Il “mistero” dell’Isola delle Rose

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Pubblicato la prima volta il 27 Giugno 2018 @ 18:19

La scomparsa dell’ingegner Giorgio Rosa (1925-2017) e il successo riscontrato da diversi prodotti editoriali (dal docu-filmIsola delle Rose“, 2010, recentemente ripubblicato, al libro di Walter VeltroniL’Isola e le Rose“, 2013) hanno riportato all’attenzione degli appassionati questa curiosa e singolare iniziativa “indipendentista” locale, aperta ufficialmente al pubblico il 20 agosto 1967.

Tanto si è detto e tanto si è scritto, postumo… e, spesso, come inevitabilmente accade quando l’agiografia e il mito della memoria sostituiscono alcune verità fattuali, sono stati omessi, accantonati o ignorati – forse per sbrigativa autoreferenzialità – buona parte dei dettagli che avrebbero potuto illustrare in modo esatto e completo l’iniziativa e le sfaccettature motivazionali di tale audacia (di diversa valenza), riconducendo la nascita – e la scomparsa – dell’Isola alla sola aulica e astratta ricerca di una romantica e suggestiva (ma indefinita e caotica) “voglia di libertà”. La libertà, troppo spesso invocata, è un valore impegnativo che può contenere tanti significati.

Gli eccezionali contenuti che seguono, ci sono stati sottoposti direttamente da Vincenzo Delehaye, eclettico esperantista e scrittore, che abbiamo rintracciato attraverso la citazione di Graziano Graziani nel libro “Atlante delle Micronazioni“; Vincenzo, grazie alla propria passione per l’esperanto, è stata la prima persona ad aver riavvicinato e lungamente intervistato, dopo tanto tempo dalla conclusione di quell’avventura, l’ingegner Giorgio Rosa nell’ormai lontano 2005 – in anticipo, quindi, rispetto alla rinnovata passione per l’iniziativa suscitata dai successivi libri, documentari e articoli. Ha raccolto tutte queste preziosissime informazioni in una lunga testimonianza, che giustamente (e convenzionalmente) ha ribattezzato, Memoriale, che viene qui citato arricchito da tutte le informazioni riguardanti quell’evento storico.

Ringraziamo Vincenzo Delehaye per averci fornito questi contenuti, destinati finalmente a completare in modo esaustivo un fatto tanto singolare, affascinante (e, da alcuni punti di vista, ambiguo) quanto raccontato, sino ad ora, privo di molti dettagli oggettivi che potessero fornire agli appassionati romagnoli una lettura complessiva del fatto storico.

Dall’idea alla realizzazione (1956 / 21 maggio 1965)

Durante la Seconda Guerra Mondiale, il Regno Unito impiantò molte piattaforme artificiali marine fuori dalle acque territoriali, situate nel Mare del Nord in corrispondenza degli estuari del Tamigi e del Mersey, per proteggere, con batterie contraeree, i suoi centri industriali, queste piattaforme, vere isole artificiali presero il nome di Maunsell Sea Forts, dal nome del loro ideatore, Guy Anson Maunsell. Dopo la guerra queste strutture furono abbandonate e, all’inizio degli anni sessanta, molte stazioni radiofoniche pirate ne presero possesso, irradiando le loro trasmissioni dall’estero verso il Regno Unito.

La storia inizia nel 1956 quando l’ingegnere italiano Giorgio Rosa (nato a Bologna giovedì 7 maggio 1925, iscritto all’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Bologna al n° 1032) avendo finito un cantiere edile in Via del Pilastro a Bologna e avendo avuto molti contatti con la burocrazia, constatando che gli U.S.A. avevano ridotto l’Italia in schiavitù (N.d.D.: queste opinioni sono tratte dal Memoriale “Il fulmine ed il temporale di ‘Isola delle Rose'” di Giorgio Rosa), e che…

« …non potevi fare nulla che i politici non volessero, e questa schiavitù ogni giorno di più ti soffocava. I preti, con le loro assurde teorie e le loro sette, ti inchiodavano e volevano che tu non facessi nulla che a loro non garbasse; i comunisti cercavano di combattere i signori e di portare via loro con la terra anche la loro ragione di esistere; solo i politici, asserviti ai Russi od agli Americani, avevano un futuro. A questo punto, dopo tutti i morti ammazzati in Italia nel dopoguerra, io, che sono e sono sempre stato libero, pensai che un’unica prospettiva era di andare in un paese indipendente dove gli intelligenti potessero comandare e gli idioti servire. Ma due ragioni si opponevano al mio pensiero. Quasi tutti gli stati sono abbarbicati alle religioni ed alle sette e, quindi, prima o poi, ti sottomettono. Ed in più, mi dispiaceva allontanarmi dalla mia Patria, il cui culto, nonostante tutto, era radicato; dalla mia città, dove ero nato; dalla mia famiglia, che, speravo, fosse il nucleo di sopravvivenza. Ecco che sorse in me l’idea di fare un’isola dove fosse la vera libertà, dove le persone intelligenti potessero procedere e dove gli inetti fossero cacciati. Ed ecco che studiando la situazione trovai la possibilità di costruire un’isola. »

Il Rosa, confortato dalle risposte ottenute da vari Procuratori della Repubblica, magistrati, ufficiali di Marina, giureconsulti e soprattutto dal Prof. Angelo Piero Sereni, docente di Diritto Internazionale presso l’Università degli Studi Alma Mater di Bologna, interpellati, tradusse la sua idea nel Brevetto per Invenzione Industriale n° 850987 del 15 ottobre 1969 (Domanda n° 1799/A/68 del 7 novembre 1968), dal titolo “Sistema di costruzione di isole in acciaio e cemento armato per scopi industriali e civili”. Ma l’idea codificata nel Brevetto ebbe inizio nel 1958, quando il Rosa cominciò a pensare di costruire un telaio di tubi in acciaio ben saldati, ma a terra, e poi, chiuse le bocche dei tubi, trasportarlo in galleggiamento fino al punto prescelto (ovviamente fuori dalle acque territoriali italiane) ed installarlo.

Si costituì la “S.P.I.C. – Società (Sperimentale) per Iniezioni di Cemento“, con Presidente la Sig.ra Gabriella (detta Lella) Chierici (moglie poi dal 1960 del Rosa) e Direttore Tecnico lo stesso Rosa. Soci erano:

  • il Sig. Joseph Gottfried Dubach-Villiger di San Vittore – Cantone dei Grigioni (Svizzera), scaltro e ambiguo personaggio, che, nel 1928, aveva fatto introdurre una valuta “internazionale” (Globo) nel Principato di Liechtenstein;
  • la Sig.ra Elisabeth Winiger di San Vittore – Cantone dei Grigioni (Svizzera);
  • il Sig. W.M. Gellhaus di Bonn (Germania);
  • il Sig. Richard King di Londra (Regno Unito).

La prima ispezione del punto prescelto, al largo di Rimini, a circa 11.500 metri dalla linea di costa, avvenne tra il 15 luglio ed il 16 luglio 1958, utilizzando un sestante ed allineandosi con il faro del grattacielo di Rimini. In seguito il Rosa cominciò a studiare l’Isola d’Acciaio “SAROM 1“, della S.A.R.O.M. (Società Azionaria Raffinazione Olii Minerali) di Attilio Monti, che fu costruita nel 1955 a largo di Ravenna per consentire la discarica di petroliere di grande pescaggio e portata. Il Rosa ipotizzò, per la posa della sua isola, di alzare il basso fondale marino con un sistema di dragaggio della sabbia trattenuta da alghe. Tale sopralluoghi avvennero utilizzando un natante, costruito, dallo stesso Rosa, in acciaio e propulso con un motore di una FIAT 500. I sopralluoghi proseguirono per tutta l’estate del 1960, con frequenza bisettimanale, avendo come base un capanno sul molo di Rimini.

Il punto era stato scelto! Fu chiamato “Z“, aveva una profondità (in alta marea) di 13,40 metri e fu segnalato con una boa luminosa fornita di campana per la nebbia e miraglio radabile, nonché le carte nautiche della zona furono aggiornate con gli opportuni riferimenti, così come previsto dalle disposizioni del Ministero della Marina Mercantile; infatti l’Istituto Idrografico della Marina, interpellato dalla Capitanerie di Porto di Rimini, confermava le suddette istruzioni con la Nota n° 13372 del 14 settembre 1960.
Nel 1961 gli studi ed i sopralluoghi continuarono, l’idea aveva “contagiato” anche il Sig. Rinaldini, proprietario del Cantiere Navale in destra di Rimini, entrando nel Porto. La flotta della ancora non costituita Repubblica si allargò con un moto-topo veneziano acquistato a Chioggia e battezzato “Luciano“.
Nell’estate del 1962 però, per problemi finanziari ed ingegneristici, l’impresa si bloccò anche perché nell’ottobre 1962 fu intimato dalle Autorità italiane di rimuovere qualsiasi ostacolo alla navigazione, cosa che avvenne. Il 30 maggio 1964 furono contattate le Capitanerie di Porto di Rimini, Ravenna e Pesaro, rispettivamente per opzionare gli spazi in banchina, per i rifornimenti di gasolio e per la costruzione della struttura dell’isola presso i Cantieri Navali e per la pubblicazione dell’avviso ai naviganti per la segnalazione della presenza di strutture. La costruzione dell’isola era iniziata! L’Isola delle Rose a costruzione ultimata. Il 18 aprile 1964 la Direzione Doganale di Bologna, con il Foglio n° 13463, aveva autorizzato l’imbarco ed il consumo a regime agevolato SIF (Senza Imposta di Fabbricazione) dei combustibili e dei lubrificanti adibiti ai natanti utilizzati per il trasporto dei materiali e per le macchine motrici funzionanti nell’isola. I tubi trafilati furono commissionati dalla Dalmine di Verdello di Bergamo e spediti ai Cantieri Navali di Pesaro, dove arrivarono all’inizio di luglio del 1964; qui furono assemblati e saldati.
La struttura fu completata il 14 luglio 1964: 9 tubi principali, della lunghezza di 36 metri e del diametro di 630 millimetri, riuniti in 3 gruppi da 3, sopra chiusi con calandre saldate, sotto con saracinesche, che una volta piazzata in mare la struttura in galleggiamento, si potevano aprire sicché il tutto, imbarcando acqua, andava ad appoggiarsi sul fondo, così da non dover utilizzare per la messa in opera sommozzatori e/o palombari. In questo periodo la flotta del Rosa acquisì anche un peschereccio in buono stato, il “Bruno I”, al comando il Comandante Eugenio Gori, ed un nuovo motoscafo, costruito dal Rosa stesso, e battezzato “Lidia“, che sostituì la barca del 1958, oramai demolita.
La struttura fu varata e trasportata via mare da tre rimorchiatori sul Punto “Z”: venerdì 31 luglio 1964 la struttura toccò il fondale.
Si cominciarono a montare le putrelle di testa alla struttura. La Edilpali ebbe l’appalto dell’ancoraggio dei tubi della struttura al fondale, che dovevano entrare per 12 metri nel fondale stesso. L’operazione, iniziata il 29 agosto 1964, fu affidata al Geom. Vicinelli. L’operazione si rilevò difficoltosa per degli errori di calcolo che comportò il blocco dei lavori fino al 21 settembre 1964.
Si avvicendarono come capibattipalisti il Sig. Guarnieli (dal 29 agosto 1964 al 1 ottobre 1964) e il Sig. Cabano (dal 1 ottobre 1964 al 13 febbraio 1965). Il 13 febbraio 1965 la struttura non essendo ancora ancorata al fondale per una mareggiata fu rovesciata. l’Ing. Fattorini della Società Adriatica di Ancona fu incaricato, con un pontone, di raddrizzarla, cosa che avvenne nel maggio/giugno del 1965. Un nuovo contratto per l’ancoraggio fu stipulato con l’Impresa Ferrari di Casalecchio del Reno (BO).

L’indipendenza

Per tutto il 1965 ed il 1966 proseguirono i lavori di armamento della struttura, ma molto lentamente, poiché per le avverse condizioni meteomarine si poteva operare per non più di circa tre giorni a settimana. Il 23 novembre 1966 la Capitaneria di Porto di Rimini intima di cessare i lavori privi di autorizzazione, poiché la zona era in concessione all’Eni. Il successivo 23 gennaio anche la Polizia s’interessa della vicenda, richiedendo conferma che si trattava di lavori sperimentali. Il 20 maggio 1967 alla profondità di 280 metri dal piano di calpestio dell’isola fu trovata, per perforazione, una falda di acqua dolce. Il 20 agosto 1967 l’isola si aprì al pubblico. Intanto sull’isola i lavori continuavano: sui pali fu gettato un piano in laterizio armato alto 8 metri sul livello del mare su cui si eressero dei muri che limitavano dei vani. L’area a disposizione era di 400 m². S’inizio una soprelevazione di un secondo piano, che doveva concludersi, in previsione, in cinque piani. Fu attrezzata anche l’area di sbarco dei battelli (la “Haveno Verda“, in italiano il “Porto Verde“) – che avveniva tramite banchine e scale – con dei tubi di gomma pieni di acqua dolce (con peso specifico, quindi, minore, di quello dell’acqua di mare e galleggianti) per tranquillizzare lo specchio d’acqua destinato allo sbarco; questa soluzione era adottata dalle analoghe piattaforme a largo di Londra.
L’isola artificiale dichiarò l’indipendenza l’1 maggio 1968, con Giorgio Rosa come Presidente.

Dall’indipendenza all’occupazione militare italiana

L’Isola delle Rose adottò come propria lingua ufficiale l’esperanto, per sancire nettamente la propria sovranità ed indipendenza dalla Repubblica Italiana, nonché per ribadire il carattere internazionale della nuova Repubblica. Il Rosa non era un esperantista, e fu consigliato per la scelta della lingua esperanto come lingua ufficiale, da un esperantista bolognese: padre francescano Albino Ciccanti, attivissimo a Rimini. Si ricorda che dal 18 al 23 settembre 1965 si svolse a Rimini il 36° Congresso Nazionale della FEI, la Federazione Esperantista Italiana. Questo evento dovette essere la molla comunicativa per la scelta (orientata da un attento marketing) della lingua ausiliaria internazionale esperanto come lingua della nuova Repubblica. L’altro unico esempio di adozione dell’esperanto come lingua ufficiale di una micronazione si ebbe con il progetto di adozione per il Territorio Libero di Moresnet, che si sarebbe dovuto trasformare nello Stato Esperantista Indipendente di Amikejo.

L’Isola delle Rose si dotò di una divisa monetaria per i francobolli: il “Mill” (al plurale “Mills“), che fu tradotto in esperanto come Milo (al plurale Miloj). Il valore del Mill, all’epoca, doveva essere corrispondente a quello della Lira italiana, quindi un cambio 1:1, alla pari, presumendolo dal fatto che il minor valore di francobolli per posta ordinaria era di 30 Mills ed in Italia di 30 Lire italiane. Tale tesi è avvalorata, anche, dal fatto che i foglietti con 10 valori da 30 Mills, equivalenti, quindi, a 300 Mills, erano venduti a 300 Lire italiane ed i singoli francobolli da 30 Mills affrancati su busta ed annullati con timbro e data a 150 Lire italiane. Doveva esserci anche un valore “Ros”, equivalente a 100 Mills/Miloj e, quindi, a 100 Lire italiane. Ma questa divisa per le monete non fu mai attuata.

Ordinamento della Repubblica

L’Isola delle Rose aveva un Governo, formato da una Presidenza del Consiglio dei Dipartimenti e da cinque Dipartimenti, suddivisi in Divisioni ed Uffici, con ognuno le seguenti specifiche codifiche alfanumeriche (Dipartimenti: numeri da “0” a “5”; Divisioni: lettere minuscole da “a” a “f”; Uffici: numeri romani da “I” a “V”, oppure lettere maiuscole da “A” a “D”, oppure senza codifica “-“), come segue:

0) Dipartimento Presidenza (Dott. Antonio Malossi).
1) Dipartimento Finanze (Prof.ssa Maria Alvergna):

a) Divisione Contabilità e Bilanci;
b) Banca Rosiana:

I) Ufficio Emissioni e Cambi;
II) Ufficio Depositi, Crediti, Assicurazioni.

2) Dipartimento Affari Interni (Dott. Carlo Chierici):

a) Divisione Porto;
b) Divisione Amministrativa:

I) Ufficio Notarile e Contratti;
II) Ufficio Registrazione Atti Pubblici e Privati;
III) Ufficio Anagrafe e Licenze;

c) Divisione Sanitaria;
d) Divisione Giustizia:

I) Ufficio Interni;
II) Ufficio Internazionale;

e) Divisione Difesa:

I) Ufficio Guardie e Sicurezza;
II) Ufficio Segnali e Meteorologia;

f) Divisione Istruzione.

3) Dipartimento dell’Industria e del Commercio (Dott. Luciano Marchetti):

a) Divisione Società:

I) KKK;
II) Servizi;
III) La Pubblicitaria;
IV) Import Export;
V) Editoriale;

b) Divisione Turismo e Sport.

4) Dipartimento delle Relazioni (Avv. Luciano Molè):

a) Società di Navigazione e Trasporti:

A) Bruno I;
B) Lidia;
C) Topo;
D) Trasporto Terzi;

b) Registro Navi Bandiera Rosiana;
c) Divisione Poste e Telegrafo:

-) Ufficio Postale;
-) Ufficio Radiocomunicazioni;
-) Ufficio Telefoni;

d) Divisione Giornalistica.

5) Dipartimento degli Affari Esteri (Dott.ssa Prof.ssa Cesarina Mezzini):

a) Divisione Consolati;
b) Divisione Organizzazioni Internazionali;
c) Divisione Riconoscimento, Rapporti Esteri, O.N.U..

Adottò come inno nazionale il Coro, vivace ma non troppo allegro, “Steuermann! Laß die Wacht!” (“Timoniere! Smonta di guardia!“), cioè il “Chor der Norwegischen Matrosen” (“Coro dei marinai norvegesi”) dalla 1° Scena del 3° Atto dell’Opera Romantica “Der fliegende Holländer” (“L’Olandese volante“) di Richard Wagner.

La notizia dell’indipendenza fu resa pubblica con una conferenza stampa solo lunedì 24 giugno 1968. La primavera riminese del 1968, come la precedente estate, vide grande traffico marino dalla costa italiana verso l’Isola delle Rose e viceversa, destando crescente preoccupazione da parte delle forze dell’ordine italiane che vi assistevano impotenti. Le azioni di Rosa furono viste dal governo italiano come uno stratagemma per raccogliere i proventi turistici senza il pagamento delle relative tasse, supponendo che l’Isola delle Rose fosse in acque territoriali italiane. Presto la Repubblica Italiana dispose un pattugliamento di motovedette della Guardia di Finanza e della Capitaneria di Porto vicino la piattaforma, impedendo a chiunque, costruttori compresi, di attraccarvi, di fatto ottenendo un blocco navale. In quel momento l’Isola delle Rose aveva soltanto un abitante stabile: Pietro Bernardini che, dopo aver naufragato nel Mare Adriatico durante una tempesta, raggiunse la sicurezza della piattaforma dopo 8 ore in mare; successivamente egli prese in affitto la piattaforma per un anno. Il 21 giugno 1968 il Rosa ebbe un colloquio con il Capitano Barnabà del S.I.D. – Servizio Informazioni Difesa, il servizio segreto militare italiano.

Dall’occupazione militare italiana alla distruzione

Il Governo italiano rispose rapidamente e con durezza: 55 giorni dopo la dichiarazione d’indipendenza, martedì 25 giugno 1968 alle 07:00 del mattino, una decina di pilotine della Polizia con agenti della D.I.G.O.S., dei Carabinieri e della Guardia di Finanza circondarono l’isola e la occuparono di fatto militarmente, prendendone possesso, senza alcun atto di violenza, con un’azione ai limiti del diritto internazionale, non contestando alcun reato o illecito, né violazioni alcune sulle leggi di polizia doganale, fiscale, sanitaria o di immigrazione. All’isola fu vietato qualunque attracco, e non fu consentito al guardiano, Pietro Bernardini, unica persona presente al momento sul manufatto, di sbarcare a terra. Il Governo della Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose inviò un telegramma al Presidente della Repubblica Italiana Giuseppe Saragat per protestare “la violazione della relativa sovranità e la ferita inflitta sul turismo locale dall’occupazione militare”, ma fu ignorato. 

Il 5 luglio 1968 l’Avv. Stefano Menicacci, deputato del Movimento Sociale Italiano, inoltra al Ministro dell’Interno Prof. Francesco Restivo, della Democrazia Cristiana, del II Governo “Leone”, della V Legislatura, in carica dal 24 giugno 1968, la seguente interrogazione:

« Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno per sapere quale sia l’atteggiamento ufficiale assunto dal Ministero in merito alla costruzione denominata “L’Insulo de la Rozoj” esistente al largo delle coste di Rimini, ed in particolare le disposizioni impartite alle autorità marittime italiane contro l’esistenza di tale grande manufatto marino. Inoltre, l’interrogante chiede di sapere se risponde a verità che la capitaneria del porto di Rimini già oltre un anno or sono per ordine del Ministro aveva impartito l’ordine di sospensione dei lavori e i motivi per i quali gli stessi, contravvenendo all’ordine ministeriale, non solo sono proseguiti, ma hanno portato ad una costruzione con condizioni di abitabilità, arredamento di negozi, stampigliatura di francobolli, apposizione di bandiera e conio di moneta, sino a far presumere l’esistenza di uno Stato-burletta nello Stato italiano. L’interrogante, inoltre, chiede di sapere in quale maniera intende intervenire con la massima energia per la tempestiva osservanza in casi del genere del codice della navigazione e delle leggi della Repubblica, oltre che per il rispetto – insieme all’ordinamento giuridico nazionale – dell’autorità statale anche al fine di non arrecare “a posteriori” pregiudizi economici e morali contro le iniziative incontrollate di terzi. »

(Stefano Menicacci, Interrogazione Parlamentare (3-00077) MENICACCI)

Il 9 luglio 1968 giunsero al Rosa varie proposte d’acquisto dell’isola. Il 10 luglio 1968 il Prof. Nicola Pagliarani, deputato del Partito Comunista Italiano, inoltra al Ministro dell’Interno Prof. Francesco Restivo, la seguente interrogazione:

« Al Ministro dell’interno. Per sapere i precedenti nonché l’atteggiamento ufficiale attuale assunto dal Ministero sulla vicenda della costruzione denominata L’Insulo de la Rozoj esistente al largo delle coste di Rimini, di cui si è avuta così vasta eco sulla stampa nazionale ed estera. »

(Nicola Pagliarani, Interrogazione Parlamentare (4-00473) PAGLIARANI)

L’11 luglio 1968 le Autorità italiane permisero al guardiano dell’isola di poter sbarcare a Rimini.

Il 7 agosto 1968 il Rosa fu interrogato dal Dott. Mariani della Questura di Bologna. È dell’8 agosto 1968 il Dispaccio n° 519601/1.20 del Ministero della Marina Mercantile (Ministro pro tempore Giovanni Spagnolli, Senatore della Democrazia Cristiana), indirizzato alla Capitaneria di Porto di Rimini, la quale per conto del suo Comandante pro tempore, Franco De Martino, il 17 agosto 1968 fece notificare a Gabriella Chierici il proprio Decreto n° 2/1968 del 16 agosto 1968, con il quale si intimava alla S.P.I.C., nelle persone del suo Presidente Gabriella Chierici e del suo Direttore Tecnico Giorgio Rosa, di provvedere a demolire il manufatto costruito al largo di Rimini, con avvertenza che in difetto si sarebbe proceduto alla demolizione d’ufficio. Il 27 agosto 1968 il Rosa notificò un ricorso in sede giurisdizionale (il n° 756/68), di due pagine, firmato dalla Sig.ra Gabriella Chierici, in qualità di Presidente della S.P.I.C., e dagli Avv.ti Elvio Fusaro ed Enzo Bruzzi alla Capitaneria di Porto di Rimini, per conoscenza, ed il 28 agosto 1968 consegnò lo stesso ricorso all’Ufficio Ricorsi del Consiglio di Stato a Roma con la richiesta di sospensiva al Decreto n° 2/1968 del 16 agosto 1968. La nota fu presa in esame dal Prof. Letizia e dal Prof. Ceccherini. Il 4 settembre 1968 il Dott. Umberto Lazzari, di Radio Monte Ceneri (Radio Svizzera di Lingua Italiana) interpellò il Relatore del Consiglio di Stato, che assicurò un esito positivo al Rosa. Il 21 e 22 settembre 1968 vennero indicati i nomi dei componenti della 6° Sezione del Consiglio di Stato che doveva giudicare: Presidente Dott. Vincenzo Uccellatore, Relatore Dott. Mario Gora, Consiglieri i Dottori Carlo Anelli, Lorenzo Cuonzo, Alfano Quaranta e Mario Egidio Schinaia, Segretario il Dott. Pasquale Del Po.

Il 24 settembre 1968 la Commissione Speciale del Consiglio di Stato produsse un parere favorevole in relazione ad un questito posto dalla Ministero della Marina Mercantile, circa i provvedimenti da adottare per la rimozione dell’isola, Il 27 settembre 1968 venne trattato in prima udienza il ricorso, una seconda seduta si tenne l’8 ottobre ed in questa sede il ricorso venne respinto; il Relatore Mario Gora e il Consigliere Lorenzo Cuonzo, in seguito si seppe, votarono favorevolmente al ricorso.

Intanto il 30 settembre 1968 le Autorità governative italiane stimarono (con un preventivo) che la demolizione dell’isola sarebbe costata circa 31 milioni di Lire (oltre 264.000,00 Euro del 2006, utilizzando i coefficienti annuali della tabella di rivalutazione monetaria dell’ISTAT). Contatti informali telefonici tra un non meglio identificato funzionario del Governo italiano ed il Prof. Letizia, affermavano che se gli Stati Uniti d’America avessero dato il placet per la demolizione, essa sarebbe stata, senza ombra di dubbio, eseguita in gran carriera. Il 6 ottobre 1968 l’Avv.ssa Praga propose al Rosa di interessare l’Avv. Nicola Catalano, già Giudice della Corte Europea di Giustizia dal 1958 al 1962, per un ricorso al Consiglio d’Europa di Strasburgo. Il 15 ottobre 1968 al Rosa fu comunicato dal Brigadiere Biscardi di Bologna e dal Dott. Olivieri, Capo Ufficio Postale di Via de’ Toschi n° 4 in Bologna, che giacevano in quell’Ufficio Postale, provenienti da Copenaghen, riviste e documenti per l’Isola delle Rose.

Sempre il 15 ottobre 1968 l’Aiutante Ufficiale Giudiziario Nello Vanini notificò un ulteriore ricorso in sede giurisdizionale (n° 951/68), di otto pagine, firmato dalla Sig.ra Gabriella Chierici, dallo stesso Rosa e dall’Avv. Fulvio Funaro alla Capitaneria di Porto di Rimini, per conoscenza, ricorso che fu inviato all’Ufficio Ricorsi del Consiglio di Stato a Roma con la richiesta di sospensiva al suddetto Decreto n° 2/1968 del 16 agosto 1968. Il 1 novembre 1968 fu interessato anche l’Avv. Giovanni Bersani, Deputato al Parlamento Europeo per le file della Democrazia Cristiana e l’Avv. Cleto Cucci del Foro di Rimini. Il 18 novembre 1968 l’Avv. Nicola Catalano, insieme con l’Avv. Cleto Cucci, decidono di chiedere l’Accertamento Tecnico Preventivo sull’isola.

Il 26 novembre 1968 l’Avv.Catalano ha un colloquio con il Prof. Renato Zangheri, del Partito Comunista Italiano che sarà Sindaco di Bologna dal 1970 al 1983, che (N.d.D..: citazione dal “Memoriale” dell’Ing. Giorgio Rosa) “sostiene che dietro a me [Giorgio Rosa] c’è una Potenza straniera“; si vociferò persino dell’Albania di Enver Hoxha, già fuori dal Patto di Varsavia.

Il 29 novembre 1968 arriva a Rimini un pontone della Marina Militare Italiana, che sbarca a terra tutto quanto vi era di trasportabile dall’isola. Sul pontone si preparano anche le cariche di esplosivo che dovranno essere collocate sull’isola per la demolizione. Nella stessa giornata, l’Avv. Catalano, a Parigi, viene informato telefonicamente del precipitare degli eventi dall’Avv.ssa Praga.

Il 1 dicembre 1968 il Rosa ha un colloquio con l’Ing. Luciano Gorini, Consigliere Comunale di Rimini nelle fila della Democrazia Cristiana e già Presidente dell’Azienda Autonoma di Soggiorno di Rimini dal 1960 al 1965, che presenta un’interpellanza. Altri telegrammi d’appoggio all’isola vengono spediti, da un tal Sig. Rico, a Pietro Nenni (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria), a Giacomo Brodolini, Giacomo Mancini, Luigi Preti (Partito Socialdemocratico Italiano) e Mario Tanassi (Partito Socialista Italiano).

Il 3 dicembre 1968 viene giurato l’Accertamento Tecnico Preventivo dell’Ing. Giuseppe Lombi di Rimini, che chiede 5 mesi per l’espletamento dell’incarico peritale. La Capitaneria di Porto di Rimini asserisce di non poter non eseguire l’Atto Amministrativo della demolizione, fissando per il giorno 10 dicembre 1968 il sopralluogo sull’isola. Ma il 10 dicembre 1968, causa mareggiata, il sopralluogo viene rimandato. Anche il Sig. Berti perora la causa dell’Isola delle Rose con l’Onorevole Luigi Preti, che però non ne vuol sentir parlare. Il 17 dicembre 1968 c’è un incontro tra l’Avv. Roma con l’Avv. Gozzi dell’Avvocatura dello Stato di Bologna e (N.d.D..: citazione dal “Memoriale” dell’Ing. Giorgio Rosa):

“si vocifera che il Governo italiano ne fa una questione di principio”.

Il 19 dicembre 1968 il Rosa ha dei colloqui con funzionari dello S.M.O.M. – Sovrano Militare Ordine di Malta, che però giudicano la questione “oramai troppo compromessa”. Il 21 dicembre 1968 si tiene un’udienza davanti al Pretore di Rimini, che mantiene il decreto di Accertamento Tecnico Preventivo, sollecitando i sopralluoghi peritali. Il 23 dicembre 1968 si svolge il sopralluogo. In mattinata sull’isola per constatarne lo stato si recano il consulente tecnico d’ufficio Ing. Lombi, il Geom. Gaetano Vasconi di Rimini ed il Geom. Nobili (ambedue come testimoni), nonché l’Ing. Buono di Ravenna, mentre nel pomeriggio nel Porto di Rimini si constata l’inventario dei materiali sequestrati dalla Marina Militare Italiana il 29 novembre. Parecchie apparecchiature però mancano all’appello, tra cui il nautofono.

Gli Esperantisti del G.E.R. – Gruppo Esperantista Riminese suggeriscono la donazione dell’isola a loro. Il 28 dicembre 1968 in mattinata nuovo sopralluogo sull’isola a cui partecipano l’Ing. Lombi ed il Rosa, che nel pomeriggio si reca a Villa Verucchio dal Sig. Gerardo Filiberto Dasi, per un incontro con l’Onorevole Luigi Preti, che rinnova il suo disinteressamento.

Il 22 gennaio 1969 il Pontone della Marina Militare Italiana salpa per l’Isola delle Rose, per la posa dell’esplosivo per la distruzione. Il Rosa rilascia una durissima intervista al Prof. Amedeo Montemaggi di Rimini de “Il Resto del Carlino”, che però l’edulcora tagliando la frase: “mi vergogno di essere italiano!“. L’11 febbraio 1969 sommozzatori della Marina Militare Italiana (del G.O.S. – Gruppo Operativo Subacquei appartenente al COM.SUB.IN. – Comando Subacqueo Incursori “Teseo Tesei”), demoliti i manufatti in muratura (cementizia e laterizia), e segati i raccordi tra i pali della struttura in acciaio dell’Isola delle Rose, la minano con 75 kg di esplosivo per palo (675 kg totali) per farla implodere e recuperare i detriti (perché pericolosi per la pesca), ma fatte brillare le cariche l’isola resiste, ebbero la sorpresa di non poter demolire i 9 piloni portanti di 36 metri in quanto erano stati costruite a cannocchiale e con l’esplosione si creava solo un’incavatura. Dopo 2 giorni, il 13 febbraio 1969 vengono applicati per ogni palo 120 kg di esplosivo (ben 1.080 kg totali), ma la nuova esplosione fa solo deformare la struttura portante dell’isola, che non cede.

Mercoledì 26 febbraio 1969 una burrasca fa inabissare l’Isola delle Rose.

L’atto finale viene comunicato nel Bollettino dei Naviganti della Emilia – Romagna. A Rimini “gli abitanti della Costa Romagnola” affiggono manifesti a lutto, in cui dicono:

« Nel momento della distruzione di Isola delle Rose, gli Operatori Economici della Costa Romagnola, si associano allo sdegno dei marittimi, degli albergatori e dei lavoratori tutti della Riviera Adriatica condannando l’atto di quanti incapaci di valide soluzioni dei problemi di fondo, hanno cercato di distrarre l’attenzione del Popolo Italiano con la rovina di una solida utile ed indovinata opera turistica. Gli abitanti della Costa Romagnola. »

Dalla distruzione alla leggenda (?)

L’affondamento, ed il successivo smantellamento, durato una quarantina di giorni, fino a circa metà aprile 1969, decretano la fine, anche fisica, della Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose, anche se per qualche tempo il Governo operò in esilio.

Il 6 giugno 1969 l’Avv. Giorgio Zagari, dell’Avvocatura Generale dello Stato redige la sua Memoria per il Consiglio di Stato che dovrà definitivamente deliberare.

Il 17 giugno 1969 la Sesta Sezione del Consiglio di Stato si riunisce in udienza così costituita: Presidente Dott. Vincenzo Uccellatore, Relatore il Dott. Alfano Quaranta, Consiglieri i Dottori Lorenzo Cuonzo, Angelo De Marco, Gaia, Mastropasqua: «Le pretese di sovranità, indipendenza e di diritti internazionali acquisiti dai proprietari della piattaforma, erano quasi tutti infondati, in quanto i cittadini italiani anche fuori dall’Italia devono sottostare alle leggi statali…» (questo in estrema sintesi si evince dal saggio sulla “Rivista di Diritto Internazionale” del 1968).

L’isola, inoltre, fu accusata di “intralcio alla navigazione“.


Questi gli avvenimenti, raccontati da un punto di vista prettamente storico e grazie alla fondamentale collaborazione di Delaheye.

Come premesso, sino a qualche tempo fa l’Isola era stata “archiviata” nella memoria collettiva priva di dietrologie e come un fenomeno curioso e singolare di anni giovanili, rivoluzionari e creativi, incasellato tra i tanti echi di una cultura Pop e globale che a Rimini – più che in altre destinazioni di maggior respiro e dimensione culturale e urbanistica, grazie agli scambi multiculturali garantiti dal turismo e da un’ideologia comunista ma flessibile – avevano incredibilmente (e comprensibilmente) ben attecchito e facevano mostra di se’ in luoghi ormai simbolici, alcuni dei quali tuttora esistenti e in piena attività, comparsi nell’arco degli anni Sessanta. Quelle che, in modo incisivo ed efficace, erano state ribattezzate dai nostri vecchi “americanédi” (americanate), si potevano rintracciare in modo esemplare nel Grattacielo di Rimini (1960), nei grandi magazzini Omnia (1963), nel primo pub italiano (Rose & Crown, 1964), nella via riminese a Disneyland, ovvero Fiabilandia (1967) e avrebbero continuato, proiettate verso il decennio successivo, nell’Italia in Miniatura (1970). L’Isola delle Rose si pone proprio tra questi fenomeni romagnoli peculiari e modernisti, a cavallo tra un territorio provinciale – ma sensibile ai grandi fenomeni culturali internazionali grazie a un milione di presenze turistiche (1967) – e il fascino dei simboli e dei totems occidentali, proiettati soprattutto in un’ottica commerciale totale, spesso borderline, orientata comprensibilmente e inevitabilmente allo sfruttamento dello smisurato indotto estivo romagnolo di quegli anni.

In quest’ottica realistica, priva di retorica ed enfasi, ignorando quei toni impropri da spy-story forzosi e quel crescendo da Complotto Internazionale che suscitano quasi tenerezza, appaiono coerenti e interessanti i contenuti del documentario attualmente in commercio sottotitolato, enfaticamente, “la Libertà fa paura“. Senza rivelare alcuno spoiler e suggerendone caldamente la visione, ci limitiamo a segnalare che, dalle numerose interviste e testimonianze dei protagonisti, emerge complessivamente un’iniziativa tipicamente italiana, scaltra, rustica e genuina, tecnicamente geniale ma commercialmente furba, che formalmente si pone ai margini (sotto tutti i punti di vista) di un territorio ricco, anzi stra-ricco, in cui tutto è sempre apparso possibile e nel quale ogni occasione [commerciale] lasciata è persa. O, per dirla con le parole dello stesso Ingegnere, “dove c’è libertà c’é ricchezza“: se tanto ci dà tanto…

Da riminesi vorremmo ricordare così l’avventura dell’Isola delle Rose, sorridendone sarcasticamente come probabilmente avrebbe fatto Giorgio Rosa: nessun contrabbando, nessun casinò, nessun lupanare isolano; nessun territorio franco, nessuna zecca clandestina, nessun distributore di carburante extradoganale; nessuna base sovietica, nessun punto di ascolto della CIA, nessun ripetitore clandestino, dimenticando anche l’ambiguità delle singole storie personali e, quindi, l’effettivo ruolo di alcuni soci stranieri… ma ricordando solo un irriducibile spirito di iniziativa provinciale, perfettamente in linea con quello romagnolo dell’epoca poiché spinto ai margini, se non addirittura nelle zone d’ombra, delle normative (anche internazionali) solo dalla prospettiva di un indotto praticamente illimitato: i numeri raggiunti e garantiti dalla novità turistica, onestamente riferiti dai protagonisti e da alcuni operatori della Riviera nel documentario, sono impressionanti ed esenti da qualsiasi controllo formale e giuridico; tale ingegnosa e pittoresca iniziativa, tanto originale quanto naïf, è stata motivata dai protagonisti e stravolta dai posteri – impropriamente e successivamente – soprattutto in un caso ideologico sensazionalistico, ma è oggettivo che rappresentasse soprattutto uno straordinario jolly mediatico e il modello di risky business definitivo per l’intera Riviera.

Questa è stata l’Isola delle Rose, la nazione durata una sola estate.


Bibliografia e riferimenti:

4 Commenti

  1. Visto il periodo di protesta, innovazione, critica alle istituzioni, stupisce che I giovani di allora ,
    abbondantemente coinvolti in occupazioni, proteste, non abbiano prestato alcuna attenzione alla singolare creazione e ancora piu singolare abbattimento dell Isola delle Rose

  2. Interessante e direi accurata ricostruzione storica, che però non chiarisce chi siano stati i finanziatori dell’impresa. Qualcuno degli autori o dei lettori ha informazioni a riguardo?
    Grazie
    Saluti e auguri di Buon Natale!

  3. Apprezzabile in se l’idea dell’indipendenza e deprecabile l’invasione delle stato italiano.

    Ma, “un paese indipendente dove gli intelligenti potessero comandare e gli idioti servire”, sa proprio di nostalgico del facsismo.

    Veltroni c’ha fatto un libro.

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