L’idea rivoluzionaria di un “albergo in condominio”

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Pubblicato la prima volta il 3 Aprile 2022 @ 09:35

È la primavera del 1947: Rimini sta lentamente riemergendo dall’abisso della Seconda Guerra Mondiale. Nonostante la ripresa si presenti ardua, il turismo si sta già imponendo e consolidando come fondamentale risorsa economica per la Città a tal punto che, proprio in questi anni di genuina, spontanea e appassionata imprenditorialità, fioriscono costantemente e progressivamente proposte, spesso curiose ma innovative, destinate a stimolare e accogliere il nuovo fenomeno sociale che renderanno Rimini “Felix”.
Grazie alla spinta propulsiva del contesto economico e culturale postbellico, nel marzo 1947 un ingegnere di Assisi, Tiberio Gualdi, cavalca il fermento creativo e codifica in maniera tecnicamente grossolana, ma con chiarissime finalità commerciali e imprenditoriali, il progetto del primo “albergo in condominio” italiano, ovvero un edificio destinato ad accogliere appartamenti su tre diversi livelli di finitura e dimensioni, ma corredati da servizi e infrastrutture dedicate allo svago e all’intrattenimento proprie del ramo alberghiero. L’edificio, ipoteticamente sviluppato su 4 piani per 18 metri di altezza complessiva e composto da 56 appartamenti, vuole coniugare – in modo indubbiamente avveniristico per i tempi – il comfort e l’indipendenza della piccola abitazione balneare ai servizi tipici delle grandi strutture turistiche: il pieghevole illustrativo conservato all’Archivio di Stato riminese, appositamente redatto e stampato da Gualdi per la presentazione, parla di sale comuni polivalenti per “riunioni, ballo, musica, lettura, gioco, ecc. a cui si accede con un ampio scalone semicircolare”; inoltre ogni piano offre “un posto telefonico, cameriere di servizio, il quadro dei campanelli elettrici e un montacarichi per le consumazioni dei clienti”. Alle estremità dell’edificio, per ogni piano, sono previste stanze per il deposito della biancheria, degli ombrelloni e delle poltrone a sdraio “che l’amministrazione dell’albergo potrà dare a noleggio”. Il pieghevole sottolinea che dal condominio, quindi dalle cosiddette zone comuni, “è escluso tutto il piano terreno comprendente il ristorante, la cucina, la lavanderia, l’abitazione del gestore, la rimessa, le botteghe, il bar, il vestibolo, il locale di amministrazione, il giardino e il tennis”. Mentre ogni proprietario “sarà libero di servirsi, o meno, del ristorante o della cameriera per la pulizia delle stanze”, il gestore “organizzerà il servizio di allontanamento delle immondizie a mezzo di secchi chiusi” e, in assenza dei singoli condòmini, che “possono rivendere o sub affittare, i locali acquistati, ricavandone l’utile che credono”, si occuperà anche della sorveglianza degli alloggi. 

​​L’edificio, che nelle intenzioni dell’ideatore “sarà piazzato vicino alla spiaggia con visuale libera sul mare e con prospetto principale verso ovest”, si propone di “sopperire alla scarsezza delle abitazioni per i bagnanti” causata dai recenti avvenimenti bellici, ma non alla carenza di alloggi per gli sfollati, che in quel momento rappresenta una vera emergenza sociale: Gualdi, infatti, sottolinea più volte la necessità di mantenere rigorosamente la “moralità” del contesto, auspicando addirittura che “almeno tre, o più acquirenti, amici fra loro, si accordino contemporaneamente per l’acquisto di una determinata porzione dell’edificio. Siccome i principali clienti di Rimini sono lombardi, emiliani e umbri, è prevedibile che per ogni piano si organizzerà una colonia regionale”. 

L’ingegnere, evidentemente, non ha solo intuizioni da antropologo e vivaci spunti commerciali, ma mostra idee molto chiare anche dal punto di vista gestionale. Gualdi, infatti, maggiorente in Assisi e residente in un complesso noto già nel 1080 (l’ex Ospedale dei Crucigeri, oggi Patrimonio Universale Unesco), è persona evidentemente avvezza ai rapporti istituzionali e seleziona accuratamente i propri interlocutori: per finanziare il progetto decide, infatti, di rivolgersi alla neonata Associazione degli Industriali cittadina (costituita solo due anni prima, il 14 giugno 1945), mostrando un’esemplare lungimiranza imprenditoriale. È infatti opportuno, ai suoi occhi, coinvolgere direttamente quei soggetti economici che potrebbero investire nel progetto sforzi e risorse, poiché lo ritengono strategico e proficuo nel proprio interesse. A coloro Gualdi si rivolge più volte in quei mesi ed è agli stessi imprenditori che dedica la promozione più dettagliata, rivolgendosi apertamente agli industriali locali con ripetuti appelli; il Comune di Rimini e gli amministratori pubblici, stando ai rapporti epistolari a noi pervenuti, risultano sempre destinatari subordinati.
La stessa Assindustria, però, affossa definitivamente il progetto il 3 marzo 1947 con un’ultima lettera, a firma del direttore Giuseppe Martelli (il presidente era l’ingegner Antonio Valmaggi), indirizzata a Tiberio Gualdi. Vengono contestate, in modo inappellabile, diverse scelte paesaggistiche che, paradossalmente, anni dopo diverranno sinonimo della famigerata “riminizzazione”: un edificio così imponente a ridosso del Lungomare è un’idea “non solo da scartare, ma da combattere” e la vista di un “alveare umano” vicino alla spiaggia “compromette la sua bellezza, mentre il piano di ricostruzione della marina [progetto Bega-Vaccaro N.d.A.] attinge a ben altri intenti di armonia e di signorilità”. La medesima lettera si conclude comunque con l’auspicio della realizzazione dello stabile, previo spostamento “in altri settori della città, ma a distanze non inferiori a 800 metri dalla Litoranea”.

Le inevitabili riflessioni su quelle accorate indicazioni, alla luce di ciò che poi è effettivamente accaduto negli anni successivi in ambito urbanistico, sorgono oggi spontanee e un poco dolorose.

Ariminum
Anno XXIX – N. 3 Maggio-Giugno-Luglio 2022

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