Pubblicato la prima volta il 17 Dicembre 2018 @ 08:47
Dice mia mamma Elsa (89 anni): «Quand andémie al primi manifestazióun de vèntizìnc avrìl, avémie tót quèlcun da ricurdè, quèlcun cl’era stè perseguitèd di fasésta: un parènt, un amig, un cnusènt. Amarcòrd de fiól dla *** ch’ja cavè gli òngi di pìd sal tnàj, poi ja tachè fóg da bas e, s’al mèni lighèdi, i la bót tè fióm. Adès invece i vo savè se piòv perché ja da fè e’ pònt tra e’ vèntizìnc e e’ prìm ad maz…» [Quando si andava alle prime manifestazioni del 25 aprile avevamo tutti qualcuno da ricordare, qualcuno ch’era stato perseguitato dai fascisti: un parente, un amico, un conoscente. Mi ricordo del figlio della ***: gli tolsero le unghie dei piedi con le tenaglie, poi gli appiccarono fuoco ai genitali, infine, con le mani legate, lo gettarono nel fiume. Adesso, invece, tutti si preoccupano delle condizioni meteorologiche perché sono interessati al “ponte” tra il 25 aprile ed il primo maggio].
Dunque… il 25 aprile prima rischia di diventare un data legata alla memoria dei più anziani o, come avviene su Facebook, ai tanti post che ogni anno si riciclano, con frasi riportate come fossero tolte da una cassettiera divisa per eventi: una volta è il 25 aprile, un’altra l’8 marzo, poi mano a mano si arriva alla giorno di San Valentino ed alla festa della Mamma o del Papà. C’è anche quella del gatto!
Non riporterò qui le motivazioni strettamente personali per cui credo fermamente nell’importanza di questa data tanto che, non a caso, sono iscritta all’ANPI: non voglio dare pretesto a commenti strumentali cui l’associazione “Rimini Sparita” non s’è mai prestata. Ma il fatto è che, a mio parere, sul 25 aprile non dovrebbero esserci distinguo trattandosi di un anniversario, un anniversario che lo Stato Italiano, non altri, ha stabilito fosse un evento da ricordare e festeggiare.
Su proposta del Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, il Principe Umberto, allora Luogotenente del Regno d’Italia, istituì la festa per il 1946, con il decreto legislativo luogotenenziale n. 185 del 22 aprile 1946 e che all’articolo 1 recitava: «A celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile 1946 è dichiarato festa nazionale». La ricorrenza venne poi celebrata anche negli anni successivi e dal 1949 è divenuta ufficialmente festa nazionale. La legge che istituzionalizzò stabilmente la celebrazione è la n. 260 del 27 maggio 1949.
Riporto questi dati non per appesantire la lettura ma per sottolineare che il 25 aprile non si celebra la vittoria di “una parte” ma la liberazione dell’Italia dall’occupazione nazifascista. E’ la festa del nostro Stato, della Libertà, della Legalità, dell’Uguaglianza, non solo di valori, dunque, che in quanto tali possono anche avere un carattere soggettivo ma principi su cui si fonda la nostra d’identità ovvero la Carta Costituzionale. Ricordarlo su Rimini Sparita può sembrare troppo facile dato che questo diario vuol tenere viva la memoria, non la nostalgia, della nostra storia ed ancorchè la Resistenza s’identifichi con la storia nazionale ed abbia dato la vita stessa alla nascita della Repubblica Italiana, la città di Rimini ne è parte integrante. E dalla Storia non si può sparire.
Nel 1961, la città di Rimini fu insignita della Medaglia d’Oro al valor Civile. Nel Decreto del Presidente della Repubblica con cui fu conferito alla Città di Rimini l’altissimo riconoscimento: “Fedele alle sue più nobili tradizioni – si legge nella motivazione – subiva stoicamente le distruzioni più gravi della guerra e prendeva parte validissima alla lotta di liberazione, attestando, col sacrificio di numerosi suoi figli, la sua purissima fede in una Italia migliore, libera e democratica”. Snodo strategico centrale delle comunicazioni tra nord e sud Italia e pilastro della Linea gotica, dal novembre del 1943 al settembre del ’44 la città fu colpita da 396 bombardamenti aerei, navali e terrestri che distrussero oltre l’82% delle sue abitazioni, il tributo più alto tra tutte le città italiane con più di 50.000 abitanti. 6.668 furono le vittime ufficiali tra civili, militari e partigiani e oltre 6.000 i feriti, mutilati dispersi.
Vale la pena di ricordare a quelli che di piazza Tre Martiri citano il nome come un suono indifferenziato “piazzatremartiri” che la piazza fu intitolata, dal 1946, ai tre partigiani Mario Capelli, Luigi Nicolò e Adelio Pagliarani impiccati il 16 agosto 1944, appunto, nella piazza principale di Rimini. I tre partigiani rappresentano il simbolo della Resistenza e dei caduti nella lotta di Liberazione nel territorio della Provincia di Rimini. Simboli troppo spesso umiliati, violati, quasi a voler dimenticare che la Resistenza non si consumò in dialoghi e diatribe ideologiche (quello fu il vezzo che seguì) ma in vite umane, soprattutto di giovani che – basti leggere le loro lettere di un addio mesto ma consapevole – credevano fermamente in quegli ideali. Erano giovani come tutti gli altri che amavano la vita, il cibo, l’amore. Per questo, personalmente, mal sopporto la retorica celebrativa di chi recita un copione che gli viene passato dallo staff, di chi parla senza conoscere, perché la retorica (falsa) è quella che si verifica ogni volta che si parla senza crederci.
Personalmente ritengo ci sia un metodo per rifuggire da quel rischio, ovvero chiedersi (e rispondersi) come reagirebbero, oggi, quei giovani impiccati, torturati, esiliati. Cosa penserebbero, ad esempio, i Tre Martiri, del fatto che, a Rimini, il ponte Della Resistenza, in diverse manifestazioni peraltro patrocinate dagli Enti Pubblici Locali, viene chiamato “Il Ponte dei Miracoli”? Del fatto che vengano tagliati i fondi che nelle scuole finanziavano i Viaggi della Memoria verso i campi di sterminio, scompaiono le vie intitolate a partigiani e sorgono monumenti ai gerarchi fascisti come richiamo turistico… ma ci possiamo mettere la spettacolarizzazione della politica, il carrierismo che domina le istituzioni, la corruzione, le ruberie ed anche le facili battute che evitano ogni approfondimento e le ricerca delle responsabilità e che, il più delle volte, nascondono arroganza ed ignoranza?
Ecco, il 25 aprile potrebbe essere semplicemente una Festa, in onore di una pagina della storia che segna la nascita dello Stato democratico. Credo invece che non si possa attribuire a questa data un valore solo simbolico, perché di strada ne resta da fare per essere all’altezza di quei giovani e del prezzo che hanno pagato perché i principi costituzionali da formali diventino sostanziali, il rispetto per la persona a prescindere dal suo credo o orientamento sessuale, il diritto al lavoro, le forme di partecipazione al governo, il ripudio della guerra.
A ognuno di noi spetta il compito di recuperare il proprio senso critico, cogliere negli strumenti tecnologici ed informatici le grandi potenzialità che offrono nella circolazione delle idee, delle informazioni ma non cedere all’omologazione, alla superficialità, agli stereotipi che vanno sostituendo i confronti reali, i rapporti umani, la conoscenza diretta; bisogna riappropriarsi della qualità dei ragionamenti, del piacere di pensare, di discutere, di argomentare ed uscire dal tunnel dove ci siamo infilati in questo ultimo ventennio dove hanno dominato i messaggi che incitano alla furbizia anziché al merito, dove ci siamo sentiti dire anche da chi aveva ruoli istituzionali che “è giusto non pagare le tasse” che “solo i fessi lavorano molto per guadagnare poco”, dove alle donne anziché dignità e parità ed il diritto ad un lavoro gratificante, al riconoscimento delle proprie capacità, degli studi compiuti, delle competenze acquisite si prospettano i casting per il Grande Fratello o per fare la “velina”, una realtà sempre più virtuale e mediatica dove le guerre, le stragi, gli atti fatti di violenza scorrono sui teleschermi come se fossero telenovele.
Perché cambia la forma, ma il rischio rimane.