Pubblicato la prima volta il 25 Settembre 2019 @ 16:41
Un tavolo traboccante di libri ci mostra qual è la specialità della casa. Il professore ci invita a seguirlo all’esterno. Il clima suggerisce una conversazione all’aperto. Il prato consente agli occhi di scendere fino al vecchio pastificio Ghigi. La superstrada schermata da alberi d’alto fusto, è incapace di rimandare il rumore del traffico. Ci accomodiamo su un divano di tessuto chiaro, nel silenzio rotto unicamente dalle nostre parole. Siamo a Villa Fabbri per recuperare fotografie. Un contributo non reperibile tra le migliaia, pubbliche, che raccontano il Paradiso.
Un bicchiere di acqua e menta per rinfrescare i ricordi. Paolo sostiene che se riportano alla memoria un’impresa di successo, dovrebbero servire da insegnamento. Invece finiscono nella pila delle esperienze considerate irripetibili, come se il tempo sigillasse le epoche, impedendone la contaminazione. Suo fratello è stato un visionario, convinto che Rimini fosse la piazza giusta dove investire idee. Un territorio dell’accoglienza, terreno fertile per far coesistere differenti classi sociali.
Paolo, al contrario, semiologo di fama mondiale, insegnante alla Sorbona, amico e collaboratore di Umberto Eco, ci confida di aver sottovalutato la potenzialità che suo fratello vedeva nella città di provincia.
Scegliere fotografie assieme al professore non è come guardarle coi i parenti o gli amici. Non sono gli abiti o le acconciature, a suscitare commenti, come solitamente accade quando ci riguardiamo al passato. Paolo Fabbri estrae suggestioni che aggiungono un significato storico o sociale alle immagini che ci propone.
Gianni Filippi ed io cerchiamo di assorbire. Non capita tutti i giorni.
Il Paradiso era la loro casa, prima di avere un insegna sul tetto. In quegli anni, i nobili e i facoltosi che frequentavano la riviera, privilegiavano Milano Marittima o Riccione. La madre di Paolo e Gianni ebbe l’idea di trasformare la bella villa in un ristorante esclusivo.
L’idea non poteva ovviamente stimolare il semiologo, ma Gianni aveva frequentato la scuola alberghiera e dopo varie esperienze decisamente differenti, propose alla madre di affidargli la struttura per farne una discoteca.
Ottenne ciò che voleva, ma pagando un regolare contratto d’affitto.
Gianni aveva lavorato in Germania alla Volkswagen, dove curiosamente imparò lo spagnolo perché la maggioranza dei suoi colleghi era di origine Iberica, poi, tornato in Italia entrò in Alemagna prima di diventare un imprenditore della notte.
Continuiamo a visionare foto, mentre Paolo inquadra il momento economico sociale di quegli anni. Lo sviluppo industriale trainato dalla frenesia di Tedeschi e Americani, le contraddizioni che ha generato in Italia facendoci allontanare dalle attività rurali. Situazione che ha coinvolto il Nord e il Sud, mentre da noi, i contadini erano mezzadri, quindi imprenditori cointeressati assieme ai proprietari terrieri al risultato dell’attività. Non semplici braccianti agricoli, simili agli operai che affollavano le fabbriche. Gianni comprese e condivise questo approccio al lavoro. Aveva grande capacità nello scegliere e coinvolgere i collaboratori. Fece la stessa cosa coi clienti. Seppe avvicinare persone di differente estrazione sociale, ma anche i giovani agli adulti. Negli anni in cui la politica aveva un forte impatto sociale, Gianni fece ballare assieme, destra e sinistra.
Fu un esempio che rimase unico nel suo genere. Le discoteche avevano una clientela “clusterizzata”, ma al Paradiso ci volevano andare tutti. Fenomeno che includeva anche il mondo dello star system nonché quello dei politici. Insomma potevi bere un drink a fianco di Renzo Arbore o De Michelis, oppure partecipare al veglione di capodanno, magari registrato in novembre.
Le qualità di Gianni, la sua cortesia distribuita col medesimo peso a santi e peccatori furono l’umus su cui germogliò il successo del Paradiso. Naturalmente villa Fabbri era stupenda e godeva di una vista panoramica invidiabile, ma quando Gianni fu costretto a vendere nel 2001, la nuova proprietà non fu in grado di mantenere il medesimo approccio e il locale si perse nell’anonimato.
Quello di Gianni fu qualcosa di unico, un successo imprenditoriale fondato sul coinvolgimento, la cortesia e la qualità dell’offerta. Il professore insiste su quanto sia sbagliato considerare questa esperienza associabile unicamente a quel periodo, mentre andrebbe presa come esempio e riprodotta.
Le foto dei due fratelli e la madre, rimasta vedova quando i figli erano piccolissimi, raccontano due esperienze di successo dell’ingegno, il modo differente di applicare l’intelligenza.
Paolo interpretava e spiegava i segni della filosofia del linguaggio, Gianni studiava i gesti e i comportamenti delle persone in discoteca. Cattedratico, studioso e ovviamente lettore onnivoro, il primo, indifferente persino ai quotidiani il secondo, che sosteneva come qualche conversazione serale coi gli amici, fosse sufficiente per conoscere quello che la mattina avevano pubblicato i giornali. Eppure grandi conoscitori entrambi dell’animo umano, così apparentemente lontani, ma
connessi da questa passione di studiare gesti e segni che caratterizzano l’uomo.
Un’immagine autografata da Tyron Power, non può essere stata scattata al Paradiso. Paolo ci racconta dell’unico film girato a San Marino dagli studios americani. C’era anche Orson Wells. Una pellicola conservata in cineteca che andrebbe restaurata. Mi viene in mente che sono seduto dove probabilmente ci è stato anche Alain Delon. Durante le riprese del film “La prima notte di Quiete”, girato a Rimini, con scene al Paradiso. Il divo francese affittò questa villa e ci soggiornò per sei mesi.
Paolo deve prepararsi per un congresso di semiologia in Argentina, ma promette a Gianni Filippi di scrivere l’introduzione a questo numero speciale di Geronimo, dedicato al fratello. Racconterà come un curioso, quanto fortuito intreccio toponomastico, abbia finalmente riunito il fratello Gianni al padre Giovanni. Abbiamo una busta piena di foto, quando Paolo ci accompagna all’uscita. La porta è sormontata e affiancata da una libreria a tutto muro, un secondo suggerimento dopo il tavolo all’ingresso.
Naturalmente un numero speciale del Magazine introdotto da un articolo scritto dal professore, regala un grande prestigio a Geronimo, ma nello stesso tempo impedisce a noi di scrivere altri articoli. Chi avrebbe il coraggio di affiancarsi al semiologo sulle medesime pagine?
Un vero peccato, perché Paolo ci ha raccontato tante cose interessanti. Mi sarebbe piaciuto raccontarvele.
Stefano Baldazzi
Caro giornalista Stefano,
i Fabbri (madre e figlio Gianni) NON hanno creato nulla, inventato nulla, investito nulla, se non prendersi il merito dell’imprenditoria di mio bisnonno conte Pietro GINANNI FANTUZZI, già proprietario da fine Ottocento della villa di famiglia su Viale Vespucci, che a inizi Anni ’50 comprò terreno e ville al colle di Covignano e ideò anni dopo il ristorante-dancing PARADISO gestito, dopo essersi separato da mia bisnonna, con la nuova compagna Tina Mirti Fabbri e aver cresciuto di lei figlioli salvandoli da orfanatrofio, salvo poi con immensa ingratitudine vedersi tradire da lei con un altra relazione una volta ottenuta l’intestazione ville e terreni. A parte ciò, il merito va quindi esclusivamente al conte, al quale almeno il “figliastro” Paolo ha di recente ricordato in alcune interviste prima di mancare così come donare i libri ereditati alla libreria Gambalunga di Rimini, dove nel grattacielo trascorse la restante parte mio bisnonno che tuttavia nessuno ha mai premiato con Sigismondo d’oro, ma che almeno io qui ho voluto ricordare per far luce sui meriti dei personaggi, che sebbene oggigiorno siano tutti ormai scomparsi ritengo giusto raccontare a chi vorrà capire!
(Il pronipote Dott. Luca Daniele)
Buongiorno Luca,
prendiamo atto delle Sue segnalazioni ma ci dissociamo fermamente dal tono utilizzato, che non condividiamo e di cui Lei si assume, ovviamente, ogni responsabilità.