“Uj dà d’inzèc”

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Pubblicato la prima volta il 19 Ottobre 2015 @ 00:00

“Cosa ci hanno lasciato” di Grazia Nardi
Vocabolario domestico: “Uj dà d’inzèc”

Ammessa anche la forma “uj dà d’inzècca”, tira ad indovinare. L’espressione veniva usata da chi commentava ma non di meno dallo stesso protagonista “aj dag d’inzèc”: stava ad indicare una imprecisione, un pressapochismo nel rispondere a una domanda o nell’effettuare un’operazione, laddove non sussistevano elementi e competenze per una reazione motivata e consapevole.
Oggi mi fa venire in mente i test che furoreggiano su Facebook, alcuni particolarmente banali e dall’esito scontato, altri con quesiti astrusi cui, spesso, “si dà d’inzèc” ottenendo il risultato “complimenti, sei un genio!”. Ed il commento, come si nota, era rivolto soprattutto al genere maschile, perché era quello che maggiormente si esponeva a figuracce “l’è un zòticòn”,”grèz”, “l’è propri ignùrènt”, perché le donne, per l’accentuata divisione dei ruoli assai marcata al quel tempo, erano giudicate soprattutto per l’aspetto fisico e per le loro abilità di massaia. Con le parole se la cavano meglio, perché durante il giorno sfaccendavano con la radio in sottofondo che trasmetteva commedie e notiziari e leggevano certamente poca letteratura ma riviste come “Grand-Hotel”, “Intimità”, “Confidenze” che, in ogni caso, facevano conoscere i termini di maggiore attualità.

Ma, come spesso capita nel dialetto, l’espressione a seconda del contesto e del tono, assumeva significati diversi. Era facile commentare così ma con tono sarcastico una risposta esatta da parte di chi non avesse cultura né formazione scolastica, i sapientoni che non mancano mai preferivano credere che “uj dà d’inzèc” vale a dire, data la condizione sociale e culturale un poveraccio NON poteva rispondere correttamente, il che è vero (ma non sempre). Mio babbo Attilio, orfano di madre fin da piccolissimo, aveva frequentato qualche giorno della prima elementare imparando, pressoché esclusivamente, solo la propria firma e non era cosa da poco perché, in alternativa, si firmava con una croce, avallata da due testimoni A quattordici anni, s’imbarcò sui mercantili che lo hanno portato a Liverpool, Boston, Odessa… Divenuto adulto, in un periodo in cui le barche da diporto non erano ancora dotate di radar, i professionisti che s’erano “fatti” la barca, la domenica lo venivano a chiamare per uscire in mare. Lo facevano per la sua abilità nel cucinare il sugo con gli sgomberi, per la sua sapienza nel trattare il pesce prima con la rete poi col tegame ma lo facevano perché, come diceva lui “lór i sarà inzniér ma sènza da me in tórna in pòrt”, perché l’entrata nel porto di Rimini era operazione assai complessa. Tuttavia è vero che tante persone apprendevano di più e solo con l’esperienza diretta, che si avvalevano dell’intuito, del “già sentito dire”, delle probabilità e, in molti casi, appunto, ci davano “d’inzècca”.
Eppoi c’erano parole e frasi che affascinavano per il loro suono o perché davano un tono importante. Così il babbo, trovandosi di fronte a gente colta, riteneva di dover uscire dal linguaggio dialettale per parlare in italiano.. allora per rendere più importante il suo discorso lo infarciva, non sempre a proposito, di “ogni qualvolta”, di “la quale”… “ mi affido di lei” per poi approdare ad un gerundio maccheronico del “fando così” per non dire dell’impossibilità a pronunciare parole che pure si ascoltavano nella loro formulazione corretta. E allora il diabete diventava “j abeti”, i Beatles” erano i “bitter”, la crocerossina “la crociossarina”… Del resto ci riferiamo ad periodo in cui l’analfabetismo era assai diffuso…ed anche la proprietà di linguaggio molto limitata. E, al di là dei giudizi critici in molti casi fondati, la TV avrà un ruolo determinante nel miglioramento delle condizioni linguistiche non tanto perché introdurrà la mitica trasmissione “Non è mai troppo tardi”, ma per la ricchezza di vocaboli che caratterizzava i dialoghi delle commedie, dei documentari e dei film portando nelle case una finestra che si apriva sul mondo.

Oggi, a sentire presentatori e personaggi che ignorano congiuntivo e passato remoto, sintassi e concordanza dei tempi, appare chiaro che si vada nella direzione diametralmente opposta. Ma saranno i figli, già quelli che negli anni ’50 frequentavano puntualmente la scuola elementare, ad arricchire le nozioni dei propri genitori. Insegnai al babbo il calcolo della percentuale che gli interessava parecchio per definire gli sconti sulle merci e, quindi le operazioni della moltiplicazione e della divisione ed anche la soluzione di alcune equazioni. Insomma in molte case i bambini divennero maestri e i genitori alunni. Capita ancora, se è vero che sento sempre più spesso dire “è mi fiól” o “è mi anvód” u mà insgnè a druvè e’ compiuter…”

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