Pubblicato la prima volta il 29 Febbraio 2016 @ 00:00
“Cosa ci hanno lasciato” di Grazia Nardi
Vocabolario domestico: “Un’a’ nessun sug”
Non ha succo, ovvero è un tipo insulso, “un sà ad gnìnt”. L’aspetto fisico era sicuramente importante: anche allora, gli attori del cinema o dei fotoromanzi erano modelli di riferimento; quando ci si imbatteva in un bellone si commentava con “è pèr un artésta…”.. “l’assurmèja ma Amedeo Nàzzari” (con l’accento sulla prima “a”). C’erano poi dei prototipi quasi inesistenti in natura o, se vogliamo, in aree geografiche allora non ancora contaminate da popolazioni esotiche, eccezion fatta per i “gaģ” che marcavano il passaggio di inglesi e tedeschi durante la guerra e qualcuno decisamente più scuro a ricordo degli americani di colore… per cui la massima aspirazione era “mòr sj’öćć bló cèr o biönd sj’öćć vérd”.
Poi nella realtà non mancavano le delusioni, quando i bei fusti conosciuti coperti dal solo costume estivo, quello sgambato, abbassato sui fianchi, che si stringeva in vita col cordellino spesso volutamente allentato, petto villoso, si reicontravano “vestiti”, magari con giacca e camicia non proprio di sartoria, ”sbulinèd” come si diceva allora, con la cravatta (quando c’era) storta e scoordinata, la cintura fuori misura, i “calzétt” troppo corti, capelli impomatati lucidi di brillantina: allora si passava a “l’è tròp ròz, tròp grèz”.
In ogni caso, oltre il fisico “il sugo” aveva il suo peso soprattutto quando il soggetto apriva bocca, con argomenti scarsi magari trattati con una certa dose di superficialità e rientrando così tra quelli che “quand è zcòr… ut casca al brazi”, “l’è un ingnurènt”; oppure si trattava di quell’omino un pò grassoccio, non molto alto, con le unghie annerite dalla nicotina (quella del mignolo più lunga, da usare come leva per aprire il pacchetto di sigarette), la capsula d’oro in bocca esibita come simbolo di agiatezza; quelli che ricorrono alla battute, i doppi sensi, che quando parlano ti vengono vicino magari toccandoti una spalla: ecco quello no, non andava perché “l’è tròp materièl”.
E l’omone grande e grosso, “e’ sandròun”, che si muoveva in maniera goffa e maldestra, che ballando pestava i piedini della dama, sempre teso e sudato della serie “grand, gròs e quajòun”. E non mancava quello che “aveva studiato”, con un po’ di puzza sotto il naso che pronunciava correttamente i nomi degli attori inglesi; Gerri Liuis che per i più era Gèrri Lèvis, Tairon Pauer al posto di Tìrone Pòver, quello alla lunga risultava “tróp pesènt” e “us dà trópa impurtènza”.
In definitiva, se non era bello almeno fosse “simpatic”… insomma “cl’avés un bèl fè”, perché poteva essere “ragiuniér”, poteva avere “i possedimènt”, “i sòld tlà bascòza” ma il verdetto finale rimaneva: “se un mè piès, un mè piès”.