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“L’è vèra che Sant’Antògne u sé namurè dè baghìn…”
Il 17 gennaio si festeggia Sant’Antonio Abate, protettore degli animali ed anche nella nostra città si preserva la tradizionale benedizione di quelli domestici presso il Tempietto di piazza Tre Martiri ovvero nel luogo dove ...avvenne il miracolo della mula, pare nel 1223 anche se al Santo è notoriamente associato un altro animale, “e’ baghìn”…chè quello della mula era Sant’Antonio da Padova.
Sul rapporto tra il santo ed il maiale ci sono diverse scuole di pensiero, chi dice che fosse il primo ad usare il grasso del suino per lenire le vescicole dell’herpes zoster, appunto Fuoco di Sant’Antonio, chi ritiene che la raffigurazione con il maiale ai piedi del Santo stia a significare la supremazia dello spirito sui piaceri della carne, non solo commestibile, fatto è che a quella relazione si fa risalire la funzione protettiva verso tutti gli animali domestici. Ma nel dialetto riminese l’accostamento ha preso un altro significato, riferito a coppie che appaiano mal assortite fisicamente o per altre differenza a vantaggio di uno dei due ed il commento “l’è vèra che Sant’Antògne u sé namurè dè baghìn” evidenzia la bruttezza, fisica o morale, di un membro della coppia o comunque la passione per qualcosa di poco onorevole per dire che se un Santo ha potuto innamorarsi di un maiale, un comune mortale può innamorarsi di qualsiasi persona o cosa...(di Grazia Nardi, con buona memoria)

“... at chèv chi dó pil che t’è tla tèsta…”
Era chiaramente una minaccia verso chi aveva provocato rabbia e/o dolore, “ti strappo i capelli…”, detto nella forma più dispregiativa. Con una sola battuta si promettevano o annunciavano botte e si sottolineava la scarsità della ...capigliatura che, soprattutto se riferito ad una donna, non era offesa da poco, da notare il termine “pil” vale a dire, non capelli, ma peluria. Non era il solo caso in cui si usavano sinonimi, un altro commento poco lusinghiero veniva riservato a chi portava capelli lungi, specialmente non avendo più giovane età, “l’ha vòja sa chi prilùn, di dré la pèr zóvna ma davènti la fa paura…”, (ha voglia di portare i capelli lunghi, vista da dietro appare giovani ma davanti fa paura!), ecco “prilùn” è oramai scomparso. E comunque darsele di santa ragione, farsi le proprie ragioni passando alle mani era una pratica consueta, anche tra donne, quando le chiacchiere dell’una arrivavano all’orecchio dell’altra “a t’là scurt mè cla lèngua” (te l’accorcio io la lingua), o scattava la gelosia. Ricordo il giorno in cui la mamma, al passaggio di una “morona”, mi fece scendere dal sellino della bicicletta che poi accostò al muro scagliandosi contro la donna rea, tra l’altro, di averle fatto la “risadèina” di scherno a comprova del tradimento suo col babbo. Affranta guardavo la scena seduta sugli scalini della chiesa di Sant’Agostino, la mamma che, dopo aver preso per i capelli la malcapitata, si aiutò nell’impresa con lo zoccolo di legno tolto dal piede, ed un omino che, trovatosi sul posto, tentò di dividerle beccandosi un “fèv i caz vòst si nà lij’è ènca per vó...! (fatevi gli affari vostri sennò ci sono anche per voi!)
Foto da “Pane, amore e fantasia” di L. Comencini

Largo Amerigo Vespucci (recita il retro della cartolina)... ma sarà davvero stato questo il nome dell'incrocio all'inizio del viale?