Pubblicato la prima volta il 2 Febbraio 2021 @ 10:12
L’Isola delle Rose: anelito di libertà o pura speculazione?
Il lettore ha ormai dedotto che la risposta, se ci si attiene ai meri eventi oggettivi, appare davvero complicata, soprattutto osservando attentamente il contesto storico, politico ed economico dell’epoca. L’estate del 1968, data di nascita ufficiale della micronazione nostrana “Insulo de la Rozoj”, è un periodo caratterizzato da grandi fermenti culturali internazionali e, quindi, rappresenta un’epoca particolarmente fertile per iniziative di carattere libertario, nel senso più ampio ed estremo del termine. Ad esempio è caratteristica di quegli anni la non rara consuetudine di oltrepassare i confini delle acque territoriali per avviare o sviluppare imprese ai margini delle legalità nazionali o in un ambiguo ambito di “vuoto normativo”: nel 1964 ad esempio, in Inghilterra, nasce la prima “radio pirata” (Radio Caroline), installata sulla nave omonima e finalizzata alla trasmissione di musica bandita dalle emittenti nazionali, come il Rock and Roll e il Beat. Nel 1967, invece, sempre nel Regno Unito, Paddy Roy Bates fonda una vera e propria “micronazione”, il Principato di Sealand, “domiciliato” nella fortezza marina Maunsell, residuato bellico posizionato su un banco di sabbia immediatamente al di fuori delle 3 miglia nautiche dalla costa, limite delle acque territoriali inglesi fino al 1987 (poi esteso a 12).
La vicenda di Sealand appare particolarmente interessante, poiché assomiglia in modo peculiare – per modalità e organizzazione – alla coeva iniziativa romagnola di Rosa. Bates è un ex conduttore radiofonico, già condannato per trasmissioni illecite – ma supportato da suggerimenti legali talmente spregiudicati da coadiuvare la metamorfosi da mera infrastruttura a vera e propria nazione, pur autoproclamatasi e dalle dimensioni irrisorie, finalmente libera da “lacci e lacciuoli” normativi e corredata addirittura dalla nomina di un proprio Governo, dall’emissione di passaporti e francobolli e dotata di un proprio, pittoresco vessillo. Un’altra analogia era la misteriosa commistione tra i componenti dei Governi micronazionali e socie e consiglieri di amministrazione delle società immanenti: laddove la creazione di Sealand contempla il coinvolgimento dell’oscuro commerciante e uomo d’affari tedesco Alexander Gottfried Achenbach, poi diventato Primo Ministro della micronazione stessa, la società S.P.I.C. (proprietaria dell’Isola) annovera tra i soci, oltre ai coniugi Rosa, diversi cittadini stranieri tra i quali spicca un «faccendiere internazionale» di origini svizzere, già protagonista di operazioni finanziarie e speculative in Lussemburgo, tal Joseph Gottfried Dubach-Villiger.
L’Isola delle Rose, a rafforzamento della propria autonomia dall’Italia, contempla addirittura una lingua indipendente (l’esperanto), un inno nazionale (il Coro dei marinai norvegesi, tratto dall’Olandese Volante di Richard Wagner) e una propria moneta, il mill, il cui valore dell’epoca è pari a quello della Lira italiana; tali curiose peculiarità generano la definizione di “stato-burletta”, coniata dal deputato Stefano Menicacci del M.S.I. in un’interrogazione al Ministro dell’Interno Francesco Restivo, il 24 giugno 19682.
La stagione così fertile di slanci rivoluzionari, a volte sfumati in “furbe” operazioni grazie a incertezze normative, vede così affermarsi l’Isola di Acciaio romagnola quale curiosa protagonista di primo piano nel panorama imprenditoriale locale e ambita meta popolare per motonavi turistiche e motoscafi privati divenendo, così, una vera e propria risorsa inedita e complementare per la già enorme offerta balneare. La stessa scelta dell’esperanto come lingua “ufficiale”, suggerimento riconducibile al padre francescano Albino Ciccanti, protagonista del Congresso Nazionale di Rimini del settembre 1965 e amico di Rosa (che però non è esperantista), risulta essere una soluzione originale più commerciale che filologica.
Il traffico di natanti verso l’Isola nei giorni successivi alla Fondazione del neo-stato, in quei mesi del 1968 così “caldi” sotto tutti i punti di vista, è talmente intenso che le autorità italiane iniziano a pattugliare l’attività dello «stato» sospettando che la romantica e altisonante iniziativa, in realtà, sia banalmente finalizzata a incassare considerevoli profitti dal turismo senza pagare alcuna tassa; tale pattugliamento si intensifica progressivamente sino a bloccare qualsiasi attracco alla piattaforma e facendo inalberare e gridare all’autoritarismo non solo i novelli indipendentisti, ma anche tutti gli operatori commerciali della Riviera, che traggono notevoli vantaggi economici dall’indotto marittimo. Gli eventi così precipitano: martedì 25 giugno 1968, alle 7:00 del mattino, una flottiglia di pilotine di Pubblica Sicurezza circonda l’isola e la occupano militarmente, prendendone possesso senza alcun atto di violenza, con un’azione ai limiti del diritto internazionale. Viene vietato qualunque attracco e al guardiano Pietro Bernardini, unica persona al momento sull’isola, è proibito lo sbarco a terra (verrà autorizzato l’11 luglio successivo).
Il Governo dell’Isola invia un telegramma al Presidente Saragat per protestare «la violazione della relativa sovranità e la ferita inflitta sul turismo locale dall’occupazione militare», ma viene ignorato.Iniziano a susseguirsi per mesi e contrapporsi, frenetiche, le carte bollate: notifiche, ricorsi e pareri si alternano, sollecitando l’intervento, sempre più distratto, delle figure istituzionali coinvolte nella complicata situazione ormai compromessa.
Il 22 gennaio 1969 un Pontone della Marina Militare Italiana salpa per la posa dell’esplosivo per la distruzione; l’11 febbraio i sommozzatori, demoliti i manufatti in muratura e segati i raccordi tra i pali della struttura in acciaio, la minano di esplosivo per farla implodere e recuperare i detriti, perché pericolosi per la pesca: fatte brillare le cariche, resistono i pali.
Il 26 febbraio 1969 una burrasca fa inabissare definitivamente l’Isola delle Rose, nello stesso momento in cui i commercianti riminesi affiggono un provocatorio manifesto funebre in cui viene annunciata la scomparsa di «una solida, utile ed indovinata opera turistica».
Forse questa definizione, semplice e definitiva, è la risposta migliore al controverso dilemma.
Ariminum
Anno XXVII – N. 5 Settembre/Ottobre 2020