Rimax e il quarantasei

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Rimax

Pubblicato la prima volta il 7 Settembre 2018 @ 09:39

Capitolo 30 – 1993 Il quarantasei

Quell’anno lui non era ancora il quarantasei e arrivare a Riccione, che era più vicina a casa sua, sarebbe stato più comodo. Ma Rimini d’inverno con quel lungomare così lungo, senza traffico, la picchiata verso la rotonda, il rumore delle marce scalate in rapida processione, inclinarsi a spazzolare l’asfalto proprio lì dove l’aveva fatto Ago, vuoi mettere?

Raddrizzarsi, inclinarsi, una piccola derapata poi via dritto fino alla palata.

Quando era possibile, quando la giornata era di quelle limpide ma fredde, che non invogliano nessuno a uscire di casa, a volte il biondino la sua scappata la faceva.

 

La moto fu fatta scendere dal furgone mentre lui si liberava del giubbotto che copriva l’aderente tuta di pelle. Poi il furgone ripartì in direzione del porto. I suoi amici sarebbero scesi a distanze regolari lungo il tragitto. Il segnale con il braccio alzato sarebbe stato quello di via libera. Lui li avrebbe visti da lontano dandogli tutto il tempo per mettere in sicurezza la sua corsa, rallentare e anche fermarsi, se necessario. Al porto il furgone parcheggiò e lo scivolo appoggiato al portellone posteriore. All’arrivo moto e motociclista sarebbero scomparsi all’interno. Spesso in quelle occasioni comparivano i vigili urbani a interrompere il divertimento.

All’inizio guidò cautamente, scaldando il motore e le gomme. Ma era una giornata perfetta, fredda e soleggiata, e senza un’anima in giro. Accelerò via via sempre di più. Si lanciò verso piazza Tripoli e la promessa della lontana rotonda e delle sue pieghe lo galvanizzò.

Piombò sulla curva come un sasso sparato da una fionda nel uau uau delle marce scalate .

Destra, sinistra, ancora destra, scavallando rapido sulla sella, cercando il modo di raddrizzare il più possibile le due rette spezzate del lungomare.

Tagliò il più possibile la curva senza ridurre la velocità, permettendo alla gomma posteriore la leggera derapata che avrebbe portato la moto dritta, indirizzata verso il rettilineo con la minor perdita di potenza possibile fino all’attimo esatto in cui accelerare di nuovo.

Rimax saltò in questo presente, comparendo sotto la siepe, al termine della rotonda, in un luogo che conosceva benissimo. Impossibile ignorare la sagoma del Grand Hotel davanti a lui, impossibile non riconoscere il rumore assordante della moto in arrivo, alla sua sinistra. La Mototemporada?

Il lampo accecante del sole sul casco lo fece sembrare d’argento e per un lungo attimo il cuore di Rimax si riempì d’orgoglio, ma no, non era il Paso che serpeggiava sull’asfalto.

Anche il ragazzino però era niente male: la moto lo oltrepassò svelta, agile, capelli biondi, lunghi, a sventolare dietro quello che era ancora un sogno.

Il gatto seguì la danza della moto sull’asfalto e quella, sinuosa, del ragazzo sulla sella. Si disse “ora!” nel momento in cui la moto piegò prendendo la corda della curva e spinse inavvertitamente con la zampa il terreno nel millesimo esatto in cui il ragazzo avrebbe dovuto dare gas. Sapeva, per istinto, che era quello il momento. L’attimo in cui il filo del rasoio diventava largo quanto la ruota, l’attimo di dare gas verso l’unica direzione diventata possibile. Anche se non era esattamente il davanti.

Ma il ragazzo lo fece un attimo dopo. Doveva gestire troppo angolo e troppa potenza. Rimax pensò che avrebbe dovuto buttare in fuori qualcosa per bilanciarsi ancora di più, ma il biondo non ce l’aveva una coda. Chissà, un piede, una gamba.

Il gatto rimase a guardare la moto che scompariva in lontananza, in un mulinello di foglie secche. Gialle.

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