discendenti da questa, siccome fece con testamento consegnato in Pesaro il dì 25 settembre 1617 agli atti del notaio Simone Rossi: istituzione accompagnata da tanti accorgimenti giuridici, da essere esemplare e classica nel genere suo. E nondimeno non fu per essa che il suo nome viva ricordato e caro, e sia per trapassare onorato ai futuri. Conciossiachè, abolite per legge quelle istituzioni fedecommissarie, e finita la successione, il ricco patrimonio fu esca ad infiniti litigi fra i supposti chiamati alla eredità: litigi non mai affatto sciolti per diritto, e solo composti per transazioni. Allora fu che a mantenere il nome del Gambalunga vennero opportune le altre disposizioni segnate in quelle tavole; fra cui la principalissima sta la fondazione della Biblioteca, che volle eretta e dotata a spese della eredità sua; comandando che quanti libri fossero stati accumulati da lui, assieme cogli altri da acquistarsi in futuro, dovessero collocarsi nelle camere da basso della sua casa a beneficio ed uso principalmente dell’erede per tempo, et poi anco di tutti li altri della città che volessero per tempo nelle medesime stanze andarsene a servire senza portarli fuori; sotto pena di scudi cento per ogni volta che il Bibliotecario o l’Amministratore del patrimonio permettessero a chiunque si fosse di trasportar fuori libro qualunque. E poichè ciò concerne pubblico comodo, utile et onore, si volse pregando al Magistrato che sarà per tempo, come di cosa pubblica, volersi pigliar cura con eleggere una persona di lettere, idonea, ed atta per Bibliotecario; e volle che a nominazione di questo fosse la provista dei libri.
Nella memoria che segue mi occuperò di questo patrio stabilimento, notandone gli incrementi successivi, ed illustrando la serie de’ suoi bibliotecari. Qui basta dire, che, secondo l’inventario fatto dal primo nel novembre 1620, risulta che il numero dei volumi accumulati in vita dal Gambalunga non toccava i duemila; e nondimeno per questi, se il possessore può argomentarsi quel riputato giurista che fu, egli ci appare anche altrettanto buono estimatore di ogni genere lettere, non che di scienze, di arti e di storia. E che Alessandro fosse un buon amatore d’ogni letteratura e mecenate de’ suoi cultori, oltre averlo inteso già dal Ranucci, ne abbiamo altra più salda testimonianza pel celebre nostro Malatesta Porta, il quale stampando in Rimini pel Simbeni nel 1604 il suo lodatissimo dialogo sulla Favola dell’Eneide, intitolato IL BEFFA, dedicavalo ad Alessandro Gambalunghi, giudicando quel suo lavoro non indegno di V. S. Gentil’huomo di sì belle lettere, e di tanto giudicio, quanto Ella è.
In quel medesimo testamento il Gambalunga previde il caso che la successione della famiglia, o naturalmente o per alcun altro motivo, potesse finire; e volle che, ciò avvenendo, la eredità si devolvesse a varie Case pie della città di Rimini ivi espresse eccettuato però sempre il palazzo, che volle assegnato per intero e perpetuamente al servizio della Biblioteca, con annui scudi 350 in dote della medesima, e con tutti i paramenti e le suppellettili necessarie agli alloggi, che in esso impose prestarsi dalla eredità ai cardinali di casa Aldobrandini, i quali fossero per essere di transito in Rimini. Per le quali disposizioni fu che il Comune sia venuto poi in possesso dell’intero fabbricato e della Biblioteca.
Alessandro Gambalunga, sapiente, modesto, religioso, finì in Rimini placidamente la vita il dì 12 agosto 1619, dopo aver aggiunto al testamento più codicilli, in uno de’ quali nominò primo bibliotecario Michele Moretti, già dichiarato amministratore del patrimonio. I signori Dodici ed il Consiglio del Comune si occuparono allora delle ultime disposizioni di lui: onde nella seduta del 12 novembre furono deputati tre Consiglieri a conoscerle e riferire. E poiché la relazione di coloro assicurava che utile e decorosa tornava alla patria l’accettazione; quelle nell’altra seduta del 7 decembre vennero accolte ed onorate da 50 votanti; mentre 14, più tristi che sciocchi, furono contro (Libro consigliare nell’Arch. Del Comune in Gambal. AP, 865).
Più tardi a spese della eredità, in adempimento delle sue ingiunzioni, nella chiesa della Confraternita di San Giuseppe detta del paradiso, oggi posseduta dal Capitolo dei signori canonici, la quale egli vivendo avea fatta adorna dei tanti stucchi che ancora si vedono, furono eretti dagli esecutori testamentari i due monumenti di marmo, l’uno di faccia all’altro, nel primo dei quali furono poste le ossa di Giulio padre suo, nel secondo quelle di Alessandro. Portano l’anno 1631. E poiché quella chiesa non è più aperta al pubblico e di più è ruinosa, fu già espresso più volte general desiderio, che quelli fossero traslocati nel prossimo Tempio Malatestiano, sì per dovuto ricordo di quel benemerito e sì pel pregio stesso dell’opera. Lo che niuno cessa di attendere ancora dal Municipio, il quale altra volta ne curò già il ristauro, ed ultimamente nell’agosto 1863, rinnovando la nomenclatura delle vie della città, bene avvisava di dar segno di conservata riconoscenza, appellando Via Gambalunga quella che prima era detta del rigagnolo della fontana, ove sorge il palazzo antidetto, e dove il cittadino e il forestiero si dirige a visitare la Biblioteca.
Oltre la medaglia, anche il monumento ricordato qui sopra ci ha conservato la effigie di Alessandro: a che si aggiungono due tele, nelle quali fu rappresentato in piedi, vestito di nero alla spagnola, con spada a lato, e con un libro in mano; delle quali una fino a questi dì fu nelle sale del Comune fra quelle di altri cittadini un tempo avuti del pari per ragguardevoli, e l’altra sta tuttavia in Biblioteca, con a piedi il seguente elogio in cinque linee, che dicono dettato da Lodovico Tingoli.
ALEXANDER GAMBALUNGA PATRIAE SPLENDORI NATUS
HANC BIBLIOTHECAM LIBERALIBUS DISCPLINIS AC PUBLICAE
STUDIOR UTILITATI FUNDATOR INSTITUIT ATQ
ANNUIS ATTRIBUTIS PECUNIIS SENATUS AUCTORITATE LITERIS ET MONUMENTIS AMPLIFICANDAM IN PERPETUUM DEDIT OMNIB’ BONAR ARTIUM IMITATIONEM PROPOSUIT PIETATE AC MAGNIFICENTIA Q ANN. D. ∞ IC C. XIX
BERNARD. PANCRATIUS ADMIN. TITULUM P. IUSS
Per ultimo un opuscolo, che per la sua rarità non ho potuto vedere, ma è citato nelle schede del card. Garampi, pubblicato in Rimini pel Simbeni nello stesso 1619 da un tal Marco Santini col titolo Parnassus ad Alexandrum Gambalongam, disse più ampiamente le lodi di lui; la memoria del quale valga d’esempio ad ogni uomo, come si ami la patria, come si vinca l’invidia, come si acquisti titolo non perituro alla riconoscenza de’ posteri.