“Nù rìd cl’è venèr…”

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Pubblicato la prima volta il 1 Settembre 2017 @ 00:00

Cosa ci hanno lasciato” di Grazia Nardi
Vocabolario domestico: “Nù rìd cl’è venèr…”

Siamo nel campo sconfinato della superstizione: “non ridere di venerdì, ché sennò si piange di domenica…

Certo, una premonizione irrazionale, segno di una “cultura” basata più sul pensiero tramandato che sui libri di scuola… ma non era solo quella la motivazione… la povertà, le disgrazie ricorrenti ad essa correlate portavano a forme prudenziali: meglio esorcizzare che rischiare.. erano talmente rare le occasioni di ilarità che qualche “gnomo” malefico poteva aversene per male e la giornata del “venerdì” era sempre quella incriminata, come nel caso “di venere e di marte… non si sposa e non si parte”.

Comprensibile l’ostilità di “Marte” divinità bellica, ma Venere! Fosse la credenza cristiana del Gesù morto in croce proprio nella giornata di venerdì? Ma tant’è che le risate erano spesso considerate un lusso, si poteva ridere innocentemente per avvenimenti semplici, per uno scherzo, per le parole storpiate di un bambino ma non ipotizzare “la felicità…”. Non diversamente “nu chènta ch’èt pòrt disgrèzia” commento, questo, che veniva rivolto a chi, generalmente, aveva atteggiamenti seriosi per cui quell’allegria rivestita dal canto, del tutto anomala ed inconsueta, non prometteva niente di buono. Ma faceva stizzire anche quello che, in un ragionamento felice, in una lieta previsione, ci metteva sempre un “se” o un “ma” per cui lo si stoppava con un “ nù fa l’usèl dè melaugurie..” ovvero la civetta.

Perché più del gatto nero che attraversa la strada, l’animale portasfortuna per eccellenza era la civetta o, meglio, è la civetta. La Elsa ci credeva ancora, più del gatto nero che attraversa la strada o dello specchio che va in frantumi, la mamma teme il verso della civetta che, a suo dire, “cantava” la notte precedente il giorno in cui è morto, a 48 anni, il suo amatissimo babbo. Ma è la misoginia, ahimè, a dominare il campo della superstizione.. persistente retaggio, negli anni ’50, di un tempo in cui le donne non avevano nemmeno diritto al voto mentre nelle classi nobili erano destinate ai monasteri per non intralciare l’asse ereditario maschile. Era la donna che poteva essere causa di “disonore” .. perennemente sotto minaccia del rischio di rimanere incinta “sènza marìd”.E per questo le mamme tenevano sotto controllo le scadenze “mensili”. Non a caso quando, all’età di 8 anni, mi sono apparse le mestruazioni, fenomeno di cui, data l’età, nulla sapevo, il commento della mamma fu “tè cminzè prèst a patì”. Ed in proposito era diffusa la convizione che quando la donna aveva “e’ marchés” (così in dialetto), non doveva toccare le piante chè, diversamente, potevano seccarsi. Quel che peggio è che avevano finito per crederci anche le donne. Così “portava sfortuna” incontrare per prima una donna, il giorno di Capodanno. Si arrivava al punto di mettersi d’accordo con qualche vicino (maschio) di casa perché venisse a bussare alla porta, al mattino presto.

Poi non era raro scambiare una persona troppo gentile, leziosa, sempre accondiscendente.. per una iettatrice, “la fa e’ maloć!”. Il babbo s’era fatto quest’idea di una vicina dal fisico alto e segaligno che la costringeva a camminare ricurva; la donna dava alle sue apparizioni un carattere improvviso che inquietava il babbo, il quale prendeva ogni suo augurio, all’incontrario, come fosse una maledizione. Ricordo Attilio quando accatastava la legna, destinata alla stufa, nel “fondo”. Un’operazione non semplicissima perché occorreva utilizzare sapientemente lo spazio impilando con criterio “i tocchi”. E dalla volta in cui al commento della donnina “a mitì a pòst la lègna, Tiglio?” la catasta, quasi completata, rovinò con un boato a terra.. il babbo cominciò a fare gli scongiuri agitando mignolo ed indice di entrambe le mani.. ad ogni incontro…ed incitava tutta la famiglia a fare altrettanto “fèj al còrni!”.. Il babbo poi era un “patito” del solitario con le carte. Lo faceva ad ogni ora del giorno e della notte, non solo per verificare il buon esito dei desideri ma anche per aver conferma di alcuni suoi sospetti e questo turbava molto noi bambini.. ed anche la mamma.. anche perché lo ripeteva così tante volte che alla fine “veniva” dal momento che le carte non si mischiavano più…e spesso, la reazione, non era delle più pacifiche… Il turbamento aleggiava anche quando “saltava” il sopracciglio destro, secondo il detto “oć mènc, cór frènc, oć drét, cór flét..”.. E…inutile dire …. anche se la ragione ed i fatti hanno ampiamente smentito questa relazione…. ancor oggi, quell’occhio che traballa.. mi dà fastidio.. poi capisco che non è l’occhio a procurare l’ansia ma esattamente il contrario.

E noi bambini? Cornetti rossi antimalocchio magari appesi a quella spillina legata al “bavusino”, un regalo dove la parte in oro era così leggera e sottile che il corallino rosso serviva a renderla visibile…poi, cresciuti ma non troppo, ci parlavano di “fulèt” che intrecciavano i capelli ai bambini “discoli” ed alla coda dei cavalli nelle stalle… e che si dileguavano schifati solo in alcune circostanze; così quando ci mettevano sul vaso da notte, la mamma ci incitava “fala, fala ch’è fulèt è sìnt la póza e isé è va via…”.

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