Il mestiere del digiunatore

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Pubblicato la prima volta il 2 Ottobre 2019 @ 17:20

La questione sociale? Il pro­blema della fame nel mondo? Il sovraffollamento della terra? Tutto risolto: basta non mangiare! 

Il propugnatore di questa bizzarra teoria – perché di teoria si tratta – è Giovanni Succi, un tipo originale nato a Cesenatico nel 1850. Il giornale Italia del 29 giugno 1886 ce lo presenta delineandone i più salienti tratti somatici e certe sfumatu­re del carattere: “È un uomo più che magro, asciutto, dal viso affilato e d’altezza mediocre. I lineamenti del volto sono marcatamente espressivi, gli occhi – de’ quali uno è un tantino più grande dell’altro – si muovono instancabilmente. Ha due baffetti castani che sembrano due punti inter­rogativi a rovescio. La sua conversa­zione, dalla frase passionata e colori­ta, la mimica di cui non abusa, la pupilla mobile e lucentissima, non sono da pazzo, ma da uomo di mente sana e ben sveglia”. 

Sveglio, Succi, lo è davvero. In gio­ventù ha girato l’Africa e l’America latina per il lungo e per il largo, poi nel 1885, dopo aver sperperato i propri averi, è tornato in Italia e a 35 anni, per sbarcare il lunario, si è messo a fare il fenomeno da baraccone. Con molta fantasia sostiene di possedere un misterioso re la sua geniale trovata sale in catte­dra: tiene conferenze, scrive articoli, concede interviste. 

Predica l’abolizione del cibo, afferma che il digiuno accresce la forza muscolare ed illumina la mente, sostiene di riuscire a non mangiare per oltre 60 giorni, ma preferisce non raggiungere tale soglia perché – dice – a quel punto si comincia “a perdere l’odorato” e ad avere “il respiro faticoso”.

Pochi prendono sul serio questi strani discorsi; molti invece prendono Succi per matto. Ma neanche l’esperienza di qualche mese di manicomio alla Lungara gli raddrizza le idee. Esce più convinto di prima: abbandona le parole e tenta di dimostrare con i fatti i prodigi della sua “medicina” sottoponendosi a digiuni che vanno dai tre ai quindici giorni.

Gli esperimenti di questo bislacco che dice di campare d’aria attirano la scienza medica e la stampa gli dedica molta attenzione. “Il mio preparato – sostiene Succi rispondendo ai giornalisti che lo seguono di città in città – lo bevo solamente una volta al giorno; poi durante la giornata, butto giù qualche bicchiere d’acqua minerale, perocché più che son pulito di visceri e di stomaco, maggiore è la forza che acquisto. I primi tre giorni sto a letto, al quarto mi alzo, al quinto esco, al sesto e cosi via, son capace di far delle lunghe marce, di fare i miei affari di leggere e di scrivere magari sette od otto ore di seguito. Ma qui non sta tutto. Col mio metodo guarirò molte malattie, tra le quali la più pericolosa, la … bolletta” (Italia, 6 luglio 1894).

A proposito di bolletta: non risulta che il Succi con i suoi “spettacoli” a paga­mento faccia grandi affari. I digiuni tuttavia, anche senza la loro gratifica­zione economica, continuano nei luo­ghi e negli ambienti più disparati. Quando non si fa “murare vivo” esegue le sue prove di astinenza all’interno di “fornaci” cioè dentro stanze ermetica­mente sigillate ed anche all’aperto sotto gli occhi di tutti. Ad assisterlo c’è sempre un “comitato scientifico di sor­veglianza”.

Nel marzo del 1894 Succi è a Rimini. Nella palestra di via Cairoli si sottopo­ne all’ennesima maratona: “tre giorni e tre notti senza mangiare e dormire”. Il biglietto d’ingresso per andarlo a vede­ re a qualsiasi ora è di 40 centesimi.

Nonostante il personaggio solletichi la curiosità del pubblico, non sono molti quelli che si sentono attratti dalla poco edificante esibizione. E così, al termine della “faticaccia”, tolte le spese, a Succi, della trasferta riminese, vanno pochi spiccioli. Un incasso proprio da fame, tanto per rimanere in argomen­to.

Manlio Masini
Ariminum
N. 3 Novembre/Dicembre 1994

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