Pubblicato la prima volta il 30 Aprile 2020 @ 18:13
Strano destino quello dell’Anfiteatro riminese.
Fiore all’occhiello e animato luogo di incontro e di pubblico divertimento nella città del II secolo, divenne con repentina trasformazione, sotto l’incalzare delle prime orde barbariche, baluardo di difesa fagocitato dalla cinta muraria urbana. Persa oramai la sua primaria funzionalità, l’area dell’Anfiteatro venne abbandonata, mentre le prestigiose, antiche vestigia finivano celate dalla vegetazione e dalla terra che vi si accumulava. Il ricordo della struttura romana persisteva nel toponimo “Le tane” cresciuto nel gergo popolare ad indicare le arcate che connotavano i resti del monumento, oggetto di continue spoliazioni per il recupero dei materiali da costruzione. Pur se inglobata nel circuito murario cittadino, la zona rimase sempre defilata rispetto al cuore vitale di Rimini. Emblematica la collocazione, nel Seicento, del Lazzaretto, luogo di isolamento posto lontano dal nucleo abitato. Nonostante le avverse vicende, l’Anfiteatro sopravvisse nella memoria locale, coperto da un alone di mistero che soltanto la curiosità indomita di Luigi Tonini, alla metà dell’Ottocento, riuscì a svelare.
I resti del settore settentrionale del monumento riminese rappresentano le uniche testimonianze di architettura anfiteatrale oggi sostanzialmente visibili in tutta la regione nonchè una delle più interessanti emergenze di edifici per spettacoli gladiatori nella Cisalpina.
Le indagini hanno appurato che il monumento poggiava su possenti murature a sviluppo radiale e concentrico, che delimitavano corridoi e ambienti di varie dimensioni, in alcuni casi inagibili e colmati a terrapieno per conferire maggiore solidità alle gradinate. Gli alzati erano costituiti da un nucleo cementizio in malta e çiottoli, ripartito da fasce marcapiano in mattoni; i muri erano rivestiti da grandi frammenti di laterizi che conferivano uniformità estetica alle parti in vista.
La pianta, di forma ellittica, misurava, sul perimetro esterno, m 117,72 x 88,08; il giro interno, corrispondente ai limiti dell’arena, era di m. 73,76 X 44,52.
Il monumento doveva svilupparsi in due ordini di arcate, per un’altezza totale di circa 15 m. Quanto posto in luce dagli scavi, limitato a pochi tratti dell’ordine inferiore, restituisce uno sviluppo complessivo di 60 fornici alti 5,30 m; gli archi erano inquadrati da pilastri piatti di ordine tuscanico sovrastati da un fregio a dentelli. Al di sopra, si innestava un basso attico. In corrispondenza dell’ingresso sull’asse minore ad Est, le indagini del 1934 rivelarono la particolarità di due piloni con semicolonne.
Sull’asse maggiore dell’edificio si aprivano i due ingressi principali, che immettevano nell’arena. Il portico-corridoio con volta a botte, che correva lungo il perimetro, era abbellito da alcune fontane a nicchia; da esso, tramite passaggi diretti o scale a una o più rampe, il pubblico poteva accedere alla cavea. Questa doveva essere ad unico ordine di gradinate, con sedili costituiti da lastre piane di pietra, talora dotate di iscrizioni con l’indicazione dei posti, così come documenta un blocco con il numerale XIlI inciso sulla fronte.
L’arena, nella quale si tenevano i giochi gladiatori, aveva un piano in semplice terra battuta, ricoperta di sabbia (arena in latino), funzionale allo svolgimento degli spettacoli. Al suo interno non si sono trovate tracce di ambienti sotterranei di servizio, ma solo condutture di drenaggio collegate ad un canale perimetrale (euripo) e a collettori fognari.
Il rinvenimento, nella muratura, di una moneta dell’imperatore Adriano, emessa tra il 119 e il 138 d.C., consente di datare la costruzione non prima del secondo venticinquennio del II sec. d.C. L’inserimento paesaggistico dell’Anfiteatro, quasi calato all’interno delle acque, doveva essere particolarmente apprezzabile attraverso la percezione visiva che se ne godeva dal porto; all’arrivo delle navi, infatti, la prospettiva di terra evidenziava immediatamente la sagoma del monumento che si stagliava in primo piano sull’orizzonte urbano. L’Anfiteatro doveva quindi rappresentare un segno forte, una connotazione di identità della città sul Marecchia una sorta di benvenuto e di accoglienza.
Angela Fontemaggi e Orietta Piolanti
Ariminum
n. 6 Novembre-Dicembre 1999