Pubblicato la prima volta il 7 Settembre 2020 @ 11:47
Queste giornate di incertezza sull’immediato futuro del servizio Publiphono – che, infine, tornerà a cavallo tra luglio e agosto, grazie alla partecipazione dell’Amministrazione – ha generato un florilegio di articoli e servizi giornalistici sulla stampa nazionale che, pur rappresentando numeri e risultati importanti ma ormai noti ai più, non tengono conto della dimensione sensoriale e del potere evocativo e sentimentale delle sonorità balneari antiche e ormai riposte, che fanno riaffiorare in noi percezioni dimenticate e legate a un senso primordiale di estiva ed eterna giovinezza.
La fiaba, sonora come le favole che ascoltavamo su vinile, di Publiphono si apre proprio con un primigenio dubbio fonetico – singola o doppia “p”, Publiphono o Pubbliphono? – legato a suo stesso concepimento, nel 1946, ad opera dagli amici Sergio (Zavoli), Glauco (Cosmi) e Gino (Pagliarani), già attivi l’anno precedente con un servizio omologo, “Voci della Città”, destinato alla divulgazione quotidiana di notizie nell’etere cittadino grazie ad apparecchiature di fortuna: due giradischi americani e un microfono di Radio Tripoli, alimentati da un generatore rintracciato in aeroporto, collegati a dieci altoparlanti rintracciati nel magazzino dei pompieri appesi sui pochi muri urbani rimasti intatti. nel 1946 compare la definitiva denominazione, “pensando che [con] quell’acca in mezzo, come “philarmonica”, l’iniziativa sarebbe salita di tono e il messaggio stesso avrebbe guadagnato in autorevolezza”, ricorda Zavoli in “Romanza” (Guaraldi, 2005).
Se sull’acca non sorgono incertezze, a tutt’oggi neanche Ugo De Donato, figlio di Renato coinvolto da Zavoli nell’iniziativa e succeduto alla guida dell’azienda nel 1971 alla prematura scomparsa del padre, riesce a identificare se e quando sia cambiata la quantità di “p” nella denominazione: il dubbio viene ulteriormente complicato da un’iconografia storica quantomeno contraddittoria. E risuonano in modo differente anche le declinazioni assunte dal servizio nelle varie località balneari, da Milano Marittima a Pescara: l’iniziativa riminese si è infatti rivelata sin da subito talmente efficace da essere stata mutuata in buona parte della Riviera Adriatica; mentre a Rimini c’era, appunto, il marchio-ombrello Publiphono, a Riccione, Misano e Cattolica nasceva Publiphono Radiomare, a Senigallia Publimare, e, più a nord, Fonospiaggia (Cervia).
La capacità rievocativa dei suoni emessi dalle trombe rivierasche è il motivo per il quale Dino Risi apre il celeberrimo film “L’Ombrellone” (1965) con “Sulla spiaggia c’era lei”, di “Sonia e le Sorelle”, abbinando alla canzone immagini panoramiche di Riccione, di migliaia di bagnanti accalcati e delle auto in fila verso il mare: osservando la sigla di testa viene assolutamente spontaneo chiedersi se tale melodia provenga da un juke-box o dalla stessa Publiphono ed è palese l’accostamento della musica “balneare”, voluto dal regista, alle immagini iconiche della Riviera, poiché certe canzoni erano davvero diventate parte integrante (e inscindibile) del contesto estivo vacanziero romagnolo.
“La” Publiphono – nella mia famiglia l’articolo indeterminativo femminile era più consono “alla” radio che “al” servizio pubblico, ma anche in questo caso entra in gioco la sonorità soggettiva – per noi che siamo (stati) parte integrante della spiaggia, è (stata) elemento portante e quotidiano di un’iconografia estiva sì caotica e ciacarona ma, alla fine, invidiata da tutta Europa poiché peculiare ed efficace. Non ce ne vogliano l’insostituibile servizio pubblico e la perseveranza della famiglia De Donato nel strutturare, anno dopo anno, questa preziosissima risorsa collettiva: più che gli annunci di bambini o anziani smarriti o le norme di balneazione, noi riminesi diversamente giovani abbiamo progressivamente metabolizzato la litania di pubblicità e canzonette che scandivano, letteralmente, le nostre dilatatissime giornate di vacanza autoctona e, proprio per questo, ulteriormente oziose e seriali rispetto ai brevi e caotici soggiorni dei forestieri. Un po’ come il redivivo Nautofono, mero strumento nato per pubblica utilità ma evolutosi proustianamente in un approdo mnemonico e sicuro verso brume felliniane.
Un suono (agognato) della Publiphono ci riporta, quindi, all’avvio della trasmissione mattutina che, alle 11:00, significava inequivocabilmente l’autorizzazione a tuffarsi (finalmente!) in mare, poiché la prima colazione appariva ormai remota; parimenti, la conclusione della trasmissione pomeridiana, attorno alle 17:45, era il metaforico triplice fischio finale di interminabili partite di pallone in quella remota “terra di nessuno” tra capanni e Lungomare: quella striscia di sabbia era allora popolata solo dalle micidiali Nappole spinose e diventava un quotidiano calderone in cui si replicavano sfide europee o mondiali vissute in televisione la sera precedente. Ecco, in quelle arene incandescenti – non solo per la temperatura proibitiva – il palo della Publiphono veniva assurto a elemento centrale di una delle porte calcistiche e la sua trasmissione diventava il tappeto sonoro delle nostre gesta pseudo-atletiche.
Un suono (agghiacciante) era il grido esasperato: “Dove eri finito? Stavo per andare alla Publiphono!”, dichiarazione estrema dell’adulto angosciato dal ritardo dei giovani figli, scomparsi per ore sul pedalò. Sì, “andare” e non “chiamare” il servizio, come se Publiphono rappresentasse davvero l’entità suprema verso cui effettuare una sorta di pellegrinaggio.
Un suono (rassicurante) era l’inimitabile timbro della voce di autentici giganti della conduzione e dell’annuncio, ovvero professionisti provenienti da contesti eterogenei di primo piano come il jazz o la radio privata: ricordiamo, ad esempio, Vittorio Corcelli e Marco Magalotti prima o Betty Miranda e Gilberto Gattei poi.
Chiediamo, infine, scusa a De Donato: i risultati operativi di 74 anni di attività sono certamente eccezionali, ma per noi riminesi rimarrà prevalente e indelebile, più delle raccomandazioni formali della Capitaneria di Porto ai bagnanti, l’indicazione relativa alla posizione del “dancing Las Vegas” (“in fondo, a destra”). Ugo ci perdonerà, ma rimaniamo degli inguaribili romantici.
Ariminum
Anno XXVII – N. 4 Luglio-Agosto 2020
Ed insieme a Publiphono, nei miei ricordi di riminese nato nel 1945, non può mancare “Eccolo Pippo, bomboloni – croccanti – canditi; piangete bambini”…!!!