Capitolo 102 – Rimax e la carbonara

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Pubblicato la prima volta il 6 Aprile 2022 @ 15:06

Spinto dalla fame Rimax aveva girovagato a lungo fra le macerie, senza trovare cibo da nessuna parte e il brontolio allo stomaco, una costante della sua vita, si era fatto più forte ora dopo ora. I tedeschi se ne erano andati e le truppe alleate stavano liberando la città. Per un po’ aveva seguito con circospezione una pattuglia canadese in perlustrazione, nella speranza che per loro arrivasse presto il momento del rancio, ma era giunta la sera e non era successo nulla. Aveva quasi perso la speranza quando finalmente avevano fatto la loro apparizione un paio di camion da cui proveniva un profumo allettante. Il gatto si era accovacciato poco distante dal manipolo di soldati ma non aveva ottenuto che piccoli bocconcini di galletta veramente immangiabile e allora capì perché i soldati se ne disfacevano così volentieri. Decise di saltare sopra uno dei camion quando fosse venuto per loro il momento di ripartire. Quel giorno aveva visto tanti soldati aggirarsi fra le macerie: doveva pur mangiare tutta quella gente! E lui intendeva arrivare dritto alla fonte del cibo: magazzini, salmerie, depositi, tutto gli sarebbe andato bene.

Non poteva andargli peggio.

Quando, dopo un tragitto di pochi chilometri, il camion si era fermato all’hotel Vienna di Riccione, quartier generale delle truppe canadesi, la sua capillare esplorazione gli aveva rivelato tonnellate di scatolette e di lattine, contro le quali i suoi artigli non potevano proprio nulla. Amaramente scoprì che anche il necessario per la prima colazione, bacon, uova liofilizzate e latte in polvere era contenuto in un barattolo.

E questo fece riaffiorare un ricordo.

Ma com’era possibile? Rimax era rimasto interdetto. Gli spaghetti alla carbonara, che lui riteneva, e come lui lo credevano tutti, fosse un piatto tipicamente romano era invece nato a Riccione! Eppure era proprio quello il tema della conferenza stampa che si sarebbe tenuta quello stesso giorno al Grand Hotel Des Bains.

Lui era sgusciato abilmente all’interno dalla parte posteriore ma la sala riunioni era talmente affollata che aveva ritenuto più saggio nascondersi in una grande fioriera appena fuori dell’ingresso. Comunque, quando un tecnico aveva fatto le prove dell’impianto di amplificazione, aveva scoperto che riusciva a sentire tutto benissimo anche da li.

– La carbonara è nata a Riccione – aveva esordito il relatore – non se ne abbiano a male i romani, ma è proprio così!

Un brusio aveva percorso la platea.

– Il piatto è stato creato da Renato Gualandi, un cuoco bolognese, in occasione di un pranzo tenuto subito dopo lo sfondamento della Linea Gotica e della liberazione della città. Secondo quanto raccontato da Gualandi in una intervista televisiva – continuò il relatore – il 22 settembre del ‘44 venne tenuto un pranzo di gala proprio qui all’hotel Des Bains.

– Ma non era all’hotel Vienna? – interruppe uno dei presenti in platea, alzandosi in piedi.

– Per favore non interrompa, avrà tutto il tempo di confutare in seguito.

– Credevo che fosse un dibattito!

– Lo è, ma almeno faccia terminare il mio intervento, per cortesia.

Mentre chi aveva interrotto si rimetteva a sedere il relatore riprese a parlare.

– E‘ vero, c’è chi dice che la cena sia avvenuta all’hotel Vienna, che era la sede del comando delle truppe canadesi del generale Eedson Burns, e che sia stato lui a organizzare l’incontro tra Ottava armata inglese e Quinta armata americana. Ma – e qui si prese un breve istante per scrutare la platea – dove realmente si sia svolta la cena passa in secondo piano rispetto alla domanda fondamentale: è davvero nato in quell’occasione questo famoso piatto?

La discussione che seguì causò una confusione ancora maggiore.

Innanzitutto: come spiegare il nome? C’era chi propugnava la tesi che fosse il piatto servito nella bettola romana appartenente a un carbonaro, così venivano chiamati gli spazzacamini, e battezzato così in onore della sua passata professione. C’era invece chi affermava che i carbonai abruzzesi preparassero questa pasta con la pancetta cotta sui carboni ardenti. Altri erano del parere che l’avessero inventata i soldati americani, usando ingredienti a loro familiari, ed altri pensavano l’esatto contrario: che fossero stati gli italiani a usare prodotti prima a loro sconosciuti, come le uova liofilizzate e il bacon.

Si trovarono tutti d’accordo invece nell’eliminare la poetica ipotesi che fosse stata creata al tempo delle lotte dei carbonari per l’unità d’Italia, perché il piatto non compariva su nessuno dei ricettari precedenti la seconda guerra mondiale.

Un giornalista parlando del libro autobiografico scritto dal cuoco bolognese ne mise in dubbio diversi passaggi.

– Gualandi racconta di essere fuggito dopo l’armistizio dell’8 settembre dalla Jugoslavia, dove prestava servizio, ed aver raggiunto Ferrara. Nell’impossibilità di proseguire per Bologna si era diretto a Rimini, via Ravenna, assieme al riccionese Bruno Polverelli; era sua intenzione raggiungere Misano dove viveva la fidanzata, Lucia Berardi, che in seguito divenne sua moglie. Ma fu forzatamente inquadrato come forza lavoro nella Todt dai tedeschi per la costruzione di opere di sbarramento e per sgomberare macerie. – Il giornalista riordinò le carte che aveva davanti e proseguì – Evidentemente riuscì a fuggire perché lo ritroviamo segretario del sindaco di Misano, il bolognese Armando Ramenghi, e poi presentare domanda per poter fare il cuoco per il comando alleato presso l’Hotel Domus Mea. Inizialmente la risposta è negativa ma poi viene assunto. Ha davvero contribuito al pranzo di gala del 22 settembre a cui hanno partecipato il generale Harold Alexander, maresciallo e comandante supremo delle forze alleate del Mediterraneo, sir Oliver Leese, successore di Montgomery come comandante dell’ottava armata inglese e Harold Macmillan, alto commissario del governo del governo militare alleato in Italia e futuro primo ministro del Regno Unito? – l’uomo si fermò un attimo a riprendere fiato e fissò i suoi interlocutori – Ha davvero preparato lui il piatto di cui stiamo cercando di determinare l’origine? Non dimentichiamo che Rimini era stata liberata solo il giorno precedente, che a causa dei continui bombardamenti non c’era stata una stagione balneare, con gli alberghi requisiti prima dal comando tedesco e successivamente da quelli alleati.

– Abbiamo il menù delle portate servite in quell’occasione – obiettò uno dei presenti – e il racconto dello stesso Gualandi che racconta come gli americani avessero questo fantastico bacon, della crema di latte in scatola con il marchio di un garofano, della polvere di rosso d’uovo e un formaggio che fondeva così facilmente che gli spaghetti, nonostante la pasta fosse stata fornita dagli australiani, divennero cremosi e bavosetti. All’ultimo momento decise di mettere una spruzzata di pepe nero che profumò in maniera originale quel piatto e ne determinò il nome. Ammise anche che si era ispirato allo “spikrofi” un piatto tradizionale slavo, una sorta di raviolo ripieno di formaggio e con una salsa simile.

– Giusto. Abbiamo il menù. Che non parla però della carbonara. Non per fare l’avvocato del diavolo ma vi ricordo che stiamo parlando di un pranzo fra anglosassoni. E infatti nel menu troviamo dolcetti di vario tipo, petit fours, cruditè vegetali, canapè assortiti, tartine a base di formaggi e di salumi. Troviamo una zuppa a base di cuori di lattuga e un “irish stew”, uno stufato irlandese di agnello accompagnato da verdure. Poi roast beef di manzo cotto con l’osso, coperto con il grasso del rene, tagliato a fettine come si fa col salmone. Quindi una specialità gallese, il welsh rarebit, sorta di crostone di formaggio chester con rossi d’uovo, rhum, sale, zucchero e pane passato in forno e innaffiato di birra e per finire un bread pudding, un budino di pane con sugo di carne seguito da fichi fritti in salsa di rhum. Un pranzo concepito nel più perfetto stile anglosassone.

Rimax sapeva che era stato preparato anche un plum cake alto un metro e mezzo raffigurante le due torri di Bologna che però era rimasto intatto. Sicuramente, pensava il gatto, visto che la città era ancora lontana dall’essere conquistata, per scaramanzia.

– Vorrei sottolineare – prese la parola un famoso cuoco – che possiamo disquisire a lungo sul luogo dove il piatto ha avuto origine, ma non sull’inventore, che è senza dubbio Gualandi.

– E da dove trae questa certezza?

– Dai ricordi di un amico di Gualandi  – rispose il cuoco che era intervenuto – che nel ’44 si trovava anche lui a Roma, dove entrambi lavoravano al seguito delle truppe alleate. Racconta che per accontentare un generale americano e uno inglese, che volevano che si erano preesentati a pranzo fuori orario, lui provvide con il poco che aveva a disposizione in quel momento: formaggio fuso, latte in polvere, uova liofilizzate, bacon e burro fuso. Si può dire che il tradizionale breakfast inglese in quel momento, con un lampo di genio tutto italico venne trasformato in un piatto di pasta. Che piacque talmente ai due da entrare stabilmente nel menù del circolo ufficiali. Il successo di questa ricetta – continuò il cuoco – non fu immediato. Divenne famosa prima all’estero, a New York e Londra, forse per merito di chi aveva combattuto in Italia e ne aveva diffuso la preparazione nella sua patria, e solo successivamente in Italia.

La conferenza volgeva al termine. A chiusura del convegno era prevista una sfida culinaria in cui quattro cuochi di grido si sarebbero sfidati nella loro personale interpretazione della ricetta quindi qualcuno era già uscito mentre altri avevano formato dei capannelli e ancora discutevano animatamente fra loro. Un paio di giornalisti romani, molto scettici per quanto avevano sentito si ostinavano a porre domande al cuoco che si era dimostrato così sicuro delle sue opinioni. Rimax si attardò fino a che non potè sgattaiolare via inosservato. Tutto quel parlare di cibo gli aveva messo appetito e lui, per cacciare e papparsi un topolino, non aveva certo bisogno di tante ricette.

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