Pubblicato la prima volta il 3 Ottobre 2018 @ 09:47
RiminiSparita, lancia una nuova proposta: non un inno alla nostalgia, sentimento pur nobile e, a volte, necessario. Perché a fermarsi alla nostalgia significa mettere un punto, quello di fine discorso, alla realtà. C’è invece la voglia di recuperare i tratti di un’identità con la quale dobbiamo fare i conti giorno per giorno, per vivere il presente come effetto di un passato più o meno lontano e come premessa di un futuro dove bisogna decidere cosa portare.
Si tratta di fare i conti con la bellezza dei luoghi, la peculiarità di uno stile di vita, il culto del cibo, il coraggio misto a pudore con cui si doveva affrontare la vita di ogni giorno, le botteghe che prima ancora di avvistarle le riconoscevi dall’odore, pensiamo ai “forni” come venivano chiamati i panifici che diffondevano la scia in tutto il rione, i rimedi naturali, anche perché non c’era altro, per guarire i malanni, oggi ripescati dalla new age, le espressioni dialettali che racchiudono una filosofia del tutto attuale come i principi di Aristotele o Platone: la roba clè ti chemp l’è di dio e dì sènt (1), non è una sintesi eccezionale di materialismo e spiritualismo? i soprannomi che ci raccontavano di una persona più della carta d’identità e che stavano ad ogni famiglia come il casato alla nobiltà: l’è la Maria di Neslong (2), ma anche, più semplicemente, la bellezza del suono dialettale, a prescindere dal significato.
Scriveva Fellini che “osc-ia dlamadona ha lo stesso fascino esotico di Rasciomon”.
Ma per rimanere nella nebbia felliniana di Amarcord, quelle più a rischio di sparizione sono le persone che per uno o più motivi sono diventate personaggi irripetibili della comunità.
Ed è su questi che RiminiSparita vuol accendere i riflettori, perché la loro unicità rimanga incisa nella memoria, unica funzione umana trasferibile nei tempi.
Si sorrideva al passaggio di Paolino (mudaja) preoccupandosi quando non lo si vedeva per giorni perché “l’è bon, un fa de mel ma nissun” mentre in altri casi il personaggio si identificava con la funzione o coi tratti del carattere: “cla bicicletta l’ora che ta la porta dalla Minghina” dava un’indicazione chiara per tutti, non da meno Biscarein. Così “a vag da la Mele” stava per “vado a comprare le poveracce nella Piazzetta” (omonima) mentre “ci come Cutmein” la diceva tutta dei saccentoni di turno. O Putac che, povero in canna tanto da dormire sotto una barca, spiccava per la sua generosità che lo portava a regalare la sua modestissima razione di pane.
Ma questa è solo l’introduzione in attesa delle segnalazioni, numerose, che arriveranno.
Certo è importante rifuggire dal rischio, forte, della retorica. Ma il rischio svanisce nel momento in cui la “stranezza”, altro termine in via si sparizione, non viene negata, perché strani lo erano davvero ma la civiltà stava e sta nel riconoscere tale stranezza come parte dell’insieme, del nostro insieme.
Non a caso un vecchio detto popolare diceva: quando il letto è bagnato se è stato uno ricco ha sudato, se è stato un povero s’è pisciato addosso. Per dire che il peso della diversità o i pregiudizi sono nella nostra testa non nella realtà. Così capita ancora che un sgnor sia stravagante mentre un purett l’è mezmatt ed che il primo abbia delle “passioni”, il secondo delle “manie”.
RiminiSparita vuole entrare in questo mondo, non solo per ricordarli ma anche svelarli finchè sono nella mente di qualcuno, personaggi a volte spavaldi, altre schivi, intellettuali od anche selvaggi, di spessore o “leggeri”, un po’ eroi un po’ filoni… in tutti i casi esemplari di una umanità molto riminese di cui siamo tutti figli.
(1): Quello che cresce nei campi ovvero dono della natura appartiene a Dio ed ai Santi, dunque non ha padroni terreni e chi ne ha bisogno per sfamarsi se ne può servire
(2): E’ Maria della Famiglia de “I Nasi Lunghi” soprannome derivato sicuramente dalla caratteristica fisica che caratterizzava gli appartenenti a quel ceppo famigliare e che, pertanto, si distingueva così da un’altra Maria