A geometri, ingegneri, architetti, letterati, acquarellisti in letargo

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Di dolore si può piangere, naturalmente, ma ostentare le lacrime speculando sulla miseria altrui diventa un fatto innaturale, Se poi, degli aspetti di quella miseria ci si serve per mitizzarla come simbolo perpetuo di un dignitoso orgoglio della povera gente, si passa dall’innaturale alla colpevolezza degradante dei mestatori di coscienze.
II « nostro Borgo » con la « sua miseria » intoccabile è il tema sconcertante di alcuni che vorrebbero nascondere il loro allineamento alla forsennata campagna degli speculatori terrieri con questa ancor più ignobile speculazione ideale.
Ma che ne sanno costoro della miseria del Borgo? Che ne sanno se di essa si servono di lontano, per la loro meschina letteratura, immaginandola « caratteristica », « anarchica », persino « folkloristica »: un patrimonio che dovrebbe perpetuarsi per alimentare la falsa retorica del colore ambientale.
Certo, il Borgo San Giuliano ha una sua storia che dobbiamo rispettare perchè cresciuta in molti, troppi anni di sacrifici, di frustrazioni, di emarginazione e di miseria lacerante, dalla quale si eleva lo spirito, la forza, la fantasia – questa si anarchica – di gente particolare, privilegiata sotto l’imperio malatestiano, respinta ed oppressa dai governi locali e dalla parte più gretta della borghesia, fino alla violenza fascista.
Ma il borgo non si rispetta strumentalizzandone la miseria per nascondere fini diversi. La miseria del « San Giuliano » bisogna conoscerla nella sua sconcertante realtà.
Osservino con noi questi signori le testimonianze fotografiche che pubblichiamo e che solo in minima parte ci dicono da dove nasce la loro squallida ispirazione. La « cara » gente del borgo abita qui, in condizioni paragonabili solo a certe zone depresse del meridione… e siamo nel cuore della capitale del turismo europeo!
Questi che si vedono dovrebbero essere appartamenti perchè chi li abita paga dalle diciotto alle ventimila lire al mese d’affitto. In questi tuguri umidi e malsani vivono bambini, vecchi, giovani, gente che lavora e che facendo appello alla fantasia, maschera inutilmente l’umidità con la carta da parati, sostituisce nella stanza da letto il lampadario di Boemia – regalo di nozze – con il ventilatore, per poter respirare; gente che riesce a far convivere tranquillamente un simbolo del moderno consumismo con quelli impressionanti della sofferenza antica, che sopporta con spirito e con rabbia ogni offesa alle norme più semplici del convivere civile e dell’igiene e sa anche coprire le ferite più evidenti sui muri con qualche puntura di cemento, come vorrebbero alcuni di questi signori che invocano per il « caro Borgo » un risanamento « delicato », anche se non dovrebbero ignorare che è tecnicamente impossibile risanare un tale sfacelo di strutture senza un radicale, organico, complessivo disegno di ristrutturazione.
Ed è qui che il Piano De Carlo manifesta la sua validità: nel rispetto profondo e concreto dei valori umani di questo borgo, del suo carattere particolarissimo, della inimitabile fantasia della sua gente, proponendo fra l’altro soluzioni prefabbricate, appunto perchè ognuno possa intervenire quando dovrà realizzarsi la sua casa.
Né il Borgo è disposto a prestare a chichessia il suo carattere e la sua fantasia, tanto meno a certe ridicole frange di piccola borghesia decadente che ne contrabbanda i valori sognando in quei ghetti « pieni di colore » qualche garçonniere con mansarda.
II Borgo ha bisogno di vivere come entità sociale, al pari di tutta la città, conservando il volto della sua caratteristica umanità, riscattandosi dal secolare squallore, per poter respingere ogni tentativo di rapina materiale e morale. Ha bisogno di vivere per confermare nel corso dello sviluppo sociale il suo nobile carattere di comunità popolare in grado di vivere modernamente, senza compromessi, a testa alta, con la fierezza della gente che veramente ama le contrade ove è nata e in esse vuole rimanere come esseri civili e non come squallidi personaggi della ignobile tragicommedia folkloristica inventata da chi le è sempre stato ostile.

L’Arengo
luglio 1972

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