Costeggiando il Lungomare in seggiovia

A metà anni Cinquanta una società meranese aveva presentato un progetto pronto per la realizzazione, arenatosi poi nella burocrazia

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Progetto originale © Archivio di Stato Rimini

Pubblicato la prima volta il 4 Aprile 2022 @ 10:48

Quando si parla di intraprendenza emiliano-romagnola facendo riferimento, in particolare, agli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento – caratterizzati da un singolare e innovativo fermento imprenditoriale – viene a volte citata la prima e unica seggiovia balneare italiana, ovvero l’impianto a fune che ha collegato dal 1968 al 1974 la pineta del Campeggio Spina a Casalborsetti (FE) alla spiaggia. Tale curioso sistema, che la leggenda riconduce addirittura a un’intuizione di Raul Gardini, venne progettato nel 1967 e costruito dal geometra Fulvio Nascivera della ditta omonima di Rovereto (TN) per risolvere un banalissimo problema logistico: permettere agli ospiti di attraversare gratuitamente e comodamente, grazie al tragitto sospeso lungo poco più di un un chilometro, la zona paludosa della Sacca di Bellocchio – limitrofa alla foce del Reno – frapposta fra gli alloggi e la riva del mare; la struttura rimase in funzione per soli sei anni, affossata infine dai costi insostenibili di gestione e manutenzione.

Pochi però sanno (o ricordano) che addirittura dodici anni prima, ovvero nel 1956, venne presentata la relazione tecnica per la realizzazione di un’omologa seggiovia sul Lungomare di Rimini – idea in gestazione da due anni – con partenza vicino alla “Rotonda di viale Colombo”, oggi piazzale Fellini, e arrivo in prossimità di piazza Tripoli, oggi Marvelli, con stazione intermedia presso lo stabilimento dei Bagni Nettuno, imposta dalla presenza del fiume Ausa e dalla curvatura del percorso. L’Azienda di Soggiorno inizialmente propose il prolungamento del tragitto sino all’estremità del molo ma, nel marzo 1954, il Maggiore Sirotti Reggente della Capitaneria di Porto di Rimini, rilasciò parere negativo “per disturbo riguardo il faro e la Stazione di Vedetta”, che impose il ritorno definitivo all’ipotesi originaria.
La relazione tecnica conservata presso l’Archivio di Stato di Rimini del 20 aprile 1956, redatta dall’ingegner Arturo Tanesini di Bolzano e controfirmata dal richiedente la Concessione, cavalier Alberto Murari, indica tutte le caratteristiche dell’opera. Il percorso, parallelo al Lungomare, avrebbe valorizzato una “zona da considerarsi “morta”, trovandosi tra la siepe di protezione della spiaggia e il muro di sostegno del Lungomare stesso”. Rispetto alle tradizionali seggiovie dell’epoca, il documento specifica alcune peculiarità del progetto riminese: lunghezza 1,1 chilometri, 15 campate con distanze comprese tra 40 e 80 metri, franchi verticali con altezze variabili tra 8 e 10 metri, diametro fune 24 mm., seggiolini a due posti sormontati da un tendalino e distanti tra loro 29 metri, intervia di ben 3,60 metri “poiché è prudente considerare una qualità di viaggiatori non disciplinata e sovente poco tranquilla”, bassissima velocità di esercizio (1,2 m/sec), portata 300 persone/ora, percorso curvo in prossimità della stazione mediana “Nettuno”, movimento antiorario della linea, durata complessiva del viaggio 15 minuti. La stazione di Viale Colombo sarebbe stata motrice – potenza 20 CV – e ammarro, quella di piazza Tripoli tenditrice e di rinvio; le stazioni sarebbero state “coperte con decorosi fabbricati” e appositamente recintate.

A quel punto, però, doveva essere affrontata una fase burocratica non meno complicata ed espressamente indicata da Murari il 2 settembre 1956 in una lettera indirizzata al Commissario e al Presidente dell’Azienda di Soggiorno: “A norma del Decreto del Presidente della Repubblica del 28 giugno 1955, n. 771, la concessione di costruire e di esercitare la seggiovia (che è una funivia, a tutti gli effetti) è accordata dal Sindaco del Comune, previa deliberazione del Consiglio Comunale (art. 20). Peraltro, detta concessione può essere accordata soltanto dopo che il progetto sia stato approvato in linea tecnica dal Ministero dei Trasporti (art. 21) quindi, il Commissario Prefettizio del comune di Rimini dovrebbe in primo luogo mandare il progetto al Ministero dei Trasporti, tramite l’Ispettorato Compartimentale di Bologna della M.C.T.C. L’Ispettorato farà un primo esame del progetto e rimetterà tutto al Ministero. Il Ministero chiederà il parere tecnico all’apposita Commissione per le funicolari aeree e terrestri. Tutto tornerà poi al Comune di Rimini, e, se il progetto sarà stato approvato, allora il Comune (o Sindaco o Commissario) potrà procedere in sede amministrativa con l’atto di concessione”. Un iter formale che definiremmo eufemisticamente caotico, coinciso con le note vicissitudini politico/amministrative che portarono al provvisorio Commissariamento del Comune nel triennio 1954-57; tale complessiva incertezza incise, probabilmente in modo determinante, sulle fasi successive dell’opera e sul suo definitivo oblio.
L’anelito di questa iniziativa tanto curiosa quanto ambiziosa, secondo gli atti conservati in Archivio, risale infine all’aprile 1958 e consiste in una lettera autografa in cui il citato cavalier Murari, Amministratore Delegato della “Seggiovia Merano-Tappeiner-Monte Benedetto-Tirolo S.a.r.l.”, interpellato dal rieletto Walter Ceccaroni, rinnova al Sindaco il proprio interesse nell’investimento confermando la disponibilità della neonata società “Seggiovie di Rimini” al finanziamento dell’opera, sollecitando, nel contempo, la necessità di ottenere le autorizzazioni formali sulla base le relazioni tecniche di due anni prima, ma tale richiesta non riceve riscontri ufficiali.

Con quella missiva termina, quindi, la documentazione cronologica relativa a quel “sogno infrastrutturale” riminese: rimane comunque, oggi, lo stupore per un’ulteriore iniziativa rivoluzionaria legata alla Città e alla sua mitica epoca “Felix”, grazie all’entusiasmo che erano capaci di generare nell’immaginario collettivo.

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