Pubblicato la prima volta il 30 Luglio 2018 @ 00:00
“Cosa ci hanno lasciato” di Grazia Nardi
Vocabolario domestico: “Per un sòld us/las farìa dè in te…”
Una delle tante espressioni che indicano il colmo dell’avarizia e/o dell’arrivismo: pur di far soldi è disposto/a a… tutto.
Già l’avarizia (che ho trattato più volte) può creare danni a chi la pratica perché, come diceva mamma Elsa “quant’è tl’ultme in sè gòd gnìnt”, vale a dire neppure l’avaro alla fin fine gode dei beni che la vita può offrire o anche “tanimodi un s’ì porta tlà casa” vale a dire “in ogni caso si conservano (i soldi) fino all’inverosimile ma poi si lasciano qua dato che “dopo” non sono davvero spendibili”. Ma è indubbio che, ai livelli più estremi, crea malessere e disagi per coloro che hanno relazioni più o meno intense con l’avaro.
Ho avuto qualche esperienza diretta, piuttosto “creativa”, quando veniva messa e controllata una cordicella sulla catasta della legna, come “segnale” che, mosso, avrebbe rivelato un prelievo fuori ordinanza; ho visto contare i fiammiferi di due scatole per verificare che contenessero lo stesso numero, contare le mollette dei panni, ma è certo che, in giro, da sempre ci sono gli avari in conto terzi, quelli che non sono disposti a spendere un soldino per gli altri, anche trattandosi di famigliari, ma non fanno mancare niente a sé stessi. Ricordo il babbo che trovava sempre occasioni d’acquisto, tipo le scarpe “in liquazione” ed alla domanda della mamma “l’in gnèra ènca per me?” la risposta arrivava puntuale “nà in li aveva da dòna…” oppure “questi a gli èra gli ultmi…”.
Ma in quella disponibilità a fare qualunque cosa per interesse individuale c’era e c’è qualcosa che andava oltre i beni materiali di facile fruizione. Qualcosa che in gran parte dell’ambiente popolare era particolarmente biasimata perchè significava la rinuncia all’unico bene che si poteva vantare: la propria dignità. E’ una valutazione che, impressa da piccoli, ti rimane incollata nella testa e nei sentimenti. Così ai matrimoni d’interesse dove, allora come oggi, donne giovani e belle si univano a quelli che la mamma, un po’ rudemente, definiva “vèć bavós”, seppur ricchi e blasonati, dichiarandosene follemente innamorate.. il commento lucido della Elsa, allora, come oggi “a vulèva véda sl’èra un upèrai…”.
E non era banale retorica di vulgata ma una seria valutazione sui propri obiettivi di vita perché “piutòst che n’andè durmì s’un i sé le mèj magnè pèn e zväla”.