“Quand a sém tlà butéga nun dmànda gnìnt”

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“Cosa ci hanno lasciato” di Grazia Nardi
Vocabolario domestico: “Quand a sém tlà butéga nun dmànda gnìnt”

Era il monito della mamma, detto una volta, valido per sempre. Nel negozio, soprattutto di generi alimentari, a dire il vero l’unico frequentato con una certa regolarità, noi bambini non dovevamo chiedere niente, non esistevano i “capricci” neanche in senso figurato, “voglio quello, voglio quell’altro”, appartertenevano ad una lingua straniera! Poi la mamma, già più “moderna” rispetto la generazione precedente, più sensibile verso i desideri dei bambini, aggiungeva un “quand a pòs a ve còmpre da per me”. Per noi bambini il messaggio era chiaro, non solo perché non avvezzi a smancerie ed il termine “vizièd” era un’ingiuria che nessuno di noi avrebbe voluto ricevere ma perché sapevamo, già alla nostra età, quale fosse la situazione economica della nostra famiglia. Si captavano i discorsi, si leggevano le proccupazioni sui volti: “a voj sperè da truvè l’imbèrc“ (il babbo era marinaio), “stè més jè ènca la bulèta dlà luce!”.
Si vedevano i “salti mortali” della mamma per mettere insieme pranzo e cena e non farci patire la fame che aveva sofferto lei: tutte quelle ore dedicate alla cucina non erano una “tendenza”, come quella che oggi ammorba su ogni sito tv, era una necessità per trarre la massima riuscita col minimo di spesa, nessun scarto, ogni scorta andava consumata fino ad esaurimento, anche le briciole sul tavolo venivano raccolte. Ho già detto della mamma che, quando la cena scarseggiava, s’inventava un “stasera a n’ho fèma” e ripassava il guscio delle poveracce, dove rimaneva attaccato quel cicciolino – “e’ zgatùl” – che noi bambini non riuscivamo a mangiare. E quando scendevemo in cortile per giocare coi compagni, ci diceva “oggi la merenda non c’è per tutti, quando vi chiamo salite a casa”, anche se piccoli ci passava in testa tutta la realtà cruda e vivevamo contemporaneamente l’innocenza dei bambini che giocano e i “pensieri” dei grandi cui volevamo più bene.

Dunque anche se, entrati nel negozio, gli occhi cadevano su quei vasi di vetro pieni di dolci, piuttosto che far intravedere il desiderio, si abbassava la testa, era il nostro modo di essere partecipi alla gestione familiare. Oggi, assistiamo tutti alle scene isteriche di bambini che si gettano a terra, nei supermarket, al primo cenno di debole rifiuto della mamma o del babbo, che mandano a ‘fanc*lo quando il genitore cerca di resistere all’insistenza. Non sono i “vizi” ad impressionarmi giacchè viviamo un momento in cui si pensa così di dimostrare il proprio affetto. Lo fanno anche con cani a gatti. E’ che, pur in una società dove tutto ha un prezzo, si dovrebbe mandare il messaggio chiaro che non tutto si può comprare.

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