Pubblicato la prima volta il 1 Marzo 2019 @ 08:47
Capitolo 11 . 1284 Paolo e Francesca
La giovane donna prese Rimax fra le braccia ed andò a sedersi sul sedile di pietra nell’alcova della finestra della sua stanza nella torre del castello mentre la sua ancella di fiducia, sferruzzando su una sedia, faceva in realtà la guardia. Freneticamente frugò nel collare del gatto cercando la tasca segreta fino a che un sottilissimo foglio di pergamena piegata più volte non frusciò sotto le sue dita.
Lo svolse febbrilmente rivolta alla luce intensa che si riversava dalla finestra decifrando la calligrafia arcuata e sottile del suo amato.
“Tieni sempre pronta una lacrima da asciugare con le dita – lesse – per voltare una pagina nuova”
Si portò la mano sul cuore mentre due lacrime, per davvero, le sgorgavano dagli occhi. Con la pergamena stretta nel pugno abbracciò il gatto come se questi fosse una bambola di pezza, singhiozzando.
“Oh perché Dio sei stato così crudele con me – pensò – perché hai permesso che venissi data in sposa a quell’essere rozzo e crudele!”
Un attimo dopo però il raspare della lingua rosea del gatto sulla mano la distolse dai suoi tetri pensieri. Si alzò e dopo aver gettato uno sguardo verso il lungo corridoio prese penna e calamo, lisciò la pergamena con le mani e scrisse frettolosamente sul margine alcune parole. Vi soffiò sopra e la sventolò rapidamente nell’aria per far asciugare l’inchiostro e poi la nascose nuovamente, ripiegandola, nella tasca segreta del collare del gatto.
“Appena in tempo” pensò, mentre riprendeva in fretta dalle mani dell’ancella il lavoro di cucito che poco prima aveva abbandonato. Già il suono ciotto della camminata di suo marito echeggiava fuori della stanza.
Nella stalla ferveva la solita attività della tarda mattinata. Gli stallieri rigiravano la paglia negli stalli dei cavalli e portavano acqua fresca dal pozzo del cortile. Rimax stava dando la caccia a un topo grassoccio che aveva visto aggirarsi frequentemente nei giorni precedenti fra i cavalli. Se ne stava accovacciato, le orecchie a punta ritte per captare ogni più piccolo rumore che potesse tradire la presenza del roditore. Ne aveva isolato il trapestio al di là di un tramezzo di legno, isolandolo dai rumori prodotti dai cavalli e dagli uomini che li stavano accudendo e che ignorava.
Ecco nuovamente il rumore. Mosse cautamente una zampa in avanti ma improvvisamente si sentì sollevare di peso da una stretta decisa sulla sua collottola.
L’uomo che lo aveva catturato se lo fece dondolare all’altezza degli occhi fissandolo attentamente e poi, sedutosi su uno sgangherato sgabello, cominciò a frugargli nel collare fino a che non si impossessò della pergamena.
“Dunque è così che si parlano – sussurrò l’uomo – bene, bene…. adesso so io come regolarmi ed attirarli in una bella trappola! –
Rimise accuratamente al suo posto la pergamena e lasciò cadere il gatto che subito corse a rifugiarsi, a coda bassa, dietro un mucchio di paglia.
Zoppicando vistosamente l’uomo andò a dar ordine, gridando a gran voce, che gli venisse preparato il suo palafreno per il primo pomeriggio. Doveva recarsi improvvisamente a Pesaro e non sarebbe tornato che l’indomani.
Disteso sul suo cuscino preferito il gatto stava leccandosi una zampa non prestando nessuna attenzione al mormorio dei due accanto a lui che ad alta voce leggevano la storia d’amore fra Lancillotto e Ginevra. Nemmeno si accorse dell’improvviso silenzio che era calato nella stanza e dell’improvviso sguardo di comprensione scoccato fra i due innamorati. Si addormentò.
Urlando come un forsennato Gianciotto, che aveva finto di partire ed era rientrato attraverso un passaggio segreto, irruppe nella stanza mulinando la spada, gettandosi sul fratello.
Francesca si slanciò davanti alla spada protesa del marito per proteggere l’amante col suo corpo proprio mentre il marito affondava il colpo trafiggendoli entrambi.
Terrorizzato, Rimax saltò.