Pubblicato la prima volta il 1 Settembre 2018 @ 09:47

Ebbene sì, sono figlia del bagnino poi divenuta sorella del bagnino quando mio fratello è subentrato nell’attività. Ancora oggi, a una veneranda età, mi capita di dover rispondere a vecchi clienti reincontrati per caso, conosciuti cinquant’anni fa, “scusi ma lei non è la figlia del bagnino?”
Il che la dice lunga sul ruolo del bagnino che rimane un vero e proprio tratto identitario della riminesità. Che piaccia o no!
Oggi i temi che ruotano attorno alla categoria degli “operatori di spiaggia” sono altri e non saranno certo affrontati in questa sede ma è innegabile che negli anni in cui il bagnino è passato dalle “sabbiature” all’installazione dei pannelli solari, dalle tende fermate dai picchetti battuti con la mazza agli ombrelloni automatici, dal pranzo portato da casa consumato su di un banchetto alla cabina attrezzata a cucina, dal lavaggio manuale delle attrezzature con tanto di scopetta ai macchinari a vapore, da una clientela d’alta borghesia e, addirittura, di nobiltà decaduta (nel titolo ma non già nella mentalità) ad un pubblico socialmente ed economicamente trasversale….in questo periodo si concentra tutta l’evoluzione non solo del turismo, come ovvio, ma dell’intero costume sociale. La particolarità è che il tutto avveniva (ed ancor oggi avviene) nel microcosmo della zona ovvero lo stabilimento balneare dove si avvicendano le generazioni, i figli dei figli, le vecchie tradizioni e le nuove tendenze.
Perché un pataca è sempre un pataca ma se lo dici in spiaggia diventa internazionale.
Già a parlare di costume viene in mente subito quello da bagno. E basti dire che negli anni 50 la parte sexy spettava all’uomo con gli slip copripube, scosciati, uniti sui fianchi da un cordellino distrattamente rallentato…le donne, col costume in pudica tinta unita, di LANA! Poi sostituito da quello di filanca, con un doppio riporto che garantiva la totale copertura del ventre e della peluria più intima e selvaggia. Eh sì perché i peli, allora, sul petto degli uomini o altrove nelle donne, stimolavano i sensori della sensualità.
Erano anni, quelli 50, in cui si usciva dalla guerra e lo spirito di conservazione era più forte di quello critico e/o creativo. Difficile percepire come impresa qualcosa che avveniva sulla sabbia. Ricordo uno dei bar di Marina Centro, una struttura in legno che i titolari, desolati per i mancati guadagni, non riuscivano a rivendere. I turisti si avvicinavano per qualche aranciata, i bambini per un bicchiere d’acqua, il resto veniva da casa trasportato con borse cariche di frutta, panini, ciotole e “cartocci”.
Non c’era ancora la concezione del “settore” coordinato per cui ombrelloni e sedie sdraio, da subito ribattezzate “sdrai”, variopinti nei colori, venivano rimpiazzati quando i rammendi e le riparazioni effettuate direttamente dal bagnino “non tenevano più”.
Sulla gara dei clienti per accaparrarsi quelli nuovi, dirò poi. Idem per poter avere l’ombrellone in prima fila, il primo status simbol del dopoguerra riminese.
Sui birri, i zanza molto si è detto in “Falce, martello e lasagne”. Ma in spiaggia nasce il latin lover di casa nostra.
E’ il bagnino il primo vero simbolo del madeinitaly e, nel nostro caso, del madeinrimini. Abbronzatura ineguagliabile, fisico possente, muscoli alimentati dal sollevamento di ombrelloni, sdrai, pedane, paletti. In piedi sul moscone, petto in fuori, braccia ai remi, appariva il dio Nettuno, con una carica erotica che sprigionava dall’odore inconfondibile della pelle, misto di salsedine, ambra solare e sudore fresco.
Straniere incantate, giovani italiane in ansiosa attesa della “prima volta”, mogli (degli altri) raggiunte dal marito solo nei fine settimana. E le chiavi delle cabine a portata di mano……..
Il bagnino, quello doc, era rigorosamente riminese, di origine e discendenze marinaresche. Sì, perché il bagnino autoctono era innanzitutto un amante ed un “intenditore” del mare. Ne conosceva i flussi, le correnti, gli umori variabili e la prudenza con cui va affrontato, perché un marinaio vero il mare non lo sfida, lo rispetta. Il mare era il culto anche dell’inverno passato a rastrellare, raccogliere le poveracce, i cannelli e, soprattutto, a controllare che tutto fosse a “posto”. Le tracce sulla sabbia, i resti lasciati da frequentatori più o meno occasionali venivano accuratamente vagliati per mettere a punto i controlli e le relative frequenze.
Ho visto mio babbo già non più giovanissimo uscire di casa, dalla Barafonda in piena nevicata, con gli zoccoli olandesi ai piedi, diretto verso la zona di Marina Centro. La Elsa: “Du vet sa ste temp?” Risposta indignata per tanta insensibilità: “Um tocarà andé veda a mareina, anavì nessun sentiment!” Perché come diceva il bagnino Attilio in un italiano approssimativo nella forma ma sostanziale nel contenuto: “la spiaggia l’è la mi risorsita”.
Dunque il bagnino era in grado di predire il tempo meteorologico, altrochè internet.
“Oz l’è bunaza” (mare calmo, senza vento); “l’è beva bienca” (brezza leggera, lieve increspatura delle onde)”, ai primi feschi “oz è fa’ maestralon”.
D. “Bagnino pioverà?”
R. “Eh oz un l’ha dla bona…..dall’ostro, dall’ostrooo”
La scena tragico comica si verificava nei giorni di garbino quando il caldo favoriva la corsa al mare ed il sole picchiava in testa. Lì il bagnino si sentiva un leone in una foresta in fiamme. Come spiegare ad un turista pagante che quel vento subdolo poteva far volare l’ombrellone aperto come un aliante, farlo piroettare a mezz’aria per poi planarlo sulla altrui testa, non prima di essersi lacerato nella copertura o spezzato nelle stecche?
Ma nonostante il monito proveniente dal Pubbliphono che invitava alla serrata degli ombrelloni, non mancava mai un incauto cliente che se lo apriva da solo con uno sforzo disumano. Che ci vorrà mai? Ogni mattina il bagnino ne apriva duecento con una mano sola ed una flessione del busto, senza spostarsi di un millimetro. Dunque doveva essere un’operazione semplicissima!
Arrivato al quarto tentativo il turista, ingobbito, con la pelle della mano lacerata non andava oltre il raggio di apertura di dieci centimetri e passava quindi al piano B togliendo l’ombrellone dal paletto e, rovesciandolo sulla sabbia, lo apriva all’incontrario per poi ricollocarlo in sede, barcollante ma orgoglioso dell’impresa.
Al primo reful, con gli occhi infuocati dalla sabbia che mulinava, il bagnino rincorreva l’ombrellone divelto lanciando anatemi in stretto dialetto riminese contro il cliente. Le parole non arrivavano ma l’urlo gutturale non lasciava dubbi!
“L’umore” del bagnino, la relazione verbale e sociale coi clienti meriterà un capitolo a sé.
Sì, il bagnino doveva essere forte ed in salute. Sdrai e lettini prima in legno poi in ferro, paletti prima in legno poi in cemento, gli ombrelloni caricati sulle spalle venivano riposti ogni sera nelle cabine e riposizionati la mattina successiva.
La pelle cotta dal sole costituiva una barriera difensiva che durava per tutto l’anno, inverno compreso, rendendola refrattaria al caldo ed al freddo. Piedi planati, insensibili al calore della sabbia anche nelle ore dello zenit. Temperatura corporea autoregolata. Mai visto mio babbo sudato tantomeno col raffreddore. Anche perché passata la prima giovinezza era di rigore la canottiera blu di lana, fatta ad hoc dalla magliaia, che proteggeva dalle correnti d’aria, lasciava traspirare pur assorbendo il sudore. A proposito di abbigliamento, un particolare dei calzoncini che non mancava mai era la tasca dietro chiusa dalla pattina, fissata dal bottone, dove il bagnino teneva il portafoglio. Difficilmente si trovavano in commercio per cui l’asola, in genere, veniva aggiunta dalla moglie.
Altro stile il bagnino arrivato in seconda battuta, calato dalle campagne vicine, attratto dall’investimento. Quello che, con orrore del bagnino doc, camminava sulla passerella con sandali e calzini, non sopportando il contatto diretto con la sabbia. “E’ bagnoin”, come lo definiva con spregio sarcastico mio babbo, “quel che pensa ch’è mer sia una pozza per dè da bè magli anadri”.
Comincia lì la differenza tra il bagnino ed il noleggiatore…
ho letto con il sorriso sulle labbra : il sapore della mia terra, la mia vita in queste parole. Vivo a Brescia da 47 anni, ma appena arriva l’estate corro a Igea Marina .La forza di quei padri solo un romagnolo la puo’ capire. Il mi cuore sara’ sempre legato alla mia terra e sono convinta che i sacrifici di quegli anni mi abbiano dato una marcia in piu’.