I delfini di Palazzo Lettimi

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Pubblicato la prima volta il 21 Ottobre 2019 @ 09:57

Uno degli aspetti salienti e di maggior interesse ancor oggi osservabile nei ruderi di Palazzo Lettimi è la forma decorativa delle finestre del piano terreno

Le aperture sono infatti marcate da una cornice, che si imposta su un davanzale sorretto da mensole. Sopra la cornice, nel fregio, compare lo stemma gen­tilizio, quindi uno strano timpa­no non incorniciato, contraria­ mente all’uso canonico che avrebbe previsto un piccolo frontone.

Nel timpano sono scolpiti a bas­sorilievo due delfini allacciati per le code, con un giunto che cinge anche palmette stilizzate, che in alcuni casi svettano sopra l’apice del triangolo.

Marco Musmeci ha proposto una serie di convincenti con­fronti per questa particolare forma di decorazione con delfi­ni: simili figure compaiono infatti anche nella porta della Cappella delle Reliquie del Tempio Malatestiano. Questi ornamenti posti nella chiesa cittadina più insigne furono di certo pietra di parago­ne imprescindibile nella decora­zione del palazzo voluto da Carlo Maschi, poi passato ai Marcheselli e quindi ai Lettimi. L’edificio presenta infatti nume­ rosi richiami all’architettura e all’araldica malatestiana, come la corda di pietra che raccorda la scarpa del palazzo con la parete verticale, o le rose quadripetale che ornano il portale.

I delfini del Tempio Malatestiano si trovano tuttavia in posizione pseudoacroteriale, cioè sopra gli spioventi del fron­tone, e non nel timpano come in Palazzo Lettimi.

Giovanni Rimondini ha inoltre accostato i delfini dell’edificio cinquecentesco riminese a simi­li decorazioni della Cappella di San Giovanni nel Duomo di Cesena. Un pertinente confron­to ancora proposto da Musmeci “affianca” invece ai cetacei che ornano il fregio di un cami­no del Palazzo Ducale di Urbino.

Un confronto certamente molto stretto può infine essere istituito con la porta laterale della Chiesa della Colonnella; la porta è andata distrutta durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale, ma ce ne resta un’immagine fissata sulla pelli­cola da Francesco Malaguzzi Valeri.

Angelo Turchini ha documenta­to i pagamenti al lapicida Giovanni Bernardini da Venezia, che dal 14 aprile 1514 si era impegnato ad eseguire le due porte della piccola chiesa extraurbana sulla via Flaminia. Come ha già notato lo studioso, la porta laterale con due delfini allacciati per le code rimanda alle finestre del presso­ ché coevo Palazzo Maschi, poi Lettimi.

Ora, per quanto concerne la pro­gettazione della chiesa della Colonnella, così come del suo apparato decorativo, le ipotesi sono più d’una. Di certo, tuttavia, era intrigato nell’impresa il ravennate Bernardino Gueritti, che stipulò un contratto il 15 gennaio 1510. L’architetto fu forse semplicemente il proto che conduceva un progetto altrui, o il progettista in prima persona?Lo stesso Bernardino Gueritti, eppur indirettamente, ricorre anche nei documenti che riguar­dano le decorazioni di Palazzo Maschi-Marcheselli-Lettimi.

Quando la vigilia di Natale del 1513 Carlo Maschi siglò un contratto con Francesco di Giovanni da Carpi, tra le opere ancora da eseguire figuravano anche le finestre della facciata.

In pratica, solo quattro mesi prima del contratto per le porte della Colonnella, si concordava per Palazzo Lettimi un accordo che prevedeva anche il decoro delle finestre. Come visto, l’or­nato dell’uscio laterale della chiesa e le finestre del primo livello del palazzo cittadino sembrano, quanto­ meno, cugini se non fratelli. E diremmo forse gemelli, poiché le finestre di Palazzo Maschi­-Marcheselli-Lettimi furono rea­lizzate anch’esse nel 1514, in esecuzione del contratto con France co da Carpi stipulato negli ultimi giorni dell’anno precedente. Alla morte di Carlo Maschi nel settembre 1514 doveva infatti già esistere il motto solcato nei fregi delle finestre del piano nobile, e verosimilmente tutte le aperture -anche quelle inferiori- dove­vano esser state ornate con pie­tre lavorate.

Quel che ci interessa sottolinea­re, è che per alcune decorazioni, e segnatamente per la forma di tre camini, Francesco da Carpi era esplicitamente chiamato a eguagliare, per bellezza, quelli che Bernardino Gueritti aveva ideato per Palazzo Monticoli, sempre a Rimini, nel 1508.

L’architetto ravennate e il suo stile erano quindi modello esemplare per il patriziato rimi­nese.

Torniamo quindi ai nostri delfi­ni. Essi non sono solamente, come indicato finora dagli studiosi, forme decorative “parenti” di quelle del Tempio Malatestiano o del Duomo di Cesena dei camini urbinati o delle porte della chiesa della Colonnella. Questa forma deco­rativa è infatti una ripresa rina­scimentale dall’antico, e deriva da modelli funerari classici.

In particolare, la decorazione con delfini ricorre in numerose sepolture romane, ravvisabili in area padana. Un confronto di notevole interesse può pertanto essere istituito con una lapide funeraria di Aurelia Iustina e Flavius Antonianus del III seco­lo d.C., proveniente dal reggiano, e conservata nel Museo Lapidario Estense di Modena. Nel marmo scolpito, per quanto piuttosto abraso si riconosce nel timpano la decorazione con due delfini allacciati.

Ma il problema, in questi casi, è verificare la conoscenza nel Cinquecento dei marmi antichi, e stabilire quali di essi fossero già conosciuti (e non scoperti successivamente) agli artisti, e quindi quali fossero effettiva­ mente punto di riferimento anche nel XVI secolo.

Per quanto riguarda la Romagna esistono almeno due casi certi. Il primo è il monu­mento di Caio Emilio Severo conservato a Ravenna nel Museo Arcivescovile, che pre­ senta sopra il frontone due del­ fini (proprio come la porta della Cella delle Reliquie del Tempio Malatestiano). La lapide era inoltre già nota fin dagli inizi del XVI secolo, come testimo­nia uno schizzo di Antonio da Sangallo il Giovane realizzato durante il suo sopralluogo in Romagna nel 1526, e conserva­ to agli Uffizi (1217A verso). Il secondo caso è costi­tuito da un bassorilievo con tre Amorini (il cosiddetto Trono di Nettuno) proveniente da un altare di San Vitale, sempre a Ravenna e riprodotto nel 1519 in una nota incisione di Marco Dente. Proprio a Ravenna (e verrebbe da dire nella Ravenna di Bernardino Gueritti) erano quindi attestate fin dal Cinquecento almeno due raffi­gurazioni marmoree in cui com­parivano due delfini ad ornare un frontone o una cornice.

Quanto questa forma di decoro fosse presente nell’immaginario figurativo in Romagna nel XVI secolo è ancora dimostrato da un oggetto d’uso. Si tratta di una straordinaria cassapanca romagnola cinquecentesca, dove sul fronte, ma anche su due piedi, compaiono proprio coppie di bizzarri delfini allac­ciati, con le classiche palmette.

Non a caso, la zona di prove­nienza è individuata tra Rimini e Ravenna, i due poli della nostra indagine sulla ripresa di questo tema decorativo dall’antico.

Questa notevole manifattura mostra ancora una volta come, nel XVI secolo, risuonasse nel repertorio d’ornato in Romagna e nelle zone limitrofe l’eco della decorazione funeraria antica, naturalmente svuotata da valori simbolici e trasformata in mero aspetto d’ornato. I delfini di Palazzo Lettimi, così come quelli della Colonnella o del Tempio Malatestiano, fino a quelli delle chiese di Cesena o di alcuni mobili romagnoli rinascimentali sono pertanto rifles­so, talvolta consapevole, talvol­ta indiretto, della decorazione classica, ripresa e reinterpretata nel XV e XVI secolo.

Infine, una piccola nota a margi­ne. Sui giornali locali, in data 8 febbraio 2005 è stato annuncia­ to da alcuni rappresentati del­ I’amministrazione che la rico­struzione del più importante palazzo rinascimentale riminese sarebbe stata prossima: “ci sono i soldi – 4,9 milioni di euro, pro­venienti per metà dal Ministero, e per l’altra metà dall’ateneo bolognese – e ora c’è anche la volontà precisa di fame la sede di rappresentanza del polo uni­versitario bolognese”  fu annunciato. Quindi fu dichiarato che “l’inizio dei lavori a Palazzo Lettimi non è previsto prima dell’inizio del 2007”. Mentre scriviamo l’anno indica­to è ormai finito, ma nessun lavoro è stato compiuto sull’an­tico palazzo, e – per quanto ci è stato possibile verificare – non è stata data alcuna spiegazione ai ritardi.

Ci auguriamo tuttavia che que­ sta vicenda non sia destinata ad ingrossare la storia recente del palazzo, fatta di annunci conti­nuamente disattesi, come abbia­ mo già avuto modo di rilevare su un Ariminum di qualche tempo fa.

Giulio Zavatta
Ariminum
N.1 Gennaio/Febbraio 2008

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