Pubblicato la prima volta il 1 Gennaio 2019 @ 08:47
Sembrava dovesse trattarsi di una sistemazione provvisoria, invece l’Asilo Baldini dal 1922 si trova sempre in via IV novembre nell’ex convento delle Orsoline, dove ogni mattina si ripete un rito che va avanti fin dal 1847, anno in cui è stato fondato.
All’ingresso l’attenzione del visitatore è attratta da questa frase incisa su una lapide: ‘ Qui si aprono le menti e i cuori dei fanciulli alle prime verità e ai primi affetti’.
In quell’Asilo si sono formate intere generazioni di riminesi, e gran parte dei genitori o nonni che accompagnano figli e nipoti sono stati loro stessi alunni del Baldini. L’Asilo è stato fondato dal conte Alessandro Baldini nel 1847 come ‘Istituto di educazione gratuita per i figli del povero’ e si articolava in due rami educativi, diurno infantile e serale professionale ed artigiano. Questo assetto si protrasse fino al 1879, anno in cui l’amministrazione avocò a se le scuole serali coordinandole a norma di legge. Dopo la nascita del Baldini a Rimini vennero create altre strutture come le ‘Signore Celibate’ nel 1851, seguirono le Maestre Pie nel 1876, le Stimmatine nel 1878 e nel 1882 le Francescane di Sant’Onofrio.
Da una pubblicazione curata dal noto storico Giulio Cesare Mengozzi, ex alunno del Baldini, è possibile ricostruire le fasi più salienti della vita dell’Istituto.
La sede originaria era in una traversa di via Garibaldi, che dal 1862 ha cambiato l’intestazione da via Vasconi a via degli Asili Baldini, l’edificio è ora utilizzato dall’Istituto Lettimi. Il trasferimento nell’attuale sede più ampia e funzionale di via IV novembre è anche legato al violento terremoto che aveva provocato gravi lesioni all’edificio. Se ne fece promotore l’allora presidente Gaetano Facchinetti, che fu anche sindaco di Rimini e deputato al Parlamento. Il conte Baldini ricoprì l’incarico di presidente dell’Istituto fino al 1891, anno della sua morte. Si trovò ad affrontare la difficile crisi del 1849, nel corso del suo mandato ricevette visitatori di grande prestigio, tra questi Vincenzo Gioberti. Nel 1857 i piccoli ospiti dell’Istituto vennero presentati a Papa Pio IX che in giugno nel corso della sua visita nello Stato Pontificio si fermò a Rimini. Nel 1859 oltre 300 giovani già alunni dell’Asilo si arruolarono per prendere parte alla Guerra d’Indipendenza. Nel 1866 cadeva a Custoza il sottotenente dei 13° Battaglione Bersaglieri Onofrio Tommasini, il suo sacrificio è ricordato da una lapide nelle sale dell’Istituto. Un’altra lapide ricorda gli ex alunni caduti nel corso della Prima guerra mondiale, mentre la perdita dell’Archivio non ha permesso di ripetere l’omaggio a quelli del secondo conflitto, la cui memoria viene ricordata in maniera collettiva. Nel 1884 tre insegnanti, le sorelle Cleofe e Giovanna Montebelli e Antonietta Mortarino, fondarono un Giardino d’infanzia nel quale applicarono il metodo didattico di Federico Frobel. Direttore del Giardino fu il professor Veniero Orlandi e presidente il conte Luigi Ferrari Banditi. Con l’annessione della Romagna al Regno di Sardegna arrivò per l’Asilo il riconoscimento di Ente morale, nel 1891 lo Statuto venne adeguato alle leggi sarde sulle opere pie.
A titolo di curiosità la direttrice che ha ricoperto più a lungo l’incarico è stata Anna Cervellieri, dal 1893 al 1939.
Al periodo della Seconda guerra mondiale e dei terribili bombardamenti che martoriarono Rimini è legato il ricordo della maestra Amelia Carosi, autrice di una sorta di diario pubblicato nel 1968 per iniziativa della sezione riminese dell’Associazione nazionale Mutilati e invalidi di guerra e curato dall’avvocato Oreste Cavallari, nota figura di pubblico amministratore, storico e lui stesso grande invalido. La Carosi, nata nel 1897 prestò la sua attività al Baldini per 30 anni. Viene ricordata come instancabile animatrice del ‘Circolo filodrammatico’ e brillante attrice. La donna rifiutò di abbandonare la città devastata dalle incursioni aeree e divenne responsabile dei locali, delle attrezzature e dell’archivio dell’asilo. Ogni giorno annotava scrupolosamente su carta usata per avvolgere la carne, in tutto 12 fogli, gli eventi tragici di cui fu testimone.
L’avvocato Cavallari annotava che inizialmente la grafia della maestra era chiara poi via via sempre più concitata con alcune parole non decifrate e riportate con i puntini. La Carosi dopo la Liberazione della città non tornò alle sue attività, morì prematuramente il 23 gennaio del ’45 colpita dal tifo. Il diario venne consegnato da una sorella della Carosi al Mengozzi perché venisse conservato nella biblioteca Gambalunga, dove finì sotto gli occhi dell’avvocato Cavallari che ne ha poi curato la pubblicazione.
Aldo Viroli
La Voce di Romagna, 31 marzo 2002