Pubblicato la prima volta il 17 Marzo 2017 @ 20:59
Capitolo 60 – 18 marzo 1964, Rimax e la focheraccia
Seguendo il lieve rumore che aveva percepito Rimax fece capolino dietro l’angolo della casa. Davanti a lui una catasta di fascine di rami secchi misti a sterpaglie era affastellata contro il muro fino a un’altezza considerevole. Il trapestio di zampette proveniva proprio da lì. Non poteva sbagliarsi. Topi.
Decise che non valeva la pena di infilarsi nei pertugi fra le fascine. Era molto più pratico rimanersene in attesa: prima o poi, si disse, i topi sarebbero usciti in cerca di cibo e a quel punto ci avrebbe pensato lui. Scelse un punto elevato, sul davanzale di una finestra, e si sdraiò placidamente al sole, in attesa.
Pochi minuti dopo un gruppo vociante di ragazzi irruppe nel cortile trascinandosi appresso un carretto e fermandosi davanti alla catasta. Si misero all’opera e nell’arco di poco tempo trasferirono sul carretto tutte le fascine sotto gli occhi attenti del gatto. E i topi? Dove si erano cacciati? Rimax non li aveva visti scappare. Erano rimasti nascosti fra i rametti? Intanto i ragazzi avevano cominciato, chi tirando le stanghe e chi spingendo da dietro, a spostare il carretto verso la strada. A Rimax non restò da fare altro che seguirli.
Nel 1964 quella zona di Rimini, a ridosso della ferrovia, cuscinetto fra il Borgo e la Barafonda, era quasi periferia. Nient’altro che un reticolo di strade che divideva in perfetti riquadri il nuovo quartiere. Le case, generalmente a due piani, si alternavano a campi coltivati a crisantemi oppure lasciati incolti. I ragazzi, sempre con il gatto alle calcagna, si diressero proprio verso uno di questi ultimi dove, in mezzo ad un capannello di altri ragazzi, svettava un alto palo. Rimax a quella vista scosse la testa, deluso. La focheraccia! A quel punto poteva dare addio alla sua cena.
Intanto continuava ad arrivare gente. Sembrava che tutti i ragazzi del quartiere si fossero dati appuntamento lì, dopo la scuola, ma non era così. Da un varco fra le case si intravedeva un altro campo incolto con il medesimo capannello di gente attorno ad un palo del tutto simile a quello dove stava lui. Arrivò un camioncino carico di vecchi pneumatici che vennero scaricati e appoggiati al palo; uno, enorme, più alto delle persone che lo facevano rotolare suscitò l’acclamazione di chi stava assistendo all’operazione. In breve tutti i pneumatici furono celati alla vista da un numero adeguato di fascine ammonticchiate contro.
– Mi raccomando – disse un ragazzo alto, coi baffoni spioventi – sistematele bene, che non si vedano, altrimenti se passano i vigili ce le faranno togliere!
Lentamente ma incessantemente, in una processione da formicaio, ragazzi uscivano da tutte le case trascinando vecchi mobili, travi e tronchi, pile di vecchi giornali tenuti da parte per l’occasione e qualsiasi altra cosa combustibile che avessero trovato e messo via nel mese precedente.Rimax rimase ad osservare quell’andirivieni riflettendo su tutte le precedenti occasioni in cui era stato presente durante quel rito che affondava le sue radici direttamente nell’era pagana. Ricordò i falò dei tempi antichi, quando gli scarti delle potature e le stoppie venivano bruciati per propiziare il favore degli dei, in vista dell’avvento della primavera. E i tempi successivi, quando a pretesto per fare festa venne preso San Giuseppe. In fondo il fine era sempre quello: bruciare il vecchio col fuoco purificatore, sperare in un buon raccolto, e cogliere l’occasione di divertirsi.
Una focheraccia come quella il gatto però non l’aveva mai vista. I ragazzi stavano ammucchiando di tutto, a patto che fosse combustibile. Ma all’ambiente non pensavano? Arrivavano di continuo altri copertoni di automobili, assi e travi imbrattate di cemento rubate nei cantieri, traversine della ferrovia impregnate di creosoto trafugate in qualche deposito e verdi tronchi di gaggie tagliati a colpi di manarina sulla vicina massicciata ferroviaria, che appariva desolatamente spoglia. Altri arrivavano con le fascine e i ceppi che avevano tenuto nascosti fino a quel momento nei giardini e nelle cantine: un bene troppo prezioso per abbandonarlo incustodito, alla mercè di chiunque passasse per la strada. Ogni isolato faceva a gara per ottenere la focheraccia più alta di tutta il quartiere. Anche il gatto era stato svegliato la notte precedente da gente che suonava i campanelli delle case e gridava:
– Venite! Hanno cercato di dare fuoco alla nostra focheraccia. Sono quelli dell’altra via che sono invidiosi perché la nostra è più alta. Dobbiamo organizzare i turni di guardia!
Rimax aveva ripreso a sonnecchiare ma c’era stato davvero chi aveva passato la notte a fianco del cumulo di legna per evitare che qualcuno rubasse o, ancora peggio, gli desse fuoco.
Un improvviso schiamazzo riscosse il gatto dalle sue osservazioni. Un gruppetto di ragazzi faceva capannello attorno a un tipo allampanato appena arrivato.
– Sono stato dalla Rosina del Ponte – raccontò – ma la polizia ha sequestrato tutti i tric e trac e le bombe carta.
– E le castagnole? – chiese un altro.
– Sequestrate anche quelle, non c’è rimasto più niente.
– Vedrete che torneranno fuori, fanno così tutti gli anni. Sequestrano i botti e poi li danno ai figli per farli divertire gratis! – esclamò un altro.
– Ma dai! Vuoi che davvero sia così? – rispose il primo – Comunque è sempre la Rosina a rimetterci!
– Ma allora come faremo?
– Faremo come abbiamo sempre fatto usando zolfo e potassio. Adesso vi faccio vedere – continuò il tipo allampanato rivolto ai ragazzi più piccoli. Si tolse di tasca due cartocci e cominciò a spiegare.
– Questo è zolfo in polvere. Ce l’hanno tutti i contadini che lo usano per combattere le malattie delle viti e ve ne regalano volentieri un po’ se glielo chiedete con gentilezza. Questo invece è potassio – e aprì il secondo cartoccio che conteneva una polvere biancastra.
– Sono quelle pastiglie che i vostri genitori vi fanno sciogliere in bocca quando avete mal di gola. Bisogna macinarle, ma non è difficile.
Poi si mescolano assieme in una piccolissima dose che si copre con un sasso piatto. Si da un bel calcione con il tacco e sentirete che briscola!
– A me hanno detto che si possono usare anche i bulloni – disse un ragazzino mingherlino fra quelli che lo stavano ascoltando con gli occhi pieni di meraviglia facendo mostra di intendersene.
Rimax sorrise sotto i baffi. “Questa è la scuola dei ragazzi più grandi” pensò “niente cambia veramente mai. C’è sempre chi fa il saputello per farsi vedere più importante di quello che è!”
Il ragazzo grande però non ci dette peso.
– E’ pericoloso – riprese – sarebbe meglio non giocare con quelli. Comunque bisogna prendere un grosso bullone, tipo quelli che fermano le ruote dei camion, e mettere un pizzico di miscela sulla testa. Quindi si avvita il dado in modo che la polvere penetri nella filettatura, ma piano piano, mi raccomando, altrimenti vi esplode in mano e vi porta via un dito. A quel punto si lancia in aria il bullone che quanto alla fine del volo colpisce il suolo fa una botta pazzesca.
– A me hanno detto che è meglio usare i bulloni che fermano le traversine della ferrovia – disse il saputello.
Stavolta anche il ragazzo più grande lo guardò male e si voltò per unirsi a quelli della sua età.
Rimax invece rimase interdetto a guardare entrambi. Poteva capire l’amore per i botti ma il pensiero di andare a svitare i bulloni sotto le rotaie lo faceva trasecolare. Possibile che non pensassero alle conseguenze?
Quella sera alle otto, l’ora decisa per l’accensione, gli abitanti delle case vicine erano riuniti già da diversi minuti attorno alla focheraccia. Rimax annusò l’aria già pregna di fumo. Nel quartiere diverse focheracce erano già state accese, oppure, rimaste senza guardiani, erano state incendiate in anticipo di proposito. Dal pomeriggio la catasta si era notevolmente alzata. Qualcuno era arrivato portando un’infinità di legna raccolta sulla spiaggia e alla foce del fiume. Era impregnata d’acqua e avrebbe fatto una fumara incredibile prima di prendere fuoco, ma pur di avere la focheraccia più alta di tutti molti non sarebbero stati restii ad aggiungere anche i mobili di casa. Alla sommità del palo era stato agganciato un informe fantoccio, la “vecia” a simboleggiare l’inverno.
– Sono le otto – disse una donna
– Aspettiamo – le fece eco un omone che imbracciava il fucile da caccia – più aspettiamo e più a lungo dura.
– No, no, è ora – disse un altro e un gruppetto di ragazzi si avvicinò con fiammiferi e accendini.
– Vedrai che non prende – disse uno.
– Ma aspetta un attimo, sfigatore! – gli risposero.
– Va là, va là che prende – esclamò un altro – e girò attorno alla catasta versando benzina da una tanica. Al termine del giro innaffiò la legna più in alto che potè e poi, per soprammercato, getto sulla pira anche la tanica.
– Vai! – esclamò.
Deboli fiammelle azzurrognole fiorirono tutto intorno e divamparono in un amen. La benzina aveva preso fuoco ma presto terminò e le fiamme si spensero lasciando qualche fiammella qua e là. Un “oh” di sconcerto e delusione si alzò dalle decine di persone presenti ma un attimo dopo la carta ed i cartoni presero fuoco, le fascine di tralci di vite, tenute al coperto per gli ultimi due mesi, si accesero scoppiettando allegramente, le fiamme cominciarono a lambire i tronchi più grossi e il fumo cominciò a spandersi nel cielo.
Rimax non si era mosso dalla casa nella quale era stato accolto un paio di settimane prima e osservava la focheraccia da dietro la finestra. Sebbene questa fosse stata chiusa ermeticamente, ben presto un odore greve, grasso ed oleoso filtrò ugualmente attraverso l’infisso e assalì le sue delicate narici.
Le fiamme divamparono divorando il legno secco e facendo alzare pesanti nuvole nere dai copertoni e chiare volute di fumo dalla legna intrisa d’acqua. Tutti gli uomini che si erano portati appresso il fucile da caccia lo puntarono verso l’alto e cominciarono a sparare. Secche detonazioni che facevano da contrappunto al ruggito delle fiamme. Qualcosa continuava a scoppiare dentro il fuoco, bottiglie forse, o qualcos’altro che era stato inserito apposta per aumentare il volume finale. Il calore diventò intenso e il cerchio delle persone si allargò. Le fiamme si alzarono per una ventina di metri sovrastando i tetti delle case. Scintille impazzite danzavano nel fumo. Un urlo di trionfo si alzò quando la focheraccia rivale, finito lo slancio iniziale, cominciò a perdere intensità ma fu un giubilo di breve durata perché i rivali affluirono con altre fascine. Evidentemente avevano tenuto della legna di scorta per prolungare la vita della loro creatura.
Il calore crebbe e il cerchio si allargò ancora di più, assottigliandosi. I ragazzi si guardarono orgogliosi. Quell’anno era venuta magnifica, si dissero, tanto grande che non sarebbe stato possibile attraversarla con un salto, come voleva la tradizione, fino alle prime luci del mattino. Il palo collassò di schianto, sollevando un nugolo di faville e qualcuno cominciò a sfollare. Rimasero solo i ragazzi, o almeno quelli che avevano il permesso di fare un po’ più tardi del solito. Le fiamme calarono di intensità ma il fuoco aveva attaccato i copertoni che avrebbero continuato a bruciare fino a giorno fatto lasciando a loro memoria un sottile intreccio di fili di ferro immerso nella cenere.
Rimax non era rimasto impaurito da tutti quei botti, sapeva di non essere in pericolo, però ne era infastidito. Entrò nella stanza del bambino e si acciambellò in fondo ai suoi piedi, deciso a rimanere vigile. Quella sera, al bimbo, era caduto un dente da latte e sua madre aveva faticato non poco a blandirlo e calmarlo. Era così, ascoltando le parole della donna, che Rimax aveva scoperto come in quella famiglia non credessero alla fatina dei dentini, ma al topolino.
Impossibile dite? Mah, di cose strane è pieno il mondo, e lui ne aveva già viste succedere così tante. Avrebbe dormito con un occhio solo, decise. Chissà mai…