Pubblicato la prima volta il 9 Ottobre 2018 @ 11:50

Sapete cos’è una «torre del silenzio»? E’ una specie di palco sopraelevato in cui, nella tradizione zoroastriana, si depone il cadavere, perché sia smembrato dagli uccelli rapaci e non contamini la terra. Questa pratica era diffusissima nell’Iran pre-musulmano, e ora si conserva solo nelle comunità Parsi dell’India. Ma per vedere qualcosa di molto simile a una «torre del silenzio» senza spostarsi fino a Bombay, basta fare un salto alla Dimar. Non sappiamo se i proprietari del negozio abbiano a che fare con Zoroastro, ma è evidente che hanno deciso di liquidare il glorioso emporio di dischi e spartiti in puro stile parsi: abbandonandolo all’amorosa rapacità dei musicofili. Sulla salma ancora calda sono calati rapidamente stormi di avvoltoi da tutto il Centro-Nord, pronti a spolpare la labirintica carcassa di Dimar fino all’ultima musicassetta di Toni Santagata e fino all’ultima partitura per ocarina e viola da gamba curata dal maestro Vattelapeskij.
I riminesi si avventano sugli espositori con gli occhi lucidi più di commozione che di brama, e si contendono i brandelli del defunto in silenziosa mestizia, nell’illusione di ricomprare col settanta per cento di sconto un pezzetto della propria gioventù. I turisti ignari, che entrano pregustando un allegro saccheggio, si rendono subito conto che quella non è una normale svendita totale per cessata attività, come strillano cinicamente i manifesti affissi un po’ dappertutto. Soprattutto dopo i primi giorni, smaltite le code stile saldi di Harrods a Londra, c’è una strana atmosfera da veglia funebre, da camera ardente. La gente si saluta sospirando e scuotendo la testa, condivide ricordi, rievoca momenti speciali vissuti in quegli antri oscuri e pieni di rari tesori. Al funerale della Dimar, persone che non si vedevano da una vita si ritrovano e si scambiano le solite frasi di circostanza: eh, non ce l’ha fatta, peccato, ci mancherà, già, quanti ricordi. Dietro di loro, signori attempati dimenticano il decoro e scendono dal piano superiore con aria colpevole, tenendo due pacchi di vinili sotto le ascelle, una pila di cd in equilibrio sulla testa e un cofanetto Deutsche Grammophon in bocca. Anziane con la permanente e la calza antivarici affrontano eroicamente la scaletta dell’ammezzato in cerca di vecchie compilation di Modugno. Ragazzi abbonati ai reparti pop e rock si avventurano per la prima e ultima volta al piano superiore, nelle misteriose regioni del jazz, della classica e del musical: un’esperienza che si tenevano per la vecchiaia, ma vedi te che scherzi fa il destino.
C’è il cacciatore di rarità che arriva con la lista, e c’è chi sostiene di essere lì soltanto per respirare ancora una volta «odore di Dimar», quell’inconfondibile aroma di moquette, vinile e polvere che ha segnato tante giovinezze, e che presto si dissolverà per sempre, forse per lasciare il posto ai dozzinali effluvi dell’ennesima profumeria. C’è chi dice “faccio un giro solo” e poi torna tutti i giorni, e chi dice “torno”, ma poi non ce la fa perché ha troppo magone, e alla fin fine, oggi in rete si trova tutto, non vale la pena di riempirsi la casa di vinili e cassette, quando lo stereo e il mangiacassette sono da tempo terra da pignatte. La vita continua, su altri supporti. E del palazzo della musica di Corso d’Augusto 49 resta solo una «torre del silenzio».
Lia Celi
Chiamami Città
agosto 2009
Non ricordavo questo pezzo di Lia Celi, sempre bravissima. Grazie.
Vorrei sapere se è stata scattata una foto alla Dimar di Pesaro, quando passò Lucio Battisti con il figlio, circa 1989 ! Grazie !
Caro Gianfranco, come avrà potuto notare noi ci occupiamo specificatamente di iconografia riminese. Ci spiace.