Pubblicato la prima volta il 27 Maggio 2020 @ 17:35
Con l’arrivo degli anni Sessanta dell’Ottocento, Rimini avverte l’esigenza di regolamentare il traffico della via Principe Umberto (oggi Giovanni XXIII). L’arteria, pur essendo grande e rettilinea, nella stagione dei bagni comincia a non reggere più il viavai di persone, veicoli e merci che procede in direzione dello Stabilimento balneare e della Stazione ferroviaria. Soprattutto nei giorni di mercato il movimento delle vetture, che fanno la spola dal centro storico ai due luoghi di riferimento, crea notevoli ostacoli alla circolazione e provoca non pochi incidenti: cavalli imbizzarriti che se ne vanno a briglie sciolte per la carreggiata, derrate alimentari che stramazzano a terra, litigi tra vetturali, urla, imprecazioni… . Proprio per queste scene di ordinario quotidiano, nell’estate del 1865 il municipio istituisce su quel tratto di strada il transito a senso unico. Tutte le vetture e i mezzi di trasporto che marciano in direzione del mare e della ferrovia sono obbligati a «battere», specifica l’ordinanza del sindaco, il corso Umberto, mentre quelli che ritornano in città devono procedere per le vie Clodia e Gambalunga.
Contemporaneamente all’istituzione del senso unico lungo la via Principe Umberto, il primo in assoluto nella storia di Rimini, si dettano le disposizioni anche per i parcheggi dei mezzi di locomozione che, da tempo, nei giorni di mercato creano notevoli inconvenienti ai cittadini. Gli esercenti, infatti, in assenza di precise norme, sono soliti abbandonare i carri e le bestie dove capita, per poi andarli a riprendere a mercato concluso. Le nuove regole del ’65 fissano i parcheggi, impongono i divieti e stabiliscono le contravvenzioni. Dal quell’anno nessuno potrà più fare il proprio comodo: qualsiasi veicolo, con o senza animali, dovrà essere lasciato sul piazzale della Rocca (piazza Malatesta) e nei piazzali delle chiese dei Teatini e di Santa Innocenza. I mezzi di trasporto che occuperanno altri spazi saranno multati.
Nei giorni di mercato la viabilità cittadina è completamente stravolta. La folla che cala a Rimini in quelle canoniche giornate crea un susseguirsi di ingorghi, ostruzioni e infortuni. La strada che risente maggiormente di questa baraonda è il corso d’Augusto e precisamente quel segmento compreso tra le due piazze: un «budello» sempre intasato di veicoli, che impediscono il normale cammino dei passanti. Tanto che in alcuni momenti della giornata attraversare quella strettoia diventa un’impresa.
Col tempo, inoltre, ai carri, ai barrocci e alle carrozze si aggiungono le biciclette, le motociclette e le automobili. Intorno alla fine degli anni Dieci il disordine su quella strada è talmente indescrivibile che qualcuno avanza l’ipotesi di istituire addirittura un’ “isola pedonale”; in mancanza di questa, c’è chi invoca più rigore nell’applicazione delle norme di circolazione ed in particolare di quelle che impongono l’utilizzo della circonvallazione per carri e carrette di passaggio. Norme, queste, che – a detta dei giornali – nessuno rispetta, perché manca chi, codice alla mano, provveda a stilare contravvenzioni. Scrive “Germinal” il 23 agosto 1919: «Il transito di quel tratto del corso d’Augusto che va da piazza Giulio Cesare a piazza Cavour è davvero impossibile sia per l’eccessivo agglomerato di persone, che specialmente nei giorni di mercato ostacolano il passaggio, sia per l’andirivieni continuo di veicoli d’ogni genere». Negli anni Venti su quel caotico tragitto si insediano addirittura i binari del tram elettrico e il mastodontico mezzo di trasporto pubblico, che dalla piazza Cavour raggiungerà l’affollata piazza Giulio Cesare e viceversa, non farà che aumentarne di gran lunga l’intasamento. Un po’ di respiro, si avrà a partire dagli anni Trenta, quando il mercato traslocherà nell’ex caserma di San Francesco. Ma poi, con l’aumento sempre più frenetico del traffico motorizzato, tutto tornerà come prima, se non peggio, e s’imporranno nuove regole. E tra queste, le innovative «segnalazione di viabilità elettrica», cioè i semafori. Il primo rivoluzionario aggeggio a tre luminosità viene installato nell’incrocio di via Tripoli con le vie Flaminia e XX Settembre. È il “Diario Cattolico” del 23 settembre 1933 che ne dà l’annuncio: «dal 3 corr. in avanti (nei crocevia …) la circolazione dei veicoli e dei pedoni è disciplinata da semafori a tre colori: verde, giallo, rosso. Il vede è segnale di via libera; il giallo è segnale di avvertimento e di sgombro; il rosso è segnale di arresto».
Manlio Masini
Ariminum
Anno XIX – N. 5 – Settembre/Ottobre 2012