Gli dei di Ariminum

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Pubblicato la prima volta il 17 Giugno 2020 @ 16:16

La religiosità romana investe diversi aspetti della vita pubblica e privata, da quelli sociali e politici a quelli della sfera domestica e personale. La mostra, attraverso la documentazione archeologica, configura il variegato pantheon riminese in cui, a fianco degli dei capitolini, compaiono divinità reinterpretate dalla tradizione preromana, portate dai coloni o giunte da lidi lontani. Momenti salienti della vita politica di Ariminum sono quelli della fondazione e del principato augusteo: al primo si lega il culto di Diana, dea della caccia e dell’universo femminile, che interpreta le aspettative delle classi sociali più umili e rappresenta l’ insieme delle comunità latine, desiderose di mantenere la loro identità nei confronti della Capitale, il secondo è emblematicamente rappresentato dai clipei dell’Arco sulla Flaminia, che compendiano nelle immagini di Giove, Apollo, Nettuno e Roma, la raggiunta unità dell’Impero e la consacrazione della figura e del potere di Ottaviano Augusto. Cui anche si lega la rappresentazione di Apollo in una raffinata testa marmorea, pertinente ad una statua di grandi proporzioni. Espressione di una devozione personale sono le dediche ad Ercole e Silvano, le divinità “più gettonate” del territorio riminese, il cui culto affonda le radici in epoca protostorica: Ercole, che rappresenta la fatica dell’uomo nella lotta per la vita, fu una divinità particolarmente cara ai coloni che si trovavano a popolare un territorio di frontiera, abitato da genti ostili. Il suo culto sopravvisse a lungo perpetuando una tradizione giunta fino all’età moderna, documentata visivamente dalla sfera armillare del XVI secolo in cui l’eroe, sostituendosi a Tantalo, regge sulle sue spalle il mondo.
A Silvano si riferiscono quattro attestazioni epigrafiche, sia dalla città che dal territorio: al dio delle selve e dei territori non centuriati, già venerato dai Celti, la comunità doveva la floridezza economica derivata dallo sfruttamento dei ricchi boschi dell’entroterra: non è infatti un caso che la dedica esposta sia stata offerta proprio da un mercante di legname.
Sia il culto di Ercole che quello di Silvano erano sicuramente praticati sul colle di Covignano, “l’acropoli di Rimini”, che, anche in epoca romana, perpetua la sua sacralità.
I reperti esposti in mostra, come tessere di un mosaico ancora molto lacunoso, suggeriscono alla nostra immaginazione la visione di imponenti templi che, dall’alto della collina, dominavano la città, spiccando fra il verde dei boschi. Nello spazio sacro della cella centrale, si ergeva il simulacro della divinità venerata, in forma di aerolito, la statua di colossali dimensioni eseguita in materiali diversi: in marmo erano le parti del corpo a vista (testa, mani e piedi), generalmente in legno, la struttura portante rivestita negli abiti in tessuto.
Ai templi e ai più modesti sacelli sorti nelle radure, laddove gli elementi naturali evocavano una forte presenza del divino, salivano i fedeli,
percorrendo antichi sentieri della devozione, ancor oggi calcati. Attraverso le loro preghiere e le offerte impetravano la protezione del dio, confidando anche nel potere salutare delle sorgenti che pullulavano numerose.
Il bisogno di una tutela per sé e per la propria famiglia, si esprime prepotente all ‘interno della casa, luogo di venerazione dei numi protettori dello spazio domestico. Centro del culto familiare era il larario, un tempietto in miniatura dove erano raccolte le immagini delle divinità tutelari. Ad un larario dovevano essere destinate le piccole sculture in bronzo, scarti di lavorazione di una fonderia attiva a Rimini nei primi secoli dell’Impero. Il nucleo di bronzetti, recuperato intorno agli anni ’50, viene esposto per la prima volta nella nostra città dopo un’anteprima all’interno della mostra bolognese “Aemilia“: vi compaiono Fortuna, Mercurio, Venere, Priapo, una figura eroica.
A stendere un alone di protezione sulla persona, erano anche le gemme da anello con incise immagini di divinità che testimoniano come spesso convivessero religione e superstizione.
Al di là del valore cultuale, l’iconografia religiosa riscuote nel mondo romano ampio successo invadendo il quotidiano: mosaici, statue decorative, monete, lucerne, vasellame eia mensa, decorazioni di carri, amuleti… riportavano immagini divine, proponendo accanto agli dei più blasonati quelli più vicini al sentimento popolare, primi fra tutti Bacco con il suo seguito di Ninfe, Sileni, Satiri e divinità che interpretavano la forza generatrice della natura.

Angela Fontemaggi e Orietta Piolanti
Ariminum
Anno VII – N. 39 – Novembre/Dicembre 2000

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