Pubblicato la prima volta il 29 Luglio 2020 @ 10:30
Quella del 1745 per i riminesi fu una primavera da incubo. L’ esercito cesareo, come veniva chiamata l’armata imperiale austriaca, aveva deciso di contrastare nella città adriatica gli spagnoli che salivano dalle Marche e avevano infranto la linea difensiva imperiale sul Conca. Era in corso la guerra per la successione d’Austria. La morte dell’imperatore Carlo VI, a cui successe la figlia Maria Teresa, aveva acceso per una serie di motivi dinastici e per le rivalità coloniali fra Spagna e Inghilterra, le polveri di una guerra che fu combattuta sul suolo di Romagna.
Nell’anno 1742 gli spagnoli condotti dal generale Montemar, risalendo dal regno di Napoli, feudo della corona spagnola, avevano invaso lo Stato Pontificio contrastati dagli austriaci. Narra Carlo Tonini in un articolo sul numero unico “Ricordo delle Feste celebrate in Rimini da RR.PP, Minimi il 13 – 24 giugno 1907” pubblicato in occasione del V centenario della morte di S. Francesco di Paola : «…venne la Città nostra a trovarsi in tali difficoltà, in tali distrette pel gran numero delle milizie in essa affluite che mal si può darne colle parole una adeguata idea. Le prepotenze dei comandanti spagnoli ed austriaci, le esigenze ed escussioni di denaro, di viveri, e di foraggi, i dissertamenti delle campagne, colle minacce di maggiori danni se agli ordini imperiosissimi non fosse prontamente ottemperato, travagliarono crudelmente i cittadini e in ispecialità i reggitori della cosa pubblica».
Come se ciò non bastasse, – oltre al timore di pestilenze portate dagli eserciti, il che si verificò puntualmente qualche tempo dopo, il generale austriaco Lobkowitz, nel marzo 1745 aveva ordinato di apprestare una linea difensiva subito fuori il borgo San Bartolo (Borgo San Giovanni). I cittadini in preda al terrore all’idea dell ‘imminente battaglia non sapevano a qual santo votarsi: chi fuggiva pur non sapendo dove andare, chi seppelliva i propri beni in giardino, chi si rinserrava in cantina, tutti in attesa del terribile scontro e dell’inevitabile saccheggio. Ed ecco che quando l’urto fra i due eserciti sembrava imminente, gli austriaci levarono il campo, sostituiti dagli spagnoli che però subito proseguirono per Santarcangelo e Savignano senza arrecar danno alla città. Era il 2 aprile festa di San Francesco di Paola e «i Riminesi – dice il cronista Marchi – pieni, come erano, di grande maraviglia che ai loro terrori, alle loro trepidazione fosse così tosto succeduta la gioia di quel felicissimo evento… lo attribuirono generalmente ad una particolare assistenza ed intercessione di S. Francesco di Paola». La Magistratura (giunta comunale) in segno di riconoscenza propose al Consiglio di enumerare il Santo fra i protettori della città. La delibera solenne fu presa per acclamazione il 24 aprile 1745.
Ma come era giunto il culto devozionale di San Francesco di Paola dalla lontana Calabria a Rimini?
Nel 1613 il Padre Romualdo Cristoforo di Ravenna chiese all’autorità comunale di Rimini a nome dell’ordine dei Padri Minimi da lui rappresentato, che ai frati «essendo spesso di passaggio in questa nostra città, per occasione dei loro monasteri, che hanno nella Lombardia e nella Marca , … fosse concesso, aiuto a favore di poter acquistare un luogo in questa città da poters ene servire almeno per ospizio dei loro passeggeri». Il Consiglio il 16 novembre 1613 aderì alla richiesta e nominò una commissione di quattro membri – dottor Giacomo Bianchelli, dottor Ascanio Tortorini, signor Leonardo Astolfi e signor Raffaele Adimari – affinché trovasse un luogo acconcio.
Per mezzo del Commendatore Ascanio Tortorini, Cavaliere di Malta, un nome che ricorrerà spesso nella prima fase dell’installazione dei Minimi in Rimini, si scelse la chiesa di San Michele Arcangelo (San Michelino in Foro), presso la Piazza Grande (piazza Tre Martiri), allora commenda dell’ordine di Malta.
Poiché il locale scelto era angusto, i Padri chiesero al Capitolo Diocesano che venisse loro concessa una chiesina con abitazione Santa Maria della Polverara posta appena fuori porta Montanara, appunto in via della Polverara (via Saffi) di proprietà del Seminario. Il Capitolo, il 5 febbraio 1614, dopo un’accesa discussione, deliberò con una maggioranza di soli sei volti favorevoli e cinque contrari di nominare una commi ssione per preparare il capitolato d’oneri per la cessione. I membri erano i canonici Traffichetto, Carro e Passarello. Traffichetto e Carro che erano fra coloro che avevano votato contro la cessione, ricusarono la nomina, poi sollecitati accettarono.
Il Capitolo Diocesano non solo concesse la chiesina della Polverara, ma con delibera in data 26 febbraio 1614 passò ai Minimi anche la chiesa parrocchiale del Crocifisso (Sant’Andrea dell’Ausa). Ma le condizioni poste dalla commissione furono così gravose che la superiorità dell ‘ordine non le accettò, anzi ne avanzò di sue. Naturalmente non se ne fece niente.
Ma evidentemente l’arrivo a Rimini dei Padri Minimi era avvenuto sotto la benevola attenzione del Santo. Nella Piazza Grande sorgeva un tempietto ottagonale dedicato a Sant’ Antonio da Padova costruito sul luogo dove, secondo la tradizione, era avvenuto il miracolo della mula. La Compagnia di Sant’ Antonio, proprietaria del tempietto, era in cerca di un ordine religioso in grado di officiare una chiesa più grande dedicata al Santo portoghese da erigersi nella piazza.
Era l’occasione per i padri Minimi di radicarsi in Rimini. La Compagnia di Sant’ Antonio con delibera in data 4 aprile 1614 stanziò 400 scudi per l’erigenda chiesa e comprò la casa di certo Giovanni Battista Fado sita dietro il tempietto «ad effetto che i detti PP. vi possano intanto habitare e poi edificarsi una chiesa di quella ampiezza e grandezza che la grazia del Signore concederà». Qualche tempo dopo riapparve il commendator Tortorini che donò all’Ordine una casa da lui acquistata da certo Baldini attaccata a quella del Fado «affine che le due case servino per l’abita zione di essi padri per convertirsi nel uso del loro monastero e di chiesa sotto il titolo di esso Glorioso S. Antonio Ulisbonense… ». I lavori procedettero rapidamente e nel maggio 1617 il tempio venne consacrato. Con la costruzione della chiesa la Compagnia aveva l’intenzione di abbandonare il tempietto, ma l’Ordine dei Padri Minimi se ne fece carico affinché durasse la memoria del miracolo operato da Sant’ Antonio.
Il 2 agosto I 621 «il lunedì a sera in Rimino – narra il Pedroni – nella chiesa dei RR.PP. di San Francesco di Paola, cominciò a vedersi nella immagine di esso Santo dipinta in olio su tela, certe gocce in guisa d’acqua che scorrevano sul petto di detta immagine». Ad accorgersi del fenomeno furono le signore Orsola, moglie di Lodovico Petrini, e Lucia, moglie di Giovanni Pietro Tassi che entrate in chiesa dopo il vespro per una visita, videro l’immagine del Santo bagnata. Le due donne diffusero immediatamente la notizia, e non era pensabile che non lo facessero, e per dare maggior credito alle loro assersioni rilasciarono dell’accaduto una testimonianza giurata rogata dal notaio Giacomo Ludovico Albanesi. Grande fu il rumore che l’evento sollevò in città. Il 3 agosto il fiscale Horatio Bertozzi fece levare l’immagine dalla nicchia ove era situata e, asciugatala con bambagia, la fece rinchiudere in una stanza che poi sigillò. Di lì a due giorni fu riaperta la porta e l’immagine apparve completamente asciutta. Richiusa, la stanza fu riaperta il 24 ottobre e una solenne processione per le vie cittadine concluse l’evento.
Il 14 aprile 1672, giovedì santo, un violento terremoto colpì Rimini e causò gravi danni. La chiesa di Sant’ Antonio crollò completamente e il convento fu parzialmente distrutto. Era il primo crollo della serie che colpirà il tempio.
Il sisma arrecò danni anche al tempietto e la sua riparazione causò un diverbio con la Compagnia di Sant’Antonio. La cosa andò tanto avanti che a un certo punto la Compagnia impugnò l ‘atto di donazione. Poi nel 1692 «il perturbatore della quiete che sempre con le sue false suggestioni – recita il nuovo contratto d’accordo – procura di seminare zizzania nei campi odorosi e fertili della chiesa» fu sconfitto e la vertenza chiusa. Si pose mano all’edificazione della nuova chiesa, su progetto del rimine se Gianfranco Garampi, che fu terminata nel 1729. In questa occasione fu ampliato anche il convento che dai cinque religiosi che normalmente ospitava, raggiunse il numero massimo di venticinque , accogliendo pure il seminario.
Il 24 dicembre 1786 un altro crollo travolse la chiesa. Nella notte di Natale un tremendo terremoto colpì la città e seminò notevoli danni anche se le vittime furono appena un centinaio. L’architetto Giuseppe Valadier spedito a Rimini dal Papa Pio VI per la constatazione dei danni subiti dalla città fece una dettagliata relazione dei guasti patiti dalla chiesa e dal convento. Il sisma aveva danneggiato anche una casa attigua al convento di proprietà di certo Leonardelli che pur di non ripararla la vendette all’Ordine. La nuova casa e la riparazione dei danni del terremoto consentirono di allargare lo stabile.
Ma nuovi pericoli gravavano sull’Ordine e sulla Chiesa tutta. Era scoppiata la rivoluzione in Francia e nel 1797 giunsero a Rimini le truppe rivoluzionarie. Iniziò la ridda di confische di conventi, di soppressione di ordini religiosi e di sconsacrazioni di chiese. Anche i Paolotti non ne uscirono indenni. Il 5 luglio 1797 un’ordinanza governativa dava tre giorni di tempo agli ordini religiosi di sciogliersi; ai Paolotti fu concesso il termine ultimo del 21 luglio perché «dimettessero l ‘abito del loro Istituto ed abbandonassero insieme il locale».
Iniziò la serie della riduzione delle parrocchie, dei trasferimenti dei titoli parrocchiali da una chiesa all ‘ altra, nella quale fu coinvolta anche la chiesa di Sant’Antonio, che divenne sede della parrocchia di Santa Maria in Acurnine e quindi , il 5 luglio 1805, della parrocchia dei SS . Simone e Giuda, per esserne poi privata nel 1809 a favore di Sant’Agnese.
Rientrata Rimini nello Stato Pontificio i Padri Minimi tornarono in città nel 1821 per essere di nuovo soppressi nel 1876.
Il 7 giugno 1900 ai religiosi fu concesso di rientrare a Rimini dove ripresero le loro attività. Il 29 aprile 1920 all’interno della chiesa fu inaugurata la cappella di San Francesco di Paola. Su una parete un affre sco del pittore riminese Gino Ravaioli rappresentava il Santo nell’atto di attraversare lo stretto di Messina a bordo del proprio mantello; affresco purtroppo andato perduto durante i lavori di costruzione della nuova chiesa.
La terza distruzione della chiesa fu apportata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Al suo termine chiesa e convento furono riparati alla meglio e rimasero in uso fino alla demolizione definitiva avvenuta nel 1960 per far luogo ad un nuovo edificio eretto su disegno dell’architetto Bergonzo di Milano. Gli affreschi che la adornano sono opera dei pittori Funi, Nani e Mariani. Davanti all’altare maggiore un paliotto in bronzo, opera dello scultore riminese Elio Morri riproduce il miracolo della mula. La nuova chiesa a pianta ottagonale fu consacrata il 13 aprile 1963.
Infine credo sia necessario rispondere ad una domanda: quanti sono oggi i padri e quale è la loro attività?
A tutt’oggi, a cinquecento anni dalla morte del loro fondatore, avvenuta in Francia il 2 aprile 1507, venerdì Santo, vivono nel convento tre religiosi, quasi il numero di padri presenti a Rimini all’arrivo del loro ordine nella nostra città circa quattrocento anni fa. Essi, oltre alla normale attività pastorale propria degli ordini religiosi, in conformità alla loro regola di vita – preghiera, digiuno, elemosina – e in ossequio al loro motto “Charitas ” assistono abitualmente una sessantina di famiglie bisognose, oltre alla quotidiana assistenza ai poveri che bussano al convento.
Con la loro presenza in Rimini hanno empre rappresentato un arricchimento spirituale, culturale, materiale per la nostra città.
Arturo Menghi Sartorio
Ariminum
Anno XIV – N.6 – Novembre/Dicembre 2007