Pubblicato la prima volta il 11 Febbraio 2018 @ 08:21
Capitolo 15 – 1825 Il tesoro sepolto
Di quella casa il gatto serbava solo un vago ricordo, la fastidiosa sensazione di esserne già saltato via in un lontano passato. Ricordava l’odore particolare, ricordava il sangue, ma non il motivo che a suo tempo l’aveva condotto lontano da lì. L’acre sentore persistente dei rifiuti e degli escrementi lasciati a marcire nella fossa Patara, spesso priva di acqua corrente durante l’estate, ammorbava tutta la zona. Probabilmente proprio la puzza aveva risvegliato nella sua memoria il ricordo di essere già stato in passato in quel posto anche se ormai erano già trascorsi diversi mesi dal suo arrivo ed il suo odorato si era in un certo qual modo abituato al maleodorante odore.
La casa era situata nell’angolo opposto al vicolo Malpasso sulla via della Liscia Grossa, proprio a ridosso della fossa. Anche il suo attuale padrone era una persona grossa, per così dire, un omone goffo e sovrappeso di mezza età, di animo buono tanto è vero che non faceva mai mancare un bocconcino prelibato nella ciotola sbeccata di Rimax o una carezza quando questi lo ringraziava facendo le fusa.
Ultimamente Sebastiano, questo il suo nome, era sembrato, al gatto, preda di una insolita agitazione. Soprattutto dopo che un’indovina, una laida megera che si professava esperta in astrologia, tenuta però in alta considerazione dal popolino, aveva visitato, dietro reiterate insistenze, la casa e gli aveva confermato ciò che in famiglia veniva tramandato da sempre: un tesoro giaceva sepolto sotto l’edificio, un vaso di coccio pieno di monete e gemme preziose a cui uno scheletro monco e privo di testa, montava la guardia. La fattucchiera gli aveva persino indicato il punto esatto in cantina nel quale scavare.
Sebastiano impiegò ben poco tempo per elaborare un piano. Mise in giro la voce che aveva acquistato un certo numero di botti di vino e che quindi si trovava nell’urgenza di allargare la cantina sotto la sua abitazione. Assunse pertanto un manovale e lo fece scavare nel punto indicato dalla megera.
Costui, scavando, non tardò molto ad incontrare l’ostacolo di un grosso orcio di coccio contro il quale il badile provocava un suono cupo. Con la scusa dell’ora tarda Sebastiano rimandò all’indomani la prosecuzione del lavoro, pagò la giornata al manovale e, serrata la casa dall’interno, accese alcune lanterne, le dispose tutto attorno al lavoro di sterro e tornò personalmente al lavoro. Poco dopo liberò a fatica dal terriccio una pesante giara che risultò però essere piena unicamente di sassi e di terra.
Rimax osservava l’uomo standosene beatamente accucciato su una botte. Tutto quello scavare lo incuriosiva e l’odore greve della terra smossa di fresco solleticava le sue narici, riportandogli alla mente ricordi dimenticati. L’olfatto lo informava che non c’erano topi grassocci lì, niente per cui valesse la pena di mettersi in caccia. Si acciambellò più comodamente e si addormentò placido.
Sebastiano intanto aveva setacciato tutto il contenuto della giara ottenendone solo una vecchia fibbia rugginosa e contorta ma nessun gioiello o moneta. Tornato a scavare a mani nude non tardò a trovare numerose ossa scarnificate e resti sbrindellati di tessuto che aveva perduto durante la permanenza nel terreno ogni traccia di colore.
Interruppe il lavoro ripensando alle affermazioni dell’indovina che aveva parlato di uno scheletro senza testa che faceva la guardia al tesoro. Lo aveva avvertito di prestare molta attenzione e di agire con estrema cautela perché nei tempi antichi era consuetudine, nascondendo un tesoro, uccidere un uomo decapitandolo, in modo che il suo fantasma vigilasse su quanto era stato sepolto. Sbuffando e sacramentando Sebastiano continuò a rimuovere dallo scavo terriccio misto ad ossa. Sudava copiosamente e la sua mole, unita al faticoso lavoro nell’area ristretta e soffocante della buca, contribuiva in maniera particolare a farlo sentire stanco e affaticato.
Un cigolio improvviso lo distrasse per un attimo, facendogli correre lungo la schiena un brivido gelido. Che fosse il fantasma venuto a minacciare chi osava disturbare la sua guardia? Il rumore però non si ripetè e nella convinzione che la causa fosse dovuta ad un movimento del gatto riabbassò la testa, riassicurato, continuando il faticoso lavoro.
Non sarebbe stato altrettanto tranquillo però se avesse potuto scambiare due chiacchiere con il gatto abituato a frequentare, sgraffignando qua una leccornia là dando la caccia ad un sorcio particolarmente succulento, tutte le case del quartiere. Rimax, sfuggito durante quei mesi alle scope ed alle ramazze di tutti gli abitanti dei dintorni avrebbe potuto facilmente dirgli che il manovale assunto per la giornata altri non era che il nipote dell’indovina il quale, dopo aver finto tranquillamente di andarsene, era tornato col favore del buio forzando gli scuri di una finestra e introducendosi furtivamente in casa. Non ignorava certo l’obiettivo segreto della ricerca alla quale aveva partecipato!
Un luccichio, forse di una gemma fra la terra smossa, attirò l’attenzione dell’uomo che, dopo averla afferrata la lasciò nuovamente cadere con un moto di repulsione: incastonato su un cerchio di ferro un grosso rubino spargeva all’intorno cupi riflessi sanguigni, ancora infilato al sottile osso del dito di una mano stretta a pugno. Sebastiano, con un ribrezzo che fino a quel momento non aveva provato nel maneggiare le altre ossa, raccolse il pugno scheletrico con l’anello e lo pose sul pavimento vicino a lui, quindi, con una smorfia, ricominciò a scavare. Una volta estratto un certo numero di ossa cominciò a portare alla luce piccole pietre imbrattate di terriccio che baluginavano alla luce delle lanterne e piccoli sassi piatti che, una volta ripuliti dalla mota che li ricopriva rivelarono essere antiche monete d’oro. Continuò a scavare di buona lena fino a che di fianco a lui non si elevò una piccola montagnola di gemme e monete.
Scricchiolii, tonfi, cigolii e altri rumori arcani intanto non avevano cessato di tenere in apprensione Sebastiano che adesso vedeva bene come non fosse affatto il gatto, che se la dormiva placidamente, la causa di quei rumori. Aveva preso a girarsi frequentemente per controllare che nessuno arrivasse silenziosamente alle sue spalle. Il suo pensiero andava di continuo al fantasma decapitato e alle ossa delle dita strette a pugno con l’anello. Certo non poteva supporre che quei rumori sinistri fossero provocati ad arte.
E chissà, forse fu l’emozione del ritrovamento e della raggiunta ricchezza. Forse fu la fatica, l’apprensione o la paura, fatto sta che Sebastiano sentì una fitta improvvisa e potente al petto, si portò di scatto una mano all’altezza del cuore, emise un gemito e si accasciò senza vita sul fondo della fossa.
Il nipote dell’indovina emerse dall’ombra e scese i pochi scalini. Non degnò di un’occhiata il cadavere nella fossa ma estrasse da una tasca un capace sacchetto e cominciò a riporvi le monete e le gemme, avendo cura di non calpestare il terriccio smosso in modo da non lasciare impronte rivelatrici. Da ultimo cercò di forzare le ossa della mano per impossessarsi dell’anello ma queste non ne vollero sapere di aprirsi e così, con un’alzata di spalle, si mise tutto in tasca. Poi, dopo essersi guardato intorno per un’ultima volta tornò da dove era venuto.
Il gatto balzò giù dalla botte e salì a passi felpati le scale, seguendo silenziosamente l’uomo.
Adesso ricordava.