Pubblicato la prima volta il 4 Luglio 2020 @ 10:55
Come altre belle favole romagnole, felliniane, ovvero quelle che narrano di sognatori capaci di affascinare intere generazioni in tutto il mondo attraverso la propria creatività, anche questa storia inizia nell’anno magico 1920 e assume, in momenti diversi, le sfumature di un film. Una storia suggestiva e rocambolesca di puro ingegno rivierasco, consolidata nell’immaginario collettivo a Viserba di Rimini, ma dalle origini un poco più settentrionali.
Ivo Rambaldi nasce a Ravenna l’8 settembre in un contesto da romanzo ottocentesco: il padre di Ivo, Guglielmino, rimasto orfano giovanissimo, viene venduto a un contadino all’età di cinque anni, cresciuto in un fienile e pagato 5 soldi per faticare sei giorni la settimana. Ivo e Anselmo, fratello maggiore nato otto anni prima, iniziano così a lavorare prestissimo e creano una piccola ditta di lattoneria e termoidraulica. Nel 1934 Anselmo parte per cercare oro in Africa (tornerà dopo due anni, senza fortuna): improvvisamente, quindi, Ivo si ritrova imprenditore a soli quattordici anni. Ma non si perde d’animo. Nonostante abbia solo la quinta elementare, è vorace di conoscenza e nuove esperienze: una caratteristica che influenzerà in modo determinante la sua (e, infine, nostra) vita. Nel 1940, allo scoppio della guerra, si arruola in Marina (“Diceva: se proprio dovevo morire almeno avrei visitato il mondo”, ricorda oggi il figlio maggiore Paolo); il suo 23esimo compleanno coincide con l’8 settembre 1943, data di svolta nella storia italica. Da giorni è ricoverato all’Ospedale di Ancona a causa di un’otite; questa coincidenza gli permette di arruolarsi nelle brigate partigiane e sfuggire fortunosamente ai rastrellamenti tedeschi.
Dopo la guerra Ivo riprende il proprio mestiere. Ravenna è una città martoriata dai bombardamenti: lavorando sodo e bene, diventa uno dei protagonisti della ricostruzione edile cittadina; Paolo, oggi, ricorda che in tutte le scuole da lui frequentate negli anni Cinquanta e Sessanta sui termosifoni era sempre presente il bollino con il marchio Rambaldi. Arrivato ormai a contare cinquanta operai, nel 1965 Ivo sperimenta comunque altre iniziative imprenditoriali, non sempre fortunate: dalla frutta in tubetto ai sacchetti di plastica per lo shopping, ben prima che questi ultimi diventino d’uso comune. Ivo è indubbiamente un “esploratore”, sotto tutti i punti di vista: molto presto lo avrebbe dimostrato concretamente e definitivamente a tutto il mondo.
Nel 1968 visita “Swissminiatur”, ovvero un piccolo parco vicino a Lugano, aperto nel 1959, in cui poter ammirare gli edifici e i monumenti elvetici più famosi riprodotti in piccole dimensioni: Ivo ne rimane letteralmente sconvolto. «Al quinto passo dopo l’ingresso già mi figuravo le auto in coda sullo stradone di San Marino, dove immaginavo sarebbe sorta la nostra nuova realtà. Se la Svizzera, così piccola, era stata capace di creare un parco, non riuscivo a immaginare cosa avrebbe significato rappresentare tutta la ricchezza del nostro Paese». Ivo, infatti, è già proiettato – in tutti i sensi: gira infatti un filmino in 8mm per documentare nei dettagli l’esperienza ai famigliari e agli amici – alla riproduzione dello stesso format vicino a casa. Coinvolge subito il cognato Sergio Fabbri, esperto in modellismo; Paolo e zio Sergio iniziano così nel garage di casa. I primi esperimenti, per dimensioni e comodità logistica, sono la Tomba di Dante e il Capanno Garibaldi; le scale di riproduzione sono 1:33 (che sarà poi quella più utilizzata, come Piazza dei Miracoli a Pisa), 1:25 (come Sant’Apollinare in Classe) e 1:50 (come il Duomo di Milano). Oltre a setacciare fotografie e cartografie, da viaggiatore appassionato e curioso Ivo organizza costantemente pic-nic con gli amici in diverse zone turistiche, per osservare e valutare fisicamente gli eventuali monumenti ed edifici da riprodurre.
Paolo, all’epoca, frequenta l’Istituto Geometri e alterna le giornate tra la scuola e le miniature, che assorbono sempre più energie e risorse. Dal garage domestico il gruppo si sposta prima nella rimessa di zio Sergio (ormai lavorano alle riproduzioni stabilmente quattro persone), poi in una porzione del capannone di zio Anselmo: il numero di addetti raggiunge i sedici artigiani. Nel frattempo è necessario individuare un’area turisticamente attraente, all’epoca inesistente nella provincia ravennate; scartata una location lungo la Superstrada Rimini-San Marino e un’area attigua all’Autodromo Santamonica, i soci optano per Viserba, a Rimini Nord, una zona facilmente raggiungibile dalla Statale. L’ultima formalità rimane l’autorizzazione dell’Amministrazione, che però non comprende cosa intenda realizzare Rambaldi: si consideri che dopo la “Città della Domenica” a Perugia (1962), “Edenlandia” a Napoli (1965) e la “cugina” Fiabilandia (1966), “Italia in Miniatura” (questa la denominazione scelta) è il quarto parco di divertimenti italiano in assoluto. Per illustrare il progetto in modo inequivocabile, Ivo carica due miniature sul proprio Volkswagen Transporter e posteggia direttamente in piazza Cavour, mostrando le attrazioni future a Palazzo Garampi e ricevendo, quindi, un istantaneo riscontro positivo.
Arriva finalmente il giorno dell’apertura del Parco. Costato ben trecento milioni, all’esordio la struttura appare piuttosto spoglia: i vialetti non sono pavimentati, nel parcheggio i ciottoli colpiscono le altre auto in sosta e praticamente non c’è un filo d’erba; le miniature sono già 49, ma i biglietti venduti nelle prime settimane si contano sulle dita di due mani (costo: 400 Lire gli adulti, 200 i ragazzi). «Al massimo torneremo a fare i contadini come ai tempi del nonno», mormora sconsolato Ivo ai famigliari.
Solo dopo qualche settimana un giornalista di Epoca, capitato per puro caso, dedicherà al Parco un articolo corredato da alcune straordinarie foto, facendo levitare il pubblico giornaliero da poche unità a quasi mille.
È il 4 luglio 1970, esattamente cinquant’anni fa. Il resto è storia.
Ariminum
Anno XXVII – N. 3 Maggio-Giugno 2020