Pubblicato la prima volta il 8 Marzo 2019 @ 08:47
Capitolo 40 – 1958 Rimax e i regali di Natale
– Ugo, porta di là il gatto!
– Uffa, mamma, ma perché sempre io? Perché non lo dici qualche volta anche a mio fratello?
– Perché tu sei il fratello più grande e devi dare l’esempio.
– Ma se siamo gemelli!
– Sì, ma tu sei nato per primo…. e poi Pierfrancesco Maria deve studiare!
Rimax sogghignò sotto i baffi ma si fece pacificamente catturare da Ugo e condurre dove la madre dei bambini voleva che passasse la giornata, lontano cioè dal divano, quel comodissimo attirapeli, come lei lo chiamava.
Non sfoderò le unghie, non ci pensò nemmeno.
Gemelli.
Ugo era nato prima, è vero, ma non erano gemelli. Erano cugini.
Un mese prima della sua nascita la madre di Ugo, che non era sposata, era morta di parto dandolo alla luce. Il padre biologico si era già defilato da tempo e quindi il fratello della donna, la cui moglie stava aspettando il primo figlio, lo aveva adottato. Era sembrato naturale far passare i due bimbi per gemelli e tutto era filato alla perfezione per qualche anno fino a che la sorte non era tornata ad accanirsi contro quella famiglia e un brutto male si era portato via il marito.
Come si comporta la mente umana in queste condizioni? Come si reagisce alla perdita del futuro che si sogna e sul quale si era fatto affidamento?
La famiglia apparteneva all’alta borghesia cittadina e la situazione economica era più che solida, per cui da questo lato non sussistevano preoccupazioni, comunque, in maniera impercettibile, la madre aveva cominciato a considerare in maniera differente i due bambini, a fare dei distinguo, senza tuttavia rendersene conto. Credeva di mostrare lo stesso affetto ad entrambi e non si accorgeva che il bocconcino prelibato era, il più delle volte, destinato al figlio naturale, sua la prima carezza. Inizialmente nemmeno i bambini sembravano rendersene conto. Si scambiavano i giocattoli senza invidie, senza mai accorgersi della disparità di atteggiamenti che la madre, involontariamente, metteva in opera.
Piano piano però Ugo aveva cominciato a far caso che i gesti riservati al fratello erano più calorosi di quelli destinati a lui, e che gli veniva prestata sempre meno attenzione. Si era fatto scontroso e dispettoso e questo aveva portato la madre, che non si rendeva conto del motivo per il quale il figlio si comportasse così, a punirlo sempre più spesso. La donna non si rendeva conto che anche nei doni che faceva ai due fratelli per Ugo c’era sempre quello di minor valore, confezionato più frettolosamente, quasi un ripiego dell’ultimo momento.
Adesso che si stava avvicinando il Natale i due fratelli, su insistenza della madre, avevano già scritto la loro bella letterina a Babbo Natale che lei aveva promesso di spedire.
“Come al solito chiedono il mondo” pensò, leggendole di nascosto dai figli, annotandosi mentalmente uno dei regali che chiedeva il figlio naturale, il Monopoli. Pensò che un regalo sarebbe bastato, tanto poi avrebbero giocato insieme.
Chissà se sentiva una piccola punta di rimorso. Rimax non lo sapeva. Credeva che in fondo quella donna fosse buona e che non si rendesse conto di operare continuamente una discriminazione fra i due bambini.
La osservò mentre accartocciava le due lettere gettandole nel caminetto acceso.
Rimase interdetto – Perché nel fuoco? Aveva detto che le avrebbe spedite! Non è così che si spediscono le letterine a Babbo Natale. Il fuoco le distrugge! –
Era una fortuna che lui ne conoscesse il contenuto. Non rimaneva che informare chi di dovere e lui, modestamente….
Solo così nella Notte Santa un lieve rumore di campanelle argentate avrebbe annunciato l’arrivo di Babbo Natale sulla sua slitta trainata da dodici topini bianchi.
Renne? No, macchè renne. E’ una bufala!
Topini, solo topini bianchi. Sono in pariglia da sempre, non vi hanno mai letto Cenerentola?
La sera della vigilia di Natale la madre socchiuse senza far rumore la porta della camera dei bambini, si accertò che stessero dormendo e la richiuse silenziosamente.
Nella penombra del soggiorno le luci dell’albero ammiccavano accendendosi e spegnendosi ad intermittenza. Baluginavano sulle palle di vetro colorato e sui fili argentati. A un paio di metri di distanza il fuoco nel camino aveva da tempo smesso di scoppiettare e le ultime rosse braci andavano pian piano spegnendosi. Rimax, accucciato come una sfinge su un angolo del tappeto, seguì con lo sguardo la donna sistemare sotto l’albero i doni per i due ragazzini. La vide armeggiare con carta e penna e aspettò fino a che, dato un ultimo sguardo circolare alla stanza, la donna si ritirò per la notte. Attese ancora, ascoltando i familiari rumori dei riti della stanza da bagno, il fruscio delle pantofole, il clic della lampada sul comodino, il respiro tranquillo delle persone addormentate. Attese ancora. E ancora. Poi si avvicinò all’albero addobbato.
Sospirò.
Non ne aveva mai dubitato. Un biglietto colorato e sgargiante portava il nome di Pierfrancesco Maria ed era appuntato sul pacco più grande, di forma rettangolare che nascondeva, come Rimax aveva visto quando la donna aveva incartato il regalo, il gioco del Monopoli. A fianco, un pacchetto più piccolo nascondeva un infantile giocattolino di legno da poco prezzo. Sul biglietto il nome di Ugo era stato scarabocchiato in fretta.
Il gatto tornò a stendersi a fianco del caminetto, in attesa.
Il fuoco era ormai completamente spento, solo poche braci rosseggiavano ancora. Le intermittenze delle luci sull’albero ronzavano piano, accendendosi e spegnendosi. A un tratto Rimax rizzò le orecchie.
Un impercettibile scampanellio, un tonfo attutito, uno sbuffo di cenere.
L’uomo si guardò intorno poi si accovacciò a fatica accanto al gatto grattandolo sotto il mento, mentre Rimax si inarcava soddisfatto nel prendersi tutte quelle coccole. L’uomo gli mormorò qualche parola che si perse nel rumore dell’ultimo ciocco che si spaccava sbriciolandosi nel camino in mille pezzi e spargendo intorno una marea di scintille.
Sorrise sotto la folta barba candida, sfilò il grosso sacco dalla spalla e lo aprì immergendovi la mano.
Un trenino con sei vagoni e la locomotiva rossa fiammante, i binari, la stazioncina con lo scambio, la montagna con la galleria. L’arco e le frecce con la ventosa, il copricapo di piume da capo indiano. La pistola da cow boy che si apriva per caricarla con le capsule rosse che sparando facevano rumore. Il cappello e la stella da sceriffo. La trottola che girando fischiava dai fori praticati sul bordo, il Meccano, il Traforo, con le lame di ricambio per il seghetto. Cos’altro? Ah sì: lo sgargiante bustone coi mattoncini del Lego.
Guardò il gatto. C’era tutto? Non aveva dimenticato nulla?
Staccò il biglietto dal regalo destinato a Ugo e lo mise sopra il mucchio dei nuovi regali, poi fece un’ultima carezza al gatto.
Uno sbuffo di cenere, un fruscio, un lontano, argenteo scampanellio.
Rimax si rimise a sonnecchiare aspettando il mattino e il risveglio dei bambini.
Non vedeva l’ora.