Pubblicato la prima volta il 2 Ottobre 2016 @ 21:32

Nelle “puntate” precedenti ho detto che molti secoli fa in Romagna si parlava una lingua simile all’italiano, e che questa lingua ha poi subito delle profonde trasformazioni, soprattutto nelle vocali. Abbiamo visto, ad esempio, che la parola PÀLO a Rimini è diventata ‘pèl’, perché la O finale non accentata è caduta, mentre la A accentata davanti a una consonante semplice è diventata ‘è’.
(Ovviamente queste trasformazioni non saranno avvenute da un giorno all’altro, ma ci sarà stata una serie di sviluppi intermedi. Ad esempio la vocale finale prima di cadere del tutto si sarà trasformata in una “vocalina indistinta” simile alla “e muta” francese. E la A prima di diventare ‘è’ sarà passata per dei suoni intermedi che si trovano tuttora in alcune zone della Romagna.)
Tutte queste trasformazioni sono state sistematiche, ma a volte tale sistematicità ha dovuto fare i conti col problema di mantenere la possibilità di pronunciare il risultato senza troppa fatica. È quel che è accaduto, in particolare, quando la vocale finale destinata a cadere era preceduta da un gruppo di consonanti. Prendiamo ad esempio la parola “ladro”. Questa si pronuncia agevolmente perché ha due vocali, e alle due vocali corrispondono due sillabe: “la-dro”. La sillaba “dro” è facile da pronunciare perché, per ragioni fonetiche, risulta facile pronunciare la sequenza “dr” quando ci si avvicina al nucleo della sillaba, costituita dalla vocale. Tant’è che in italiano la sillaba “dro” si trova anche all’inizio della parola, come in “dro-ga”. Le cose vanno diversamente se si cerca di mettere il nesso “dr” dopo la vocale, come accade ad esempio se cerchiamo di dire “odr”.
Ci sono però delle lingue che tollerano anche nessi di questo tipo. Riescono a tollerarli perché la ‘r’ appartiene a un gruppo di consonanti che, se pronunciate in un certo modo, possono svolgere anche una funzione analoga a quella delle vocali. Chi è stato in Croazia avrà sentito, ad esempio, che l’isola di Veglia in serbo-croato si chiama ‘Krk’. Questa parola a noi italiani sembra impronunciabile, perché è priva di vocali, ma pronunciando la ‘r’ con la dovuta intensità si riesce appunto ad assegnarle la funzione della vocale, come se stessimo dicendo ‘Kak’ o ‘Kok’ eccetera. Dicevo che ci sono anche altre consonanti che si comportano in questo modo: sono la ‘l’, la ‘m’, e la ‘n’.
Torniamo allora alla parola “ladro”, che in origine era così anche nel volgare che si parlava in Romagna, dunque LÀDRO, secondo la nostra grafia. Applicando le trasformazioni che abbiamo applicato a PÀLO, la O finale sarebbe dovuta cadere e la A accentata avrebbe dovuto diventare ‘è’. Così a Rimini si sarebbe prodotto l’esito ‘lèdr’. Ma per poter pronunciare questa parola bisogna appunto pronunciare la ‘r’ in modo particolare, in modo tale da avere ancora due sillabe, ‘lè-dr’, con la ‘r’ che svolge la funzione della vocale.
Ora, ci sono delle ragioni per ritenere che in passato in Romagna si sia arrivati a una fase dello sviluppo in cui questi nessi consonantici erano pronunciabili, come nel serbo-croato. Alcune di queste ragioni si ricavano per via teorica, e non ne parlerò qui. Ci sono poi alcuni documenti che sembrano confermare tale ipotesi. Ad esempio alcuni secoli fa fu scritto un poema, intitolato ‘Pvlon Matt’, nel dialetto di una frazione di Cesena, e in questo poema si trovano delle parole che a noi oggi sembrano quasi dei “codici fiscali”. Parole come ‘lagrm’ per “lacrime”.
(Se poi si vuole credere che le cose non fossero arrivate proprio fino a questo punto, e che anche allora si fossero mantenute delle “vocaline indistinte” che non venivano percepite chiaramente da coloro che parlavano quella lingua, si dovrà comunque ammettere che le cose siano andate virtualmente in questo modo, nel senso che gli sviluppi successivi sono comunque quelli che si ricavano a partire da un siffatto sviluppo.)
Orbene, se le cose si fossero mantenute in questo modo, oggi a Rimini si direbbe ‘lèdr’. Solo che nel frattempo i dialetti romagnoli devono aver perso la capacità di usare le consonanti come ‘r’ in funzione di vocale, e di conseguenza si sono dovute reintrodurre delle “vocali di appoggio”. Queste vocali non derivano direttamente dalla O finale originaria che si trovava in LÀDRO, ma sono state reintrodotte secondo certi schemi fonetici che cambiano da zona a zona. Si dice anche che queste vocali non sono etimologiche, nel senso che non derivano da vocali presenti nell’etimo.
Nella Romagna centrale e stabilmente fino a Savignano si è introdotta una ‘a’ prima della ‘r’, per cui a Cesena, a Savignano e nelle aree contigue si dice si dice ‘lèdar’. Osserviamo che nella parola originaria, LÀDRO, non c’è alcuna vocale fra la D e la R, e questo conferma inequivocabilmente che queste vocali di appoggio non sono etimologiche. Come dicevo, è così in tutta la Romagna centrale, ma solo per la terminazione della parola (che comunque è quella che ci interessa); invece cambia, da dialetto a dialetto, l’esito della A accentata. Ad esempio a Ravenna, Forlì e Faenza si trova una vocale che gli autori di quelle zone scrivono ‘ê’, per cui l’esito di LÀDRO è ‘lêdar’; ma la “soluzione” del nesso ‘dr’ è appunto la stessa.
Nella parte sud-orientale della regione, che è quella che maggiormente ci interessa, anziché aggiungere una vocale prima della ‘r’ la si è aggiunta dopo, alla fine della parola. Il problema è che la vocale aggiunta non è la stessa dappertutto: in alcune zone si aggiunge la ‘e’, in altre la ‘i’. Quindi abbiamo zone in cui si dice ‘lèdre’ e altre in cui si dice ‘lèdri’.
Come dicevo, questo è un meccanismo fonetico, e lo si impiega anche per certe costruzioni grammaticali. Consideriamo ad esempio le particelle corrispondenti a “mi/me” e “ne”, che nel riminese sono ‘m’ e ‘n’. Ad esempio “dammi” si dice ‘dàm’ e “danne” si dice ‘dàn’: se stessimo parlando della vernice e volessimo dire “danne di più” diremmo ‘dàn ad pió’. Ora, visto che le due particelle sono ‘m’ e ‘n’, per dire “dammene” dovremmo combinarle, producendo virtualmente ‘dàmn’, ma noi non riusciamo (più) a pronunciare questi nessi consonantici. Così bisogna inserire la solita “vocale di appoggio”, e il meccanismo è quello visto in precedenza: chi dice ‘lèdar’ dice ‘dàman’; chi dice ‘lèdre’ dice ‘dàmne’; chi dice ‘lèdri’ dice ‘dàmni’. Ci sono poi delle zone di confine in cui si ha un certo rimescolamento, ma di queste parleremo nella prossima puntata…
Davide Pioggia