Monumenti sopravvissuti: il Ponte di Tiberio

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Il Ponte di Tiberio nel 1944

Pubblicato la prima volta il 16 Agosto 2018 @ 09:47

Il Ponte di Tiberio nel 1944
Il Ponte di Tiberio nel 1944

Il Ponte di Tiberio (o d’Augusto o di San Giuliano), che permette l’attraversamento del fiume Marecchia a nord della città di Rimini, fu iniziato dall’imperatore Augusto nel 14 d.C. e terminato dal suo successore Tiberio nel 21. Esso è sempre stato l’orgoglio e il simbolo della città e, meraviglia della tecnica classica,  per quasi duemila anni l’unica via adriatica che congiungesse il Nord Italia al resto del Paese.

La notte del 21 settembre 1944 Willi Trageser – maresciallo della 2. Compagnia Paracadutisti tedesca in ritirata (la città sarebbe stata ufficialmente liberata entro poche ore dalle truppe greche) – prese in carica otto fornelli da mina, già scavati da alcuni mesi sotto il piano stradale in corrispondenza dei quattro piloni centrali e contenenti ognuno una ventina di chili di “hammontal” (un esplosivo igroscopico di fabbricazione francese forse usato nelle foreste per abbattere gli alberi); i fornelli, collegati a catena, usavano come detonatori secondari di fortuna dei pezzi di grondaia di circa mezzo centimetro. Quando l’ultimo paracadutista uscì dal Corso d’Augusto ed attraversò il ponte Trageser provocò l’esplosione di cui le pietre del ponte portano ancora il segno. “Ma c’era un certo accavallamento di fili – scriverà nel 1969 il suo collega e amico Georg Schmitz allo storico Amedeo Montemaggi – per cui ci fu solo un’esplosione parziale che non fece alcun danno. L’uso delle grondaie fu la salvezza del ponte perché il detonatore funzionò male e solo due fornelli esplosero, provocando lievi danni” [l’esplosivo dei sei fornelli inesplosi venne rinvenuto solo dopo 13 anni, in occasione della riparazione del manto stradale nel 1957 – N.d.R.]

Dopo aver comunicato l’insuccesso al Comando – come da ordine – Trageser ci riprovò per una seconda e una terza volta ma, per nostra fortuna, ottenne solo… fumo senza arrecare alcun danno alla struttura. “Il nemico era in vista e non era certo facile porre in funzione le cariche…” proseguì Schmitz, teso a giustificare comunque la propria abilità militare di pioniere paracadutista. Il fumo dovette comunque essere abbondante e… convincente se Trageser riferì ufficialmente al Comando che  “il ponte era saltato”, anche se si può dubitare che un abile geniere non si fosse accorto che le cariche erano insufficienti e che l’opera era rimasta intatta. Dobbiamo ringraziare questo clamoroso errore di valutazione, cui si deve, oggi, la sopravvivenza del celebre monumento, la cui scellerata distruzione sarebbe apparsa peraltro inutile, dal momento che il greto ghiaioso del fiume a monte avrebbe comunque permesso l’attraversamento dei veicoli alleati.

Trageser stesso, peraltro, riuscì fortunosamente a “sopravvivere” alle conseguenze del proprio errore di valutazione. Qualche tempo dopo si presentarono al Comando tedesco alcuni paracadutisti, catturati dagli alleati ma fuggiti dal campo di prigionia di Ancona e ricongiuntisi ai propri camerati dopo il furto di un automezzo militare e una fuga avventurosa di 200 chilometri attraverso le linee nemiche. Interrogati su ciò che avevano visto in territorio nemico, i paracadutisti riferirono che a Rimini erano passati “sul ponte romano”: Trageser venne immediatamente convocato da Heidrich e non sappiamo perché la cosa si sia comunque risolta senza conseguenze per il maresciallo “riminese”.

Secondo il colonnello Horst Pretzell, l’Alto Comando tedesco aveva ordinato che il ponte fosse risparmiato. L’emanazione di un tale ordine, però, non risulta ai genieri paracadutisti germanici né risulta un ordine analogo del tenente colonnello Rudolf Rennecke, comandante del 1. Reggimento paracadutisti, noto come “il salvatore dell’Arco e del Ponte”.
Secondo la documentazione dei pionieri, confermata dal signor Joseph Klein allo storico Montemaggi, il “salvatore del Ponte” fu, appunto, il Feldwebel Willi Trageser che avrebbe dovuto demolirlo assieme all’Arco d’Augusto.

Bibliografia:

  • A. Montemaggi: “Il ponte di Tiberio a Rimini, nascondeva cariche di esplosivo”, Il Resto del Carlino, Bologna, 30 gennaio 1957
  • A. Montemaggi: “Rimini-San Marino ’44. La battaglia della Linea Gialla. ( R.S.M. ) Sfondamento della Linea Rimini (Gialla), nella settimana più sanguinosa di tutta la campagna d’Italia” (1983)
  • A. Montemaggi: “LINEA GOTICA 1944. La battaglia di Rimini e lo sbarco in Grecia decisivi per l’Europa sud-orientale e il Mediterraneo” (Ed. Museo dell’Aviazione, 2002)
  • A. Montemaggi: “LINEA GOTICA 1944. SCONTRO DI CIVILTA’. Un’ora grave e decisiva per tutta l’Umanità…da cui dipende la sorte della civiltà cristiana (Pio XII)”. (Ed. Museo dell’Aviazione, 2006)

3 Commenti

  1. Molto interessante questa storia, che francamente non conoscevo. Andando a memoria, sapevo che quel maresciallo tedesco, pur avendo minato i fornelli, lo aveva risparmiato cedendo alle suppliche di alcuni importanti Riminesi, tra i quali il pittore Gino Ravaioli. Pero’ sono convinto sia vera la versione raccontata da voi.

    • Paolo, ci siamo attenuti scrupolosamente agli eventi riportati da Amedeo Montemaggi che, sull’argomento, è uno dei maggiori esperti; egli inoltre ha conosciuto e intervistato i diretti protagonisti. Riteniamo sia una versione piuttosto rigorosa dell’andamento dei fatti e, quindi, oggettiva e realistica.

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