Pubblicato la prima volta il 27 Novembre 2016 @ 19:47
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Al termine della puntata precedente ho detto che questa volta avrei allargato il nostro orizzonte ai dintorni della città. Ora, considerando le parlate e i dialetti che si incontrano nella cintura di Rimini, già a partire dalla periferia, mi verrebbe da dire che la caduta della penultima vocale è pressoché sistematica, ma bisogna tenere conto di alcune importanti eccezioni, dovute per lo più all’influenza dell’italiano. Tale influenza si fa sentire in modo variabile, a seconda della terminazione.
Prendiamo ad esempio la terminazione che in italiano è “-àtico”, e che troviamo ad esempio in “pratico, fanatico, simpatico”. Nel latino classico questa terminazione era –ATICUM, che nel volgare romagnolo ha dato inizialmente –ÀDEGO, dopodichè in buona parte della regione, e in particolare nell’area sud-orientale, si è avuto il raddoppiamento della D, quindi –ÀDDEGO. Qui la A accentata, essendo davanti a una doppia, si è conservata, mentre le vocali non accentate sono cadute, e si è avuta la terminazione ‘-àdg’ nelle parlate che tollerano il nesso ‘dg’ finale. Ancora oggi in campagna si sentono parole come ‘pràdg’ per “pratico” e ‘salbàdg’ (o ‘saibadg’) per “selvatico”. Ci sono poi parlate che non tollerano il nesso ‘dg’ finale, e queste nel circondario di Rimini, come sappiamo, aggiungono una vocale non etimologica, che può essere ‘e’ o ‘i’. Troviamo così esiti come ‘pràdghe’ o ‘pràdghi’. Il problema della vocale non etimologica non si pone per il femminile, poiché nella terminazione –ÀDDEGA la A finale si conserva, e si trovano esiti come ‘pràdga’ e ‘salbàdga’ (o ‘saibadga’).
Queste sono parole derivate per via popolare per molti secoli, ma poi ci sono le parole acquisite secondariamente dall’italiano e più in generale dalla lingua colta. Consideriamo ad esempio “simpatico”. Spesso tali acquisizioni procedono per analogia, soprattutto per quel che riguarda le terminazioni dove si trova la vocale accentata. Così, se “pratico” è ‘pràdg’, “simpatico” potrebbe essere ‘simpàdg’. Ma non ho mai sentito questo esito, nemmeno in campagna. Si usa invece un adattamento parziale, che è ‘simpàtic’. Dico che è un adattamento parziale, perché la vocale finale viene fatta cadere, e anche perché la “a” accentata si conserva, come se il termine fosse derivato da un volgare SIMPÀTTICO. La cosa non finisce qui perché, essendosi imposta la forma italianizzata in parole come ‘simpàtic’, ‘antipàtic’, ‘fanàtic’ eccetera, anche quelle derivate per via popolare sono state progressivamente abbandonate, soprattutto nei centri abitati, a favore delle forme italianizzanti. Così al posto di ‘pràdg’ (o ‘pràdghe’ o ‘pràdghi’) si sente sempre più spesso ‘pràtic’. Gianni Quondamatteo nel suo ‘Dizionario romagnolo’ documenta questa tendenza commentando la voce ‘pradg’. Scrive: «Voce valida soprattutto nella cintura riminese; la città ha optato per il moderno ‘pràtic’» (qui e nel seguito uso le virgolette semplici per rendere il corsivo).
Ci sono però delle terminazioni in cui si è mantenuta, anche per analogia, la forma originaria derivata per via popolare. Fra queste ci sono –OLO e –OLA, che abbiamo trattato nella puntata precedente. E da queste terminazioni si vede che nella cintura attorno a Rimini, già a partire dalla periferia, la caduta della penultima vocale è sistematica. Ad esempio da DIÀVOLO non si ha ‘dièvul’, ma ‘dièvle’ o ‘dièvli’ (o ‘diàvle’ dove il volgare era DIÀVVOLO). Anche Quondamatteo in alcuni casi documenta questa differenza. Così, commentando la voce ‘dièvul’, scrive: «Alla periferia e in campagna ‘diàvle’, ‘dièvle’, ‘dièvli’». Si tenga presente che alcune di queste varianti che Quondamatteo colloca in “periferia” si trovano già in alcuni borghi. Ad esempio ‘dièvli’, che è l’esito sistematico della campagna a nord del Marecchia, si sente già nel Borgo San Giuliano. Come ho detto nella puntata precedente, le cose vanno (o quanto meno andavano) diversamente nel Borgo Marina, dove invece prevale(va) nettamente (anche più che nel centro della città) la tendenza a conservare la penultima vocale del volgare.
Dicevo che queste terminazioni non sono state alterate dalla progressiva italianizzazione, e si mantengono anche per analogia. Consideriamo ad esempio l’assimilazione di parole come “angolo” o “titolo”. In dialetto “angolo” si dice ‘cantòun’, ma ci può essere l’esigenza di assimilare il termine italiano in particolari accezioni (si pensi ad esempio all’angolo delle figure geometriche), e anche in questo caso in campagna si dice ‘àngle’ o ‘àng-li’, non ‘àngul’. E “titolo” si dice ‘téttle’ o ‘téttli’, non ‘téttul’ (si osservi che qui l’assimilazione procede per analogia anche nella derivazione della vocale accentata, sicché il risultato è lo stesso che si avrebbe se fosse derivata da un volgare TÌTTOLO). Le cose vanno diversamente in città, dove già le parole derivate per via popolare conservano spesso la penultima vocale del volgare, e a maggior ragione tale conservazione si trova negli italianismi. Il cittadino che già dice ‘dièvul’ per “diavolo”, dovendo adattare “angolo” e “titolo”, non può che dire ‘àngul’ e ‘téttul’.
C’è dunque questa contrapposizione fra il centro della città e la campagna, con i quartieri periferici che manifestano spesso una situazione intermedia. Se però allarghiamo il nostro orizzonte, “saltando” da Rimini ad altre città, si ritrovano non di rado delle analogie. Vediamo, per cominciare, la stretta analogia esistente fra la situazione di Rimini e quella di Pesaro.
Volendo fare un confronto con Pesaro bisogna dire, innanzi tutto, che il pesarese evita la formazione di certi nessi consonantici aggiungendo la vocale non etimologica ‘e’, come avviene anche nella parlata strettamente urbana di Rimini e in quelle della parte meridionale del territorio riminese. Così a Pesaro dagli etimi volgari LÀDRO, FÓRNO, MÈRLO, FÈRMO si hanno virtualmente gli esiti ‘lèdr’, ‘fórn’, ‘mèrl’, ‘fèrm’, che diventano poi ‘lèdre’, ‘fórne’, ‘mèrle’, ‘fèrme’.
La principale analogia fra le parlate strettamente urbane di Rimini e Pesaro sta proprio nella spiccata tendenza a conservare la penultima vocale delle voci che avevano originariamente l’accento sulla terzultima. Va detto che anche a Pesaro, come a Rimini, si manifesta una notevole variabilità: è quasi impossibile trovare due pesaresi che esibiscano gli stessi esiti per tutte queste parole, per cui non si può fare altro che riferire l’esito che risulta più frequente alla luce delle interviste raccolte. Fatta questa riserva, le corrispondenze sono comunque assai significative.
Limitandoci, al solito, alle parole che nel volgare avevano la terminazione –OLO e –OLA, di queste corrispondenze se ne trovano decine. Ad esempio agli esiti riminesi ‘ambrìšul’, ‘ànžul’, ‘amàndul’, ‘bìgul’, ‘brésscula’, ‘càcula’, ‘mirècul’, ‘piàtula’, ‘s-cèntul’, ‘sèntul’, ‘sèntula’, ‘šghéttul’, ‘spìgul’, ‘švèintula’, ‘tràpula’, ‘tréccul’ e ‘zinzàngul’ corrispondono a Pesaro gli esiti ‘imbrìgiol’, ‘àngiol’, ‘màndol’, ‘bìgol’, ‘brìs(s)cola’, ‘càcola’, ‘mirècol’, ‘piàtola’, ‘schiàntol’, ‘sàntol’, ‘sàntola’, ‘šghìt(t)ol’, ‘spìgol’, ‘švèntola’, ‘tràpola’, ‘trìc(c)ol’ e ‘cinciàngol’. Possiamo osservare, peraltro, che a Pesaro non si ha la riduzione della O a ‘u’, ma ci sarebbe da dire che anche a Rimini, soprattutto nella comunità legata alla marineria, quella ‘u’, essendo una vocale non accentata, ha un timbro piuttosto variabile, e tende non di rado ad aprirsi, tant’è che alcuni riminesi sono talvolta indotti a scrivere ‘o’. Riprenderemo questo discorso trattando il caso di Ravenna.
Nella parlata urbana di Pesaro la tendenza a conservare la vocale sembra persino più spiccata che a Rimini, tant’è che essa si trova anche in parole che a Rimini l’hanno ormai persa. Così, mentre a Rimini si hanno gli esiti ‘barcòcla’, ‘bròcle’, ‘còzla’, ‘lòdla’, ‘lózzla’, ‘nòtle’, ‘nóvvla’, ‘spéppla’, ‘tròcle’ e ‘žóžžla’, a Pesaro si trova ‘bricòcola’, ‘bròcol’, ‘còciola’, ‘lòdola’, ‘lùc(c)iola’, ‘nòtola’, ‘nùvola’, ‘spìp(p)ola’, ‘tròcol’ e ‘giùg(g)iola’. È pur vero che vi sono alcuni casi in cui a Pesaro è caduta la vocale che si conserva a Rimini, ma questi sono rarissimi. Possiamo citare le voci corrispondenti a “diavolo” e “tavola”, che a Rimini sono ‘dièvul’ e ‘tèvula’, mentre a Pesaro si hanno ‘diàvle’ e ‘tàvla’…
Davide Pioggia