Parlate riminesi #20

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Murales nel Borgo © Archivio Storico Chiamami Città

Pubblicato la prima volta il 19 Febbraio 2017 @ 20:38

Murales nel Borgo © Archivio Storico Chiamami Città

Nella scorsa puntata abbiamo visto alcune alternanze vocaliche che si trovano nella formazione dei plurali maschili. Ad esempio il plurale di ‘fiór’ «fiore» è ‘fiùr’, quello di ‘méš’ «mese» è ‘mìš’ e quello di ‘casètt’ «cassetto» è ‘casétt’.

Abbiamo anche detto che alcune di queste alternanze sono state progressivamente abbandonate a Rimini, per cui si trovano dei parlanti (anche fra coloro che per il resto hanno un buona dimestichezza col dialetto) che pronunciano il plurale come il singolare. Ma, se si esclude questo progressivo abbandono dell’alternanza, per il resto si può dire che le alternanze viste fin qui sono le stesse per tutte le parlate riminesi. Voglio dire che magari si può trovare un riminese che per «cassetti» dice ‘casètt’, come il singolare, ma tutti coloro che esibiscono l’alternanza per il plurale dicono ‘casétt’, e non esistono altre forme del plurale, come sarebbe ‘casìt’. Dunque le suddette alternanze valgono per tutte le parlate, anche se poi non sempre vengono applicate.

Ci sono invece delle alternanze che valgono per certe parlate e non per altre. Una di queste è quella che si ottiene costruendo i plurali dei maschili che nel singolare come vocale accentata hanno la ‘è’ lunga. La si trova, ad esempio, in parole come ‘lèt’ «letto» (il mobile per dormire, non il participio passato di «leggere»), ‘fradèl’ «fratello», ‘burdèl’ «bambino», ‘vèc’’ «vecchio». (Nella puntata precedente abbiamo visto i maschili che nel singolare hanno la ‘è’ breve, come ‘casètt’ «cassetto», ‘pèss’ «pesce», ‘cavèll’ «capello», ‘batècc’ «ramoscello», e che formano il plurale con la ‘é’ breve: ‘casétt’, ‘péss’, ‘cavéll’, ‘batécc’. Ora invece stiamo parlando dei maschili che nel singolare hanno la ‘è’ lunga, e sono questi ad avere il plurale che cambia da parlata a parlata.)

In alcune parlate, che si trovano distribuite soprattutto nell’area compresa fra Rimini, la parte nord-orientale del territorio di San Marino (attorno a Serravalle) e Verucchio, si ha l’alternanza fra la ‘è’ lunga e la ‘ì’. Quindi i plurali di ‘lèt’ «letto», ‘fradèl’ «fratello», ‘burdèl’ «bambino», ‘vèc’’ «vecchio» sono, rispettivamente, ‘lìt’, ‘fradìl’, ‘burdìl’, ‘vìc’’.

Ci sono poi le parlate tipiche dell’area a nord del Marecchia, in cui ad alternansi con la ‘è’ lunga del singolare è la ‘é’ breve. Così nel plurale c’è una vocale che non solo è più chiusa, ma è anche più breve, e per questo noi raddoppiamo la consonante che viene dopo la vocale accentata nel plurale. Dunque in queste parlate i plurali di ‘lèt’ «letto», ‘fradèl’ «fratello», ‘burdèl’ «bambino», ‘vèc’’ «vecchio» sono, rispettivamente, ‘létt’, ‘fradéll’, ‘burdéll’, ‘vécc’’. (Qui è opportuno ricordare che la ‘é’ breve si usa anche – in tutte le parlate – per costruire i plurali delle voci che hanno la ‘è’ breve nel singolare. Dunque in queste parlate il plurale di ‘casètt’ «cassetto» è ‘casétt’, e quello di ‘lèt’ «letto» è ‘létt’. Ne viene che tanto la ‘è’ breve quanto quella lunga si alternano con la ‘é’ breve, e per questo si può avere l’impressione che la quantità vocalica sia poco importante per determinare la forma del plurale, ma tale impressione è solo una effetto di questa occasionale coincidenza.)

Ci sono poi le parlate distribuite lungo la costa a sud del Marecchia e nella parte sud-orientale del territorio riminese, includendo Riccione, buona parte della Valconca e la parte meridionale del territorio di San Marino (che comprende anche la capitale). Ho appena detto che lungo la costa queste parlate si trovano a sud del Marecchia, pertanto anche la parlata tipica del centro della città di Rimini formava il plurale nel modo che sto per dire, e così i quartieri periferici meridionali, come il borgo di San Giovanni. Ebbene, in tutte queste parlate il plurale delle voci maschili che hanno la ‘è’ lunga nel singolare si forma sostituendo la ‘è’ lunga con la breve. Dal momento che noi mettiamo in evidenza la brevità della vocale raddoppiando la consonante successiva, si può dire, graficamente, che il plurale si forma raddoppiando la consonante che segue la vocale accentata. Dunque i plurali di ‘lèt’ «letto», ‘fradèl’ «fratello», ‘burdèl’ «bambino», ‘vèc’’ «vecchio» sono, rispettivamente, ‘lètt’, ‘fradèll’, ‘burdèll’, ‘vècc’’.

Da quanto si è detto fin qui si comprende che attorno alla città di Rimini, in uno spazio di pochi chilometri, si trovano (o comunque si trovavano) modi molto diversi di costruire i plurali dei maschili che nel singolare hanno la ‘è’ lunga. Riprendiamo ad esempio la voce corrispondente a «fratello», e il suo plurale «fratelli». Il singolare è lo stesso in tutte le parlate: ‘fradèl’. Cambia invece il plurale: 1) nel centro della città e nei quartieri periferici meridionali è ‘fradèll’, con ‘è’ breve; 2) a monte della città, nel territorio compreso fra Rimini, San Marino e Verucchio, è ‘fradìl’, con ‘ì’; 3) a nord del Marecchia è ‘fradéll’, con ‘é’ breve.

(Se anziché raddoppiare le consonanti dopo le vocali brevi avessimo deciso di raddoppiare graficamente le vocali lunghe, ora diremmo che il singolare è ‘fradèel’ in tutte le parlate, mentre il plurale è ‘fradèl’ in alcune parlate, ‘fradél’ in altre e ‘fradìil’ in altre ancora.)

Detto questo, bisogna aggiungere una considerazione che ho già fatto diverse volte in precedenza, ovvero che i confini di queste diverse aree non erano netti, ma estesi, e nelle zone di transizione si trovava una notevole variabilità, a livello famigliare o persino individuale. Ad esempio nel Borgo San Giuliano si potevano trovare parlanti che per il plurale dicevano ‘fradèll’ (in rima con ‘cavèll’ «capello») e altri che dicevano ‘fradéll’ (in rima con ‘gréll’ «grillo»). E a monte della città, nella zona dell’attuale Via Covigano, o “Polverara” (‘Pulvrèra’), come si diceva allora, c’era anche chi diceva ‘fradìl’. Parlo al passato perché oggi a Rimini c’è stato un notevole rimescolamento, e la situazione che descrivo qui sopra si è mantenuta stabilmente fino alla Seconda guerra mondiale. Ho conosciuto anche alcuni riminesi che oscillano fra queste forme; ad esempio per «fratelli» dicono talvolta ‘fradìl’ e talaltra ‘fradéll’; oppure, dopo aver detto ‘fradìl’ per «fratelli», possono dire ‘vècc’’ per «vecchi», dando l’impressione che per ogni parola si abbia un modo diverso di costruire il plurale, quando invece si tratta solo delle oscillazioni fra due sistemi ben definiti.

Ora, la ragione per cui nel plurale maschile si ha una vocale diversa da quella del singolare, è che molti secoli fa, nel latino volgare, la vocale del plurale ha subito una trasformazione indotta dalla presenza della I finale. Consideriamo ad esempio le parole corrispondenti a «fratello» e «fratelli». Nelle prime fasi dello sviluppo del volgare in Romagna si è avuto FRADÈLLO e FRADÈLLI, ma poi la I finale del plurale ha modificato la È del plurale, e in seguito questa vocale modificata ha dato ‘è’ breve in alcune parlate, ‘é’ breve in altre e ‘ì’ in altre ancora. Ma questa trasformazione che è intervenuta nei plurali dei maschili si è verificata anche in altre parole, come quella che significa «in nessun luogo»; di conseguenza anche questa parola ha, come vocale accentata, ‘è’ breve in alcune parlate, ‘é’ breve in altre e ‘ì’ in altre ancora, per cui si trovano le tre varianti ‘invèll’, ‘invéll’ e ‘invìl’. Dunque nelle parlate più stabili, quelle che non risentono del rimescolamento delle zone di confine, chi dice ‘fradèll’ per «fratelli» dice anche ‘invèll’, chi dice ‘fradéll’ dice anche ‘invéll’ e chi dice ‘fradìl’ dice anche ‘invìl’. Ma ribadisco che questa regolarità si trova solo nelle parlate più stabili, perché le parole isolate come quella che significa «in nessun luogo» sono ancora più esposte alle oscillazioni dei plurali, i quali per lo meno vengono stabilizzati dalla tendenza a regolarizzare la grammatica.

Davide Pioggia

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