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La famiglia Fracassi e i "bagnanti"

Pubblicato la prima volta il 9 Giugno 2017 @ 10:29

La famiglia Fracassi e i “bagnanti”

Carlo Fracassi ci accompagna in un viaggio nell’infanzia della nostra industria turistica, quando per iniziare non ci volevano i capitali: bastava avere il coraggio di aprire la propria casa al mondo.

I turisti si chiamavano bagnanti e dormivano in camera dei miei.

Era l’estate 1948, avevo cinque anni ma riuscivo già a capire il valore del denaro ed i canoni di bellezza femminili.
I miei genitori, come tanti altri a quel tempo, d’estate affittavano.
Ricordo due affascinanti bagnanti di Milano – le signore Argenton – mamma e figlia.
Alloggiavano nella “camera buona” e consumavano i pasti in salotto, di fronte al bagno, cosicché in determinate ore era proibito andare al gabinetto. Tuttavia, inevitabilmente, succedeva che io venissi scoperto in flagrante “divieto di sosta“.
La mia casa era rimasta danneggiata dalla guerra ed i miei, per fronteggiare le onerose spese di restauro, decisero di offrire ai villeggianti anche il vitto oltre all’alloggio. Ricordo che:
– l’appartamento a pianoterra era affittato alla fami­glia Pignocchi
– la cantina era occupata da “sfollati”, che ne avevano ricavato un momentaneo alloggio di fortuna
– il primo piano, infine, era abitato dai miei genitori, da me e mio fratello.
Durante il periodo estivo, però, il nostro modo di vivere si trasformava perché… aumentavamo.
Si dormiva tutti e quattro in una stessa camera: io nel letto matrimoniale e mio fratello su una brandina. Nella mia stanza, che veniva affittata, si aggiungeva un letto. Il salottino, riparato da una tenda, si trasformava anch’esso in una camera da letto, mentre il soggiorno diveniva la cosiddetta “camera buona”; infatti, aggiunti due letti agli altri mobili, si trasformava in una sorta di suite. Pertanto il primo piano, d’estate, non era più abitato da quattro persone, ma bensì da dieci. L’ingresso-salotto serviva come sala da pranzo per gli ospiti, al centro la table d’Hotel per sei persone. Noi, invece, mangiavamo nel tinello, mentre mia madre correva, cucinava e riassettava tutto il giorno.
A fine stagione si smontavano letti e spalliere – che finivano nel sottoscala – e tutto tornava al proprio posto. A quel tempo molti riminesi facevano turismo in questa maniera. La Rimini di allora, caratterizzata anche da un’offerta turistica di questo tipo, nacque, crebbe e si sviluppò mattone su mattone. Le esigenze non erano molte: bastava offrire un letto, biancheria pulita, buon cibo, il tutto condito con tanta cortesia e un po’ di buona musica!
Le signore Argenton – il cui nome, per mia madre, era già di per sé promessa di guadagni – quell’estate mi portarono in regalo una novità che non ebbi mai occasione di vedere fra i giocattoli dei miei compagni. Si trattava di una pasta gommosa, che fuoriusciva a pressione da un tubetto simile a quello del dentifricio. La pasta si poneva su di una cannuccia e poi si soffiava; ne usciva un palloncino trasparente che si faceva sobbalzare in aria col dorso della mano. Fu un successo strepitoso! Quel gioco piaceva a tutti, persino ai miei genitori, e mi aiutò a fare molte nuove amicizie, anche fra le bambine.
Ma venne la zia e le cacciò via …
Purtroppo un giorno ci venne improvvisamente a trovare una mia zia molto bigotta, soprannominata poi da mio padre “Maria la cattolica“, la quale, vista la signorina Argenton che – scostumata! – indossava una camicetta semi trasparente annodata sopra l’om­belico ed un paio di pantaloncini molto aderenti, squadrandola da capo a piedi la fulminò con uno sguardo che esprimeva tutta la sua disapprovazione. Certamente il costume da bagno seminascosto da una vestaglia, abbigliamento abituale che tale zia azzardava esibire in spiaggia, era tutt’altra cosa! Da quella volta le Argenton non si fecero più vive!!! E’ facile immaginare il dispiacere ‘che provò mia madre: le signore soggiornavano per ben due mesi nella “camera buona” e questa camera rendeva duecento lire al giorno più delle altre…
Mal dissimulato il rammarico di mio padre che, da quell’orso che abitualmente era, in quei due mesi – chissà perché – si trasformava diventando gioviale e spiritoso.
In quanto a me, niente più regali né sorrisi da quella bella ragazza bionda.
Per diverso tempo, durante la mia infanzia, mi sono domandato se le signore Argenton non fossero più tornate per colpa della zia o perché io andavo in bagno all’ora dei pasti.

Carlo Fracassi
Chiamami Città n. 30
15 novembre 1989

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