Pubblicato la prima volta il 29 Giugno 2020 @ 16:27
Vittorio Sgarbi si è pronunciato, con serena determinazione, condannando sia le addizioni moderne al ponte di Augusto e Tiberio, sia la cordonata di cemento e marmo rosa davanti a Castel Sismondo.
In effetti quest’ultima costruzione di cemento rivestita di marmi ‘rosa’ allude alle ‘notti rosa’ e al progetto di trasformare Rimini in un enorme night – l’ultimo giorno dell’anno hanno suonato in piazza Cavour con quei demenziali strumenti per suoni o rimbombi bassi, che fanno del male fisico a chi li ascolta, fino alle quattro di mattina –.
La cementata con marmo rosa davanti al castello è sbagliata tra l’altro perché ruba la scena all’unica opera ossidionale superstite di Filippo Brunelleschi. Si era presentata l’occasione, dopo spostate con illuminato provvedimento le tende del mercato, di sperimentare l’apertura del fossato, coinvolgendo la ‘gente’ nei cantieri di scavo – come era stato fatto per il cantiere di restauro del castello negli anni ’70 –, perché si abituasse alla comparsa dell’enorme vuoto e alla modifica forse inquietante di gran parte della tradizionale e rasserenante immagine della città. Se si fosse cominciato a scavare il fossato dalla parte del fiume, l’apparizione della “piramide” descritta da Roberto Valturio, sotto la torre dove attualmente hanno messo un ascensore, e il modificarsi delle proporzioni dell’edificio, con il recupero di almeno un terzo dell’altezza, avrebbe certamente guadagnato consensi. Se poi le macerie della Cattedrale di Santa Colomba, usate da Francesco Romagnoli per riempire il fossato, avessero restituito qualche epigrafe, qualche ornamento d’altare in pietra di San Marino, qualche capitello bizantino – il primo edificio era del VI secolo –, qualche scultura duecentesca, allora tutti avrebbero capito che valeva la pena riaprire il fossato.
In una pubblicazione dell’Amministrazione Comunale intitolata Rimini. Diario di un cambiamento appare l’incredibile: ben tre musei e aree centrali dedicati a Federico Fellini: l’edificio dell’ex cinema Fulgor, l’area di piazza Malatesta con il Teatro del Poletti e il giardino dietro l’Arengo chiamato “Giardino di Francesca” – che c’entra Francesca da Polenta in Malatesta con Fellini? –, e incredibile persino Castel Sismondo, opera documentata di Filippo Brunelleschi, sono trasformati in due musei felliniani e un’area circense felliniana. Ma Rimini, ricordiamo agli immemori, è stata fondata dai Romani nel 286 a.C., è stata base di Giulio Cesare nella guerra civile del 49 a.C., capitale per due secoli dello stato malatestiano che si estendeva da Bertinoro ad Ancona, centro del ’300 pittorico noto in tutto il mondo, città del Rinascimento di Filippo Brunelleschi e di Leon Battista Alberti, centro nazionale di balneazione dall’800, città martire della seconda guerra mondiale, non è nata con Fellini né può sensatamente essere fellinizzata. L’operazione dell’Amministrazione equivale a chiamare la città “Rimini Fellini”, come si chiama San Mauro Pascoli. Che rapporto c’era tra Rimini e Fellini? Ma vi sembra che Amarcord, che oggettivamente descrive Rimini come un paesino manicomio di mostri e mostresse, sia un gesto d’amore per la nostra città? E vi ricordate quanto bene hanno voluto i Riminesi a Fellini, quando sindaco e albergatori gli hanno promesso il regalo di una casetta sul porto che poi non c’era?
Si riprenda in mano Rimini. Diario di un cambiamento. Viene illustrato con disegni il progetto di sacrificare il palatium magnum di Malatesta da Verucchio, detto il Centenario (1212-1312), o anche con l’insulto di Dante “il mastin vecchio”, che è rimasto compreso nell’involucro quattrocentesco, ma ancora visibile, e tutta l’opera documentata di Filippo Brunelleschi – l’architetto della Cupola di Santa Maria del Fiore di Firenze, per chi non se lo ricordasse – alla ricostruzione dei set cinematografi ci dei film di Fellini. Operazione assurda anche se fatta altrove, perché la magia del cinema e del teatro consiste proprio nel trasformare stracci, vetri e quinte di cartone in sete, gioielli e scene di sogno e la presentazione dei set dove i film sono stati girati riconduce le sete, i gioielli e le scene di sogno a stracci, vetri e cartoni dipinti.
Giovanni Rimondini
Ariminum
Anno XXV – N. 1 Gennaio-Febbraio 2018