Pubblicato la prima volta il 18 Agosto 2018 @ 09:47
Mio nonno, Guido Fabbri, che qualcuno di voi ha già imparato a conoscere attraverso il blog su cui sto pubblicando il suo libro di memorie, era un grande appassionato di musica, come ha ben spiegato in uno dei suoi racconti. Nel 1991, prossimo ai 90 anni, scrisse un articolo sulla storia del nostro teatro, di cui fu in gran parte testimone diretto; ve lo ripropongo integralmente. Noterete che, tra le altre cose, si cita anche l’opera “Graziella”, di cui abbiamo parlato qualche giorno fa con i nostri lettori sulla pagina Facebook di Rimini Sparita, per la quale abbiamo avviato una piccola ricerca che, tra l’altro, ha portato alla luce questo articolo, testimonianza preziosa della storia della nostra città.
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Il nostro teatro, in un primo momento intitolato a Vittorio Emanuele II, ora si chiama Amintore Galli. I riminesi gli cambiarono nome nel marzo 1947. Galli nel 1907, anno in cui ricorreva il 50° di attività del teatro, vi fece rappresentare la sua opera “David”. In quell’occasione, l’entusiasmo dei riminesi salì alle stelle: fecero salire il maestro su una carrozza, distaccarono i cavalli e, mettendosi al loro posto, lo portarono in trionfo per tutta la città (Galli compose anche l’opera lirica “Il corno d’oro”, alcuni oratori e scrisse vari trattati di musica. Era nato a Talamello nel 1845 e morì a Rimini, sua città prediletta, nel 1919).
Il nostro teatro venne inaugurato nell’estate del 1857 con l’opera lirica “Aroldo” di Giuseppe Verdi, presente lo stesso autore, sotto la direzione del grande maestro A. Mariani.
In quella prima stagione teatrale, furono rappresentate anche le opere “Trovatore” di Verdi e “Lucrezia Borgia” di Doninzetti, e furono eseguiti due grandiosi balletti: “Il trionfo dell’innocenza” e “Carlo il Guastatore”.
In tutti gli anni seguenti, fino al 1914, quando esso fu chiuso a causa della guerra, vennero realizzate due stagioni liriche: una per Carnevale e l’altra nel periodo estivo. Furono così rappresentate complessivamente 138 opere. Nel 1914, “Isabeau” di Mascagni fu rappresentata all’aperto: il palcoscenico era stato collocato dove ora si trova la Fontana dei Quattro Cavalli. Il tenore era Bernardo De Muro. In seguito al terremoto del 1916, il teatro fu lesionato e si resero necessari diversi restauri. Le rappresentazioni vennero riprese nel 1923, in estate, con “Francesca da Rimini” di Zandonai e “Andrea Chenier” di Giordano. Per quest’ultima, il tenore fu Beniamino Gigli.
Nel 1925, fu la volta de “I cavalieri di Echebù” di Zandonai e di “Tosca” di Puccini. Negli anni successivi, avemmo “Mefistofele”, “Aida” e “Manon Lescaut”.
Nell’estate del 1926 fu allestita “Turandot”, interpretato dal soprano Carla Ricci, contornata da un gruppo di cantanti di notevole levatura, al punto che molti ritennero che il complesso fosse superiore a quanto poteva vantare il teatro La Scala di Milano. Il regista fu Giovacchino Forzano, il quale fu protagonista di un incidente che mise a rumore l’intera città. Durante la prova generale, ebbe parole offensive nei confronti delle comparse, le quali se ne risentirono e stavano abbandonando il teatro, quando giunse l’impresario Ragazzini. Informato dell’accaduto, egli si rivolse furibondo al regista facendo valere i suoi diritti di finanziatore nonché i rischi che correva, e costrinse il regista a ricredersi. Per fortuna, tutto si risolse con una solenne bevuta.
A proposito di Ragazzini (vecchia volpe), va notato come egli riuscisse a portare a Rimini sempre gli artisti migliori approfittando sia della notorietà ormai raggiunta dalla nostra riviera, sia del fatto che nel periodo estivo gli artisti medesimi erano liberi da altri impegni e venivano volentieri nella nostra città.
Negli anni che seguirono, fino al 1939, anno in cui scoppiò la Seconda Guerra Mondiale, fu tutto un susseguirsi di rappresentazioni di sicuro prestigio. Alle opere di Verdi, Puccini, Doninzetti, Massenet, Wagner e di altri autori classici, si affiancarono gradevoli novità come “I quattro rusteghi” di Wolf Ferrari e “Graziella” del concittadino Augusto Massari. Va anche ricordato un grande concerto realizzato nel 1925, nel corso del quale il maestro Enrico Marco Bossi diresse una propria composizione, e fu anche cantato l'”Inno al sole” di Mascagni, diretto dal riminese maestro Biondi.
Sempre in quel periodo, venne eseguito dalla polifonica della basilica di San Pietro in Roma un concerto per solo coro di musica sacra. Si trattò di un’esecuzione grandiosa sia per la compattezza che per l’intonazione del coro, che fu applauditissimo. Ne faceva parte anche il maestro compositore don Tosi che aveva una bella voce e che aveva composto una Messa risultata vincitrice in un concorso di musica sacra.
In quegli anni era molto bello vedere il teatro pieno di gente elegante: gli abiti spesso sfarzosi delle signore trovavano il loro contrappunto nella calcolata sobrietà dei frak o degli smoking dei loro accompagnatori. La piazza Cavour era gremita di curiosi e sempre, in prima fila, si trovavano le sartine, a volte in atteggiamento “professionale” (per copiare modelli di abiti), ma molto spesso anche in funzione critica, che esse esprimevano con motti salaci e coloriti.
Era frequente anche la sosta a Rimini degli autori delle opere in cartellone e questo dava luogo a manifestazioni di buon livello culturale. Tra l’altro, una volta il maestro Cilea, durante il suo soggiorno nella nostra città, venne invitato ad ascoltare i canterini romagnoli che si esibivano nel piazzale del Kursaal, rimanendo entusiasta per la perfetta intonazione del gruppo.
Alla soglia dei miei 90 anni, con tanta nostalgia ho elencato questi dati, col timore di aver citato le grandi doti di un caro estinto. Mi addolora vedere il nostro teatro così dimenticato, vedere la nostra bella città privata di uno dei cardini della sua cultura. Per questo ho preso i pennelli e l’ho dipinto su tela. E’ il ricordo e il rimpianto di un passato glorioso, ma anche la speranza di una ripresa che veda concordi enti e cittadini, in un’opera sicuramente meritoria.
Guido Fabbri
Da “Il Ponte”, domenica 13 ottobre 1991 (il pdf dell’articolo è pubblicato sul Blog di Nonno Guido)
Molto bello l’articolo. Attenzione però! I detrattori della Musica Lirica, quelli che rifiutano il Teatro catalogandola insipientemente come un genere d’élite non traggano argomenti dai “vestiti sfarzosi, frac e smoking”. Come si vede dalla foto c’era un grande loggione, una sorta di arena sopra i palchi, che mia nonna ricordava frequentato da più modesti ma dignitosi appassionati. Perchè l’Opera è radicata nella cultura POPOLARE italiana, ne è l’essenza.
Oltre a Gigli è doveroso ricordare il Trovatore di Giacomo Lauri Volpi del 1928.