La “casa chiusa”

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Una scena del film “Amarcord” (1973)
Una scena del film “Amarcord” (1973)

Pubblicato la prima volta il 5 Ottobre 2018 @ 09:37

Una scena del film “Amarcord” (1973)

Non passa giorno che su numerosi quotidiani , sia a livello nazionale che locale, non si legga i “remember” anche troppo piccanti di “puttanieri” poi diventati famosi, naturalmente in altri campi, che raccontano delle loro frequentazioni di “case di tolleranza” delle quali ricorre ora il sessantennale della chiusura (1958).

Abbiamo così conosciuto le testimonianze di noti professionisti riminesi frequentatori assidui di queste “case a luci rosse” dell’epoca.

Non avendo avuto , in quel periodo, i tanti sospirati diciotto anni che mi avrebbero consentito l’opportunità di scegliere se frequentarle o meno, tuttavia la presenza di ritrovi proibiti riminesi hanno lasciato un ricordo anche in noi bambini.

Infatti della signora Merlin ne sentivo parlare spessissimo e riuscii a capire alcune cose basilari del suo progetto perché la mia camera da letto si trovava proprio adiacente al “Bar Marittimo”, nel Borgo Marina, e tutti i miei aggiornamenti sulle varie problematiche del mondo li ricevevo spiando e ascoltando i molteplici e accesi dibattiti che nascevano, in assenza ancora della televisione, nelle sere d’estate ai tavolini del bar fra i maschi adulti del Borgo.

Alla mezzanotte del 19 Settembre 1958 venni svegliato dal rumore di un brindisi collettivo e tutti, con mio zio Bruno in testa, alzarono il bicchiere salutando così la fine di un periodo della loro vita, senza trascurare, naturalmente, di fare apprezzamenti sulla senatrice.

Solamente qualche anno dopo iniziai a comprendere perché, spesso, mio fratello e i suoi amici più grandi mi portavano a caccia di lucertole lungo le mura antiche di via Bastioni Settentrionali e quando poi io lo riferivo alle zie non capivo né il motivo dei loro rimproveri né perché erano così sensibili alla morte di questi animaletti di quella via mentre avevo licenza di ucciderli senza problemi nella zona delle “macerie” vicino alla Chiesa di San Nicolò.

La chiamavano “Casa Chiusa” e invece era sempre aperta, era vietato pronunciare la parola “Casino” mentre potevo poi leggere tranquillamente a voce alta “Casino Civico” scritto su un ingresso in via Gambalunga (ancora non sapevo che il Club era un’altra cosa).

L’esistenza di un cartello, appeso alla porta di questa villetta, visibile a noi dall’esterno, che avvertiva di “deporre armi e bastoni”, stimolava la mia fantasia come del resto avveniva quando sentivo dire “porta l’acqua nel Casino!” e tante altre frasi incomprensibili per la mia età.

Nella “Trattoria Stella” viveva con noi da moltissimi anni Vienna Michele che oltre ad essere un ottimo cuoco nel preparare e cucinare il pesce, per i suoi trascorsi giovanili sulle navi, era anche un valido “Stagnino” e così tutti i “vetturini” della Stazione si fermavano da lui quando avevano problemi con le loro lanterne.

Boccatorta” era uno di loro, e la sua menomazione nel parlare mi stimolava ad una repressa risata ogni volta che anche lui o meglio il suo mezzo necessitava di riparazioni, si diceva che i suoi cavalli fossero i più belli e non avendo ancora visto “Amarcord” di Fellini pensavo che fosse solo per questo motivo che lui era sempre il più richiesto dai giovani quando il Borgo si animava di carrozzelle per il nostro “Somar Lungo del Lunedì di Pasqua”.

In via dei Mille abitava una signora lombarda, bionda, sempre ben vestita con una mamma anche lei elegante ed anziana e un “fratello” che aveva come principale attività di portare a spasso due barboncini con una bellissima Citroen.

Spesso andava a farle visita un certo “Leo” conosciuto da tutti e che veniva salutato con simpatia solo dagli uomini che incontrava; mi ricordo che anche lui aveva un cane , però molto più grande, un alano, e una moglie che tutti chiamavano “la coga de casein”.

In quel periodo , naturalmente non potevo sapere che la Signora bionda era la proprietaria del “bordello” e il fatto che ogni venerdì ordinasse solo pesce alle mie zie e che di tanto in tanto il nostro Parroco, Don Angelo Campana, fosse costretto a confessare a domicilio, la mamma perché impedita, me la rendeva, io chierichetto, molto simpatica.

Naturalmente , dopo il 20 Settembre 1958 , anche loro sparirono nel nulla, si dice che erano ritornate a Milano per aprire una sala giochi.

Gli unici testimoni di quella casa rimasero fino alla loro morte proprio Leo e sua moglie che, diventata assistente di anziani, la ritrovai come infermiera, nell’ultimo periodo di vita, della nonna di mia moglie.

Sergio Giordano

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