“Bambarelli”

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Bambarelli

Pubblicato la prima volta il 23 Ottobre 2019 @ 09:25

Per quelli nati all’inizio degli anni cinquanta, l’adolescenza si associa al ricordo di feste domenicali in club privati, ricavati in qualche scantinato o garage, dove si ballavano i lenti, possibilmente al buio. Negli anni in cui “quelli più grandi” si immergevano nella dolce vita, noi, più o meno quattordicenni, sperimentavamo, sulle note dei Beatles o dei Bee Gees, come fosse difficile controllare gli ormoni, quando la compagna di ballo ci concedeva un bacio, regalandoci a fine pomeriggio un mal di testa feroce, figlio di un’eccitazione prolungata, puntualmente abortita.

Sempre noi, negli anni a seguire, ci siamo trovati in mezzo al frastuono del Sessantotto, liceali ormai svezzati, con l’obbligo di decidere da che parte stare. Già, perché finito il tempo delle feste private, iniziava quello dell’appartenenza, che a Rimini significava decidere se stazionare a destra o a sinistra della Piazza Tre Martiri. Da una parte il cuore era il bar Dovesi, mentre la sinistra aveva come fulcro il tempietto di Sant’Antonio, comunemente noto come Capelletta.

Anche lì, oltre alle passioni politiche, si scatenavano quelle sentimentali, e se prima, essere membri di un club precludeva la possibilità di amoreggiare con ragazze che frequentavano altri gruppi, nel periodo sessantottino, le pulsioni sessuali potevano trovare sfogo solo se corroborate da coerenza politica.

Naturalmente, a Rimini, questo valeva per l’inverno perché durante il periodo estivo c’era l’invasione di massa delle straniere, totalmente esenti da condizionamenti politici.

Non durò moltissimo, perché come si sa, se l’amore fu più forte delle rivalità familiari di Romeo e Giulietta, allo stesso modo, anche in piazza Tre Martiri, superati i momenti caratterizzati da scontri fisici e invasioni di istituti scolastici, noi ragazzi iniziammo ad attraversare la piazza, le prime volte col pretesto di raggiungere l’automobile parcheggiata proprio al centro, per finire poi nel mescolarci, la sera, dentro alle discoteche che spuntavano come funghi, luoghi in cui non si attribuiva nessun valore al fatto che una minigonna fosse di destra o di sinistra.

La compagnia dei Bambarelli nasce ne 1975, quando la maggior parte di noi era all’università e il ’68 un ricordo di sciarpe rosse e nere che avevano trovato un inevitabile compromesso sulle note di Woodstock.

La sede era il Bar Tazza d’oro, all’angolo di via Castelfidardo, da noi ribattezzato bar Del Grezzo quando uno del gruppo raccontò di aver visto l’allora gestore tagliarsi le unghie di fronte alla vetrinetta dei croissant, finendo per infilzarne uno proprio con una lama di unghia volata via dal colpo deciso delle tronchesine.

Finite le appartenenze vincolanti a club o fazioni politiche, il nuovo collante fu lo sport e naturalmente le donne. La formula donne e motori, con cui la Romagna si distingue nel mondo, per noi fu un più laico donne e sport.

Furono i cestisti della Libertas i primi a frequentarlo, ma ben presto si aggregarono gli amici della pallamano, pallavolo, baseball, nonché tennisti e qualche atleta dell’atletica.

«Il nome Bambarelli è nato alla Baia degli Angeli” spiega Maurizio Bonora, in quegli anni il locale era noto in tutta Italia e spesso arrivavano compagnie di ragazzi Milanesi, “Bamba” appunto.

Alcuni bevevano e probabilmente fumavano erba fino allo sfinimento. Capitava di vederli dormire con la testa appoggiata alle casse acustiche che sparavano musica assordante. Per noi erano solo degli stupidi, in dialetto “siaparell”, la fusione di bamba e siaparelli ha generato il nome del gruppo».

In quei cinque anni chiunque praticasse uno sport era il benvenuto in questa comitiva, sopratutto se si presentava accompagnato da qualche amica.

Il gruppo si allargava continuamente e ognuno di noi, oltre a praticare il proprio sport, diventava tifoso di tutte le squadre in cui giocavano gli amici. C’era anche una importante componente internazionale a partire da Otis Howard, stella dell’allora Sarila Basket, oltre ai mitici batti e corri Orizzi, Romano e Russo, assidui frequentatori delle nostre feste a cui dovevamo riservare importanti forniture extra di birra.

In tutto questo come sarebbe potuto mancare il calcio?

Di fronte al bar del Grezzo, in quegli anni c’era il negozio di scarpe Franco Club, Ennio Zangheri Juventino DOC, era il proprietario. La sua passione per il calcio, condivisa dal fratello Gianni, senza dimenticare Gianni Filippi, aveva dato vita alla squadra del Franco Club, che oltre a partecipare a campionati di categoria, nel periodo estivo sfidava tutte le squadre di bar, più o meno organizzate, all’insegna del motto “ Juventus contro il resto del mondo”.

Il Tazza d’oro era tra quelli meno organizzati, anche perché, a parte qualche eccezione, la maggior parte di noi aveva giocato a calcio nel cortile della parrocchia o poco più. Ma eravamo sportivi, con grande spirito agonistico e doti atletiche, così quando quelli del Franco Club attraversavano la strada per un caffè, inevitabilmente scattava la sfida.

Non ne siamo usciti con le ossa rotte, qualche volta abbiamo pure vinto, ma l’impatto estetico a inizio partita era degno del miglior Fantozzi: loro con divise perfette della Juve o di qualche blasonato club europeo, noi con una maglietta rossa abbinata a pantaloncini bianchi, spesso presi in prestito dalla divisa dello sport che ognuno praticava.

La compagnia dei Bambarelli rimase unita per cinque anni, poi, l’abbandono dell’attività sportiva per qualcuno, assieme a matrimoni tra coppie nate proprio all’interno del gruppo, decretò la fine dello scopo che ci aveva aggregati e, pur rimanendo amici, la compagine si sciolse, lasciando comunque in ognuno di noi ricordi indelebili.

Tutto quello che succedeva in quegli anni era puntualmente immortalato da Maurizio Bonora, detto Jacques Bonheur per la sua vena poetica, (ex giocatore di rugby) e Paolo Riccio, detto Tessera perché aveva le tessere per entrare gratis in tutti i cinema e locali di Rimini. Loro si contendevano la palma per i migliori scatti, testimoniando in questo modo, feste, partite, gite o semplici momenti di incontro in piazza, finendo per immortalare anche tantissime persone che coi Bambarelli non avevano nulla a che fare. Scoprirono in fretta che questo archivio di immagini offriva un pretesto per avvicinare una bella ragazza, informandola di averla casualmente fotografata. A tutti noi fu chiaro il vero motivo per cui scattavano tante foto.

Nel 2007 Jacques ha avuto l’idea di ridare vita a quei ricordi attraverso un Blog fotografico in bianco e nero chiamato ovviamente “Bambarelli” [presente anche su questo sito]. Un lavoro che continua a fare perché digitalizzare le migliaia di foto che lui e Tessera hanno scattato è un lavoro imponente.

Lì ci potete trovare cinque anni di immagini che fermano istanti di vita dei vari componenti della compagnia, ma non solo. E’ un lavoro importante non unicamente per chi si ritrova fissato in qualche scatto, ma anche per chi vuole scoprire il clima che si respirava in quegli anni, perché le foto non sono quasi mai di soggetti in posa. Immagini quasi rubate che documentano i sogni di un giovane sportivo durante la tensione della competizione, l’allegria contagiosa delle gite in moto o sulla neve, la tenerezza degli ammiccamenti durante qualche festa danzante. Probabilmente qualche trentenne potrà trovare immagini che i genitori non avevano saputo o voluto raccontare.

Qualcuno dopo aver letto queste righe, se non l’aveva già fatto prima, può provare a scorrere il blog e forse scoprirà di essere stato immortalato, probabilmente perché stava passeggiando lungo il corso non lontano da una bella ragazza, vero obiettivo di quello scatto.

Oggi, potrete trovare qualche labile traccia di quel gruppo al bagno 15, dove Jacques, quando non cerca ispirazione poetica sotto l’ombrellone, si sforza di mantenere viva la tradizione sportiva del gruppo con interminabili partite a racchettoni in mare. Se poi volgete lo sguardo verso riva, potrete notare Mari (Maurizio Squadrani) e Artemio (Stefano Zaghini) che fingono di guardare la partita di Racchettoni, dove Mario Giglietti sfoggia ancora tuffi da ventenne, mentre in realtà, i due vecchi satiri continuano a dare voti alle ragazze che passano.

Stefano Baldazzi

2 Commenti

  1. Stefano, l’ho letto solo ora. Ottimo. Basta cambiare il nome della compagnia – la mia senza grande fantasia si chiamava Il gruppo selvaggio – e dei bar e mi ritrovo immerso nella Calderara degli anni 60/70, con la sfiga che a Calderara non venivano le straniere. Credo proprio che potrebbe essere la base per un nuovo romanzo.

  2. Una grande emozione , grazie per avere evocato un bel ricordo . Con tanta nostalgia ma anche con tanto affetto e gratitudine!
    Paola

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