Pubblicato la prima volta il 24 Giugno 2020 @ 12:16
Ci fu un tempo in cui Rimini poteva vantarsi di una schiera di pittori di valore le cui opere superavano di gran lunga i ristretti confini artistici della Riviera. Erano artisti che si raccoglievano attorno allo scrittore Gianni Quondamatteo, il quale aveva creato per loro una sede giocosa presso il ristorante “Il Giardino” di Bruno in via Vittime Civili di Guerra con l’istituzione del premio “La gradela d’arzent” (la graticola d’argento). Vi partecipavano Luigi Pasquini, Guido Ricciotti, Demos Bonini, Domenico Bagnaresi, Mario Valentini, Tale Benzi ed altri ancora. Da Santarcangelo scendevano Cesare Sughi, Obes Gazza, ecc. (per chi non lo sapesse o non lo ricordasse Bruno era una istituzione nazionale ed aveva reso famose in tutta Europa le sue specialità di pesce, la grigliata degli arrosti, il brodetto, il risotto col pesce sampietro, ecc.).
Fra tutti questi artisti spiccava Armido Della Bartola, il “Re Armido”, il poeta dall’animo molteplice, che spaziava dalle cronache pittoriche della sua Rimini d’adozione (è nato a S. Mauro Pascoli, ma venne subito nella nostra città) alla fantasia dei “ghiribizzi” d’auguri natalizi, di cui scrisse don Francesco Fuschini: “Caro poeta trasognato, non si vive solo di pane, ma anche di sogni azzurri … Lei è nato con il pennello in mano!!”. E di rimando Luigi Pasquini: “Caro Armido, sempre cari i tuoi auguri con questo tuo ghiribizzo grondante di cromatismi misteriosissimi, una cosa veramente esemplare, ricca di mistero, piena di fascino. Bravo!”. Dal 14 al 22 dicembre Armido ha esposto nella Sala degli Archi, in piazza Cavour, la mostra “Mai più la guerra” che si aggiunge degnamente a quelle da lui inaugurate in numerose città italiane, in Francia, in Germania, in Yugoslavia. Una mostra in cui “Re Armido” ha posto ancora una volta la sua inimitabile abilità e sensibilità cromatica al servizio di Rimini nel momento della sua massima tragedia, quella del 1943-44, quando la città fu distrutta dagli aerei alleati per la seconda volta dopo la distruzione sillana di duemila anni fa.
Nell’attesa di una degna commemorazione pubblica dell’immane tragedia che i riminesi aspettano da 56 anni, Della Bartola ha bruciato i tempi ed ha prestato il dono prezioso del suo colore, ricco, “qualche volta spatolato in un tumulto di luci e tinte, dai bianchi brillanti, dal denso cobalto dei cieli, dai rossi accesi e dai vividi sfondi verde-azzurri”, alle immagini della sua città distrutta. Una mostra fatta per i riminesi, a cui descrive lo scempio di una città trimillenaria che oggi vive solo nelle opere di Federico Fellini e nei racconti di qualche nostalgico scrittore, una mostra che ha rappresentato un “must”. Della Bartola ha allestito una mostra che rimarrà sempre nella storia della città. Quando i nostri discendenti vorranno vedere il punto di partenza della nuova Rimini non potranno non ricorrere alle sue pregnanti e tragiche testimonianze. “Ecco le tele della mia città distrutta dalla guerra – dice commosso l’artista -. Chi ha dipinto queste macerie con i loro riflessi di sofferenza è lo stesso pittore noto per avere colorato il mare, l’arenile, il porto, i raccoglitori di poveracce…”.
Amedeo Montemaggi
Ariminum
Anno VIII – N. 40 Gennaio/Febbraio 2001