Pubblicato la prima volta il 17 Dicembre 2019 @ 11:13
– Ecco qua la concessione – l’impiegato dell’assessorato allo sport trasse un foglio dal cassetto, gli diede una scorsa veloce e continuò – la palestra è la Rodari, tutti i lunedì e giovedì alle ventuno e trenta.
– Così tardi? – lo scetticismo di Fofo doveva essere evidente perché l’impiegato rispose con un sorriso.
– Su, su, voi siete giovani, per voi non sarà certo un sacrificio!
Appose una firma e afferrò un grosso timbro dall’assortimento che aveva sulla scrivania. Lo impresse con un sonoro tonfo e poi prese il foglio con due mani, leggendo.
– Dunque, la squadra si chiama?
– Marr – rispose Fofo.
– Marr? Ah, non va mica bene! Non lo avevate detto di avere uno sponsor quando avete fatto domanda. La tassa per partecipare al campionato di prima divisione è molto più alta se siete sponsorizzati!
– No, no, c’è un malinteso – Fofo si era preparato a questa eventualità – è M.A.R.R. La nostra squadra si chiama Marchi, Antonioli, Rinascita Rimini e non ha nulla a che vedere con i Magazzini Alimentari Riminesi, lo sponsor della squadra di basket della città. Si guardò bene dal precisare che era una furbata per poter utilizzare in gara le divise dell’anno precedente, queste si sponsorizzate Marr.
Appartenevano alla squadra dell’OR.SA, un acronimo che stava per Oratorio Salesiani, che aveva partecipato l’anno precedente al campionato di prima divisione, vincendolo ma che poi aveva perso lo spareggio contro una squadra di Cesena per il passaggio al campionato di promozione. Ad avere l’idea di partecipare al campionato di prima divisione FIP erano stati Gino Baghino, che in realtà si chiamava Franco Fattori, e Angelo Villani. Franco aveva già allenato in promozione e si attivò per pescare qua e là i giocatori in esubero delle società maggiori alla fine dei campionati giovanili e qualche altro che militava nei campionati minori.
Riescì ad ottenere in prestito dalla squadra della Libertas: Marco Paganini, Andrea Bernardi, Stefano Spadazzi, e da altre squadre Renzo Bonini, Pietro “Pietrone” Placucci, Antonio “Pepa” Pesaresi, Antonio Zaghini, Paolo “Raulo” Righi, Alessandro Marchi, Claudio Parma, Maurizio Conti, Angelo “Angelino” Villani, Ivano “Calcio” Lanci, Flavio Galli e Stefano “Fofo” Antonioli.
Quando l’anno successivo i Salesiani decisero di non partecipare al campionato Fofo Antonioli decise di prendere in mano l’organizzazione della squadra per non perdere lo spirito che si era creato all’interno di questo gruppo non più di giocatori ma di amici.
Su invito di Jader Viroli, che aveva organizzato il primo campionato UISP, questa nuova M.A.R.R. (le mute da gioco costavano parecchio e nessuno avrebbe fatto caso alla presenza o meno dei punti fra una lettera e l’altra) vi partecipò arrivando seconda, battuta solo dalla squadra juniores del Basket Rimini dove giocavano Alessandro Angeli, Giampaolo Paci e Matteo Matteini, tutti futuri campioni.
Ma dopo quel secondo posto arrivò la vittoria nei tre tornei Arci/Uisp successivi e due campionati di prima divisione.
Fofo ripiegò il foglio della concessione e lo mise in tasca. In quel momento non poteva immaginare che esattamente quaranta anni dopo si sarebbe trovato all’assessorato allo sport ad aspettare che gli consegnassero per la quarantunesima volta la concessione per la palestra Rodari. Non per le nove e mezzo di sera, sperava. In questo senso aveva fatto presente, all’atto della domanda, quanto avvenuto la prima volta. Ormai nessuno di loro era più giovane e a quell’ora spesso fra il fare la borsa e il divano era quest’ultimo a vincere.
Quarant’anni.
Quante cose successe in quel lasso di tempo! E quanti giocatori passati dalla Rodari, conosciuta anche come palestra rossa. Basta coi campionati dove si poteva giocare al massimo cinque alla volta, meglio lì, senza arbitri da infamare, per due tiri e una partitella, alla morte, fra amici. Anche quelli che purtroppo sono già volati in cielo. E poi portammo a giocare i nostri figli, non appena in età, perché si scontrassero il prima possibile con quelle scuole di vita che sono lo sport e l’amicizia.
John spinse la porta della palestra ed entrò. Il cigolio (la porta aveva “sempre” cigolato) attirò lo sguardo di tutti coloro che stavano scaldandosi tirando a canestro. Era già venuto qualche volta un paio di anni prima, ma sempre in compagnia del cugino Carlton Myers. Quella sera Carlton non c’era e nessuno si aspettava il suo arrivo visto che viveva in Australia.
– John, ciao. Ma come mai qui?
– Si gioca tutti i lunedì e i giovedì alle nove e mezza, no? – rispose in inglese.
Lo sapevano anche in Australia…
Patrizio non aveva mai le mille lire. Una cifra irrisoria per la quale tutti coloro che venivano a giocare si tassavano per pagare la concessione e la pulizia della palestra. Tirava fuori un foglio da centomila lire facendo così mostra della sua intenzione di pagare, ma nessuno aveva mai da cambiare una simile somma. Fino alla sera in cui Antonio, che raccoglieva i soldi, disse:
– Ragazzi cacciate fuori le mille lire.
– Io ho solo centomila lire attaccate – rispose Patrizio.
– Tranquillo, ho il resto – disse Antonio – che trasse una mazzetta e contò teatralmente novantanove fogli da mille lire.
Alla base di tutto c’è l’amicizia. Che sia il giocare assieme o, al limite, il giocare contro, cancella le smagliature dei caratteri, diluisce le istintive antipatie, crea coesione. Nelle interminabili partitelle bisettimanali, suddivisi in due, tre, a volte, quando si era in molti, anche quattro squadre, sfidandosi due a due sotto ogni canestro, ha creato un gruppo che più che l’amore per lo sport era l’amicizia a tenere unito. Tanto da portare a fare cose che avevano ben poco a che fare con il basket, come andare a sciare insieme, realizzare un compact disc con le classiche canzoni di Natale da cantare una strofa per uno, o il famoso culendario del millennio. Già, il culendario…
Nessuno sa cosa deve essere passato per la mente di Luciano, il custode della palestra, nel momento che ci vide uscire tutti insieme dallo spogliatoio, ma dovrebbe essere facilmente intuibile… Completamente nudi, a parte calzini e scarpe da gioco siamo sciamati per la palestra per realizzare le foto del nostro calendario, così come lo avevano pensato. Ognuno in una posa di gioco con il pallone a nascondere le pudenda. Eccetto la foto di gruppo che chiudeva il calendario, dove eravamo ripresi di schiena, e da qui appunto: culendario… e sono già passati altri vent’anni!
Ma un metro di misura esiste. Un metro che purtroppo l’età continua a rendere sempre più piccolo. Noi siamo la generazione Pic Nic, cresciuta a paglia e fieno, maccheroncini pasticciati e tris di minestre. Perché dopo il gioco occorre reintegrare le forze! Andare da Piccinelli voleva dire strozzapreti pasticciati, doppia razione abbondante, o stesse quantità di spaghetti alla carbonara, a seguire pizza, mascarpone e birra da litro. Più o meno le stesse quantità anche da Moreno fino a che, complice uno sgarbo, Antonio con il piede disegnò una croce fuori del locale, e lì non mettemmo più piede. E poi molti altri locali, con un lento calare delle quantità nelle porzioni. L’età? E altre croci sui marciapiedi, complice la scarsa cortesia o la poca abbondanza o il lievitare ingiustificato dei prezzi. Fino ad arrivare a Tonino e al suo prezzo di tredicimila lire, qualsiasi cosa si prendesse. E infine la Brocca il lunedì e Melsi, di Repubblica, il giovedì. Il suo pesce è buonissimo, ed è salutare, ma come abbiamo fatto a passare all’insalatona e all’acqua gasata? Torna alla mente lo sguardo rammaricato di Renzo Bonini che seduto a tavola, guardando le portate in arrivo disse sconsolato: che peccato che la cena sia così vicina alla colazione!
Un anno andammo ad Amburgo per partecipare ai campionati europei over 45. Ogni nazione schierava ex giocatori di livello, con trascorsi anche molto importanti. L’Italia B ad esempio, vantava molti ex nazionali provenienti da tutte le regioni. Noi, l’Italia A perché ci eravamo iscritti per primi, venivamo tutti da un’unica palestra di una sola città. Eravamo più di una squadra, eravamo un gruppo di amici. Cosa che si vedeva dentro e fuori del campo. Naturalmente perdemmo tutte le partite ma ci divertimmo immensamente di più di chi alla fine vinse il titolo: l’Italia B.
Durante la partita contro l’Irlanda, noi ampiamente sotto nel punteggio, uno dei nostri giocatori, non dirò chi, per il fiatone non rientrò in difesa e fu facile imbeccarlo con un pallone lanciato lungo in contropiede. Non aveva che da appoggiare la palla al tabellone. Sbagliò. Prese il rimbalzo, gli avversari erano ancora lontani, e si appoggiò al tabellone per la seconda volta. Sbagliò nuovamente. Stavolta il rimbalzo lo prese un nonnino irlandese, occhi azzurri e folta zazzera bianca, che porse la palla al nostro giocatore dicendo “try again” prova di nuovo. Impagabile!
E a Praga, durante i mondiali over 50, eh sì il tempo passa veloce, Zago gettò l’asciugamano ai piedi dell’arbitro quando questi stava per alzare la palla a due iniziale, dichiarando così la nostra volontà di arrenderci subito, come nella boxe. L’arbitro dominicano, nazione di grandi pugili, credo che stia ancora ridendo. Ma noi eravamo davvero cotti e già sicuri di esserci classificati ventesimi al mondo. Fofo si era fratturato un dito poco prima di partire e per giocare se lo incerottava assieme ad un altro in modo da provare meno dolore. Andando in tram a quella partita era così rilassato e concentrato che incerottò insieme due dita sane. Ma noi avevamo già vinto solo con l’essere partiti per giocare!
Fofo scorse veloce il foglio della concessione per verificare l’orario: 21.30. Evidentemente qualcuno si ostinava a considerarli giovani. Bah, un’altra stagione in cui l’avversario più temibile sarebbe stato il divano. Sogghignò. Un avversario che si poteva battere.
E poi se qualcuno fosse improvvisamente arrivato dall’Australia che figura avremmo fatto se non ci avesse trovati?